In queste ultime ore le alterne vicissitudini della filosofia mondiale hanno creato un certo disorientamento tra gli appassionati della materia, sfatando non pochi luoghi comuni, oramai sedimentati nel comune sentire. Ci riferiamo al tour italiano del filosofo e politico russo Aleksandr Dugin in ben 15 località del bel Paese, disseminato di proteste, di intimidazioni, di isterica indignazione giacobina verso colui che osa – insieme ai suoi estimatori italiani – propugnare una visione del mondo non omologata al pensiero unico globalista, e, per tale ragione, passibile della più oscurantista delle censure. E’ saltato l’incontro all’Università di Messina, dopo le solite accuse di razzismo e di filonazismo, senza che, chi tale invettive decreta e rilancia, abbia la minima compiacenza di notare come il filosofo russo appartenga ad una Nazione, di cui sarebbe l’ideologo, che in pompa magna poche settimana fa, nella celebre Piazza Rossa, ha solennemente celebrato la sua Guerra Patriottica, cioè la propria vittoria contro le truppe dell’Asse: cortocircuiti delle sinapsi neuronali…
E’ arrivata, inoltre, la rinuncia del filosofo americano Noam Chomsky, a seguito di fortissime pressioni da parte del mondo accademico italiano, inerenti alla propria partecipazione al seminario di studio “Identitas”, che sabato 15 Giugno si svolgerà, col patrocinio del Comune, ad Udine, coordinato e promosso dal filosofo friulano Emanuele Franz. Lo stesso Franz, sulla stampa locale, è stato oggetto di attacchi numerosi e continui per aver osato organizzare un simposio con personalità del mondo della cultura e del pensiero non omologati, poiché in controtendenza rispetto all’Illuminismo: già, l’Illuminismo.
Emanuele Franz ha ideato il convegno “Identitas, uguali ma diversi”, in modo del tutto autonomo e indipendente rispetto al resto del tour di Dugin, ma ha invitato quest’ultimo, assieme a Noam Chomsky e ad altri relatori (come Massimo Fini e Diego Fusaro) al fine di farsi mediatore di un incontro poliedrico ed equilibrato, fra Est e Ovest, fra Russia e America. Ma quando Chomsky ha scritto al Franz che il proprio ritiro fosse indotto da pressioni internazionali, è apparso subito chiaro che ci fosse un quid che travalicasse la semplice diatriba ideale.
Tale situazione parossistica, in cui, peraltro, le conferenze di Dugin continuano a tenersi regolarmente e con una grande partecipazione di pubblico, presenta due elementi su cui è doveroso riflettere: il primo di natura metapolitica, il secondo di natura storico-filosofica. Procediamo per gradi.
Un sistema nella sua globalità, quindi nei suoi aspetti non solo economico-politici, ma anche culturali, che esprima una siffatta isteria dinanzi a manifestazioni filosofiche di dissenso, costituisce, oggettivamente, un ordinamento in crisi, che avverte non più inconsciamente che un processo di implosione della propria struttura è ormai in fase avanzata. Senza affidarsi all’ermeneutica della storia e della sua terza dimensione – valutazioni che andrebbero comunque tenute in conto -, è ben evidente, contrariamente a qualche commentatore distratto o volutamente distratto a destra quanto a sinistra, che l’ostracismo in atto non possa essere riconducibile né al caso o a motivazioni di dinamismo politico o finanziario, ma investa profondità ben poco indagate e che interessino l’anima stessa, la cultura stessa dell’intero Occidente. Ciò che di Dugin e del suo pensiero spaventa i neogiacobini è il superamento perfetto delle vecchie sovrastrutture del ‘900, della stantia dicotomia di ideologie che si sono rivelate – il marxismo ed il capitalismo – figlie legittime di medesimi genitori, come già un Evola aveva saggiamente evidenziato in Rivolta contro il mondo moderno, nel suo saggio su Americanismo e Bolscevismo. Un organismo, il quale non ha la capacità di comprendere le dinamiche differenziate, che in se stesso si palesano e si manifestano, è un organismo in cui una morfologia patogena è ormai dominante: patogena per la propria esistenza, perché cerca di elidere le radici stesse della comunità che cerca di regnare arbitrariamente. Il risultato, infatti, della cancrena avanzante non sarà – qualora non si riesca a fermarla – l’istituzione di una società più evoluta o meno evoluta che possa piacere o meno, a secondo di una singolare visione rispetto ad un’altra, ma si realizzerà ciò che già un Nietzsche (e poi un Evola) aveva preannunciato: il deserto, al cospetto del soffocamento delle idee e della cultura, indi la morte dell’uomo, quale organismo composito di terra e stelle, come anticamente ci ricordavano gli Orfici.
Il secondo elemento, inoltre, è afferente ad una questio tutta di natura storico-filosofica e derivante da un falso di cui l’Europa è stata vittima, dopo il già tragico falso della “donazione di Costantino”, segno primo della catabasi del nostro continente. Il falso è correlato alla celebre frase
« I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it. »
(Non condivido ciò che tu dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo)
che la scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall inserì, virgolettandola sia in The Friends of Voltaire, 1906, che nel successivo Voltaire In His Letters (1919), frase attribuita a Voltaire, ma mai scritta o pronunciata dall’enciclopedista francese. E tale falso non ha rappresentato solo una inesattezza letteraria, ma è stato assunto a simbolo di tutta una narrazione storica e filosofica per lungo tempo falsificata e narrata per interessi di parte. La rappresentazione dell’Era dei Lumi, quella a cui si ispirano i censori di Dugin, di Chomsky o di Franz, quale era della Ragione che avrebbe superato l’oscurantismo assolutista delle Monarchie europee è falsa tanto quanto la presunta frase attribuita a Voltaire ed i risultati che tale filosofia libertaria sono evidenti, a chi indagasse meglio le tante pagine di storia poco e mal considerate. La Dea Ragione anti-oscurantista ha trasformato Notre Dame de Paris in una stalla, ha decapitato con Robespierre più oppositori in poco tempo, rispetto a quanto fecero tutti i monarchi europei in secoli di presunta tirannide, senza considerare l’esperienza socialista della Comune di Parigi, prima manifestazione di quelle ideologie di cui prima si accennava. L’Illuminismo e gli Illuministi, vecchi e nuovi, insomma, non fanno altro che esplicitare quella che è sempre stata la propria intima natura, cioè la determinazione di un mondo che si limita ad una coscienza psicologica del sottosuolo e che non tollera chi si innalza ancora a professare una prospettiva diversa.
I censori del nuovo millennio, in conclusione, non solo hanno pregiudizialmente etichettato il pensiero filosofico non globalista con categorie non opportune, quasi a validare l’incapacità kantiana di penetrare il Noumenico, per arrendersi alla fenomenologia della ragion pratica, ma hanno disconosciuto la propria stessa militanza ideale, non rammentando quanto un Horkheimer ed un Adorno nella “Dialettica dell’Illuminismo” abbiano affermato
“…l’illuminismo è totalitario più di qualunque sistema …”,
perchè riconoscendo il proprio limite si odia, disumanamente, chi ha visione e la capacità di oltrepassarlo. Lo scontro, pertanto, come ci ricordava Graziani ieri su queste pagine riferendosi a Dugin, è frontale, come lo è sempre stato, tra una barricata, quello dello Spirito, e l’altra barricata, quella del Deserto: i pavidi non sono contemplati, sono, “giuridicamente”, nulli.
Luca Valentini
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