7 Ottobre 2024
Attualità

E’ finita la festa (II parte) – Roberto Pecchioli

Le elezioni europee hanno mostrato tre tendenze. La prima è la fuga dalle urne, con una percentuale di assenti superiore alla metà. La seconda è il rafforzamento, tra i votanti, delle forze più di sistema, PD, FDI, Forza Italia, la stessa AVS. La terza è la progressiva decomposizione dei gruppi e movimenti (sedicenti) antagonisti. Sorprende il successo travolgente del sindaco di Bari Antonio Decaro. Quasi mezzo milione di preferenze a un politico sotto inchiesta, attivo in una città i cui abitanti sono poco più della metà dei voti che ha ottenuto. Il clientelismo paga più di prima perché pesa maggiormente in tempi di diserzione elettorale.

 L’evidenza che ci preme sottolineare è che la Caporetto antisistema dipende dal fatto che nessuno si è presentato con un programma davvero alternativo. Nessun accenno alla gabbia finanziaria dell’euro e del vincolo finanziario esterno, rarissimi attacchi alla natura oligarchica dell’Unione, ai suoi organi, all’imposizione di una fittissima legislazione attraverso i regolamenti e al ricatto di direttive, raccomandazioni, decisioni unionali. Silenzio assordante sull’ordoliberismo, la privatizzazione generale scritta nei trattati. Il cuore del potere reale non è stato sfiorato. La disaffezione verso l’Europa è dimostrata da un dato aritmetico: i votanti sono stati molto più numerosi (oltre il dieci per cento di differenza) laddove si eleggevano amministrazioni regionali o sindaci.

 Se è vero che il voto di alcuni Stati (Francia, Germania, Belgio, Olanda, Austria) ha messo in crisi gli equilibri politici, è altrettanto vero che in quei paesi gli elettori avevano a disposizione opzioni critiche con il potere. Nulla di tutto ciò in Italia, dove il dissenso è rappresentato da soggetti vecchi per età e idee, logori, autoreferenziali, incapaci di raggiungere gli elettori (la massa degli astensionisti è giovane) anche per l’uso pessimo o nullo dei nuovi media. Il loro messaggio non aveva alcuna incisività, nessuna parola d’ordine o progetto capace di mobilitare. Chi, come chi scrive, si sente vicino all’universo antagonista, deve riconoscere la sconfitta e riflettere su una frase di Albert Einstein: non si risolvono i problemi con lo stesso modo di pensare che li ha creati. La festa non è ancora finita per il sistema, e non è mai cominciata per i suoi avversari.

 Altrove, qualcosa si muove. Due forze politiche interessanti – assai diverse per programma, collocazione politica e geografica – sono risultate vincenti. Uno è Buendnis (alleanza) Sahra Wagenknecht in Germania, l’altro è Se acabò la fiesta in Spagna. La Wagenknecht è un’intellettuale, esponente della sinistra populista e antiliberale, avversaria della guerra, dell’immigrazione e dell’assetto socioeconomico neoliberista. Uscita dal partito Die Linke (La sinistra) appendice del progressismo liberal, irrompe nell’europarlamento con oltre il sei per cento dei voti. Se acabò la fiesta (la festa è finita) è il nome di un movimento sconosciuto a oltre la metà degli elettori spagnoli sino a un paio di mesi fa. L’uso sapiente delle reti sociali e una serie di parole d’ordine semplici ma efficaci di un giovane che si fa chiamare Alvise, hanno suscitato un movimento di piazza, fruttato un milione di followers sui social media e oltre ottocentomila voti, nonostante un’altissima astensione.

 I due movimenti sono accomunati dalla personalità trainante dei leader e dalla chiarezza del messaggio. Il segnale è che lo spazio esiste ed è molto ampio. Il problema è mobilitare la gente. In Italia non ci possono riuscire figure del passato – screditate o sfiatate – metodi vecchi, linguaggio vecchio. È superata la forma partito novecentesca. Le parrocchiette “antagoniste” hanno gruppi dirigenti di riciclati delle altre forze politiche, o galletti di smisurata ambizione e scarsissima qualità; l’eccesso di elettoralismo rivela ambizioni personali e prescinde da programmi forti. L’esito infausto era prevedibile. La Wagenknecht mobilita un elettorato popolare fortemente critico del modello neoliberale fatto di precariato, bassi salari, servizi privatizzati. La differenza, rispetto alle forze di sinistra, è la capacità di attaccare i fondamenti del sistema: perdita di sovranità, immigrazione che abbassa i salari, crollo dei sistemi di protezione sociale, prevalenza dei diritti individuali rispetto a quelli sociali.

 Alvise è un fenomeno singolare, non soltanto per la rapidità del successo. Attaccato con violenza impressionante da sinistra (il governo minaccia azioni penali per “discorso di odio”) non piace affatto alla destra tradizionale, spiazzata dalla nettezza delle sue prese di posizione. L’ultima riguarda l’amnistia concessa – in spregio della costituzione – ai protagonisti del tentativo di secessione della Catalogna del 2017. L’indignazione è forte e Alvise non usa mezze parole. Se neppure il re Felipe VI ha avuto il coraggio di opposi all’ amnistia, la domanda non lascia scampo: a che c… serve la monarchia? Parole irricevibili a destra, incaute in una nazione balcanizzata in cui la monarchia è l’unico baluardo dell’unità nazionale, ma taglienti e a loro modo sensate. Con questo linguaggio Alvise ha sfondato in rete e tra i giovani: il dieci per cento degli under 24 è elettore di Alvise.

La Spagna, ha tuonato il giovanotto andaluso, è diventata “la festa dei criminali, dei corrotti, dei mercenari, dei pedofili e dei violentatori “. Propone di costruire un enorme carcere a Madrid affinché ladri e malfattori paghino il conto delle malefatte: musica per le orecchie di chi vive in aree metropolitane insicure; chiede altresì di cacciare gli immigrati irregolari, in uno Stato con il venti per cento di disoccupati; attacca a gran voce i mezzi di comunicazione “ladri della verità”. Alvise non ha partecipato ad alcuna trasmissione elettorale, non è stato intervistato dalla stampa, non aveva il becco di un quattrino; eppure, ha sfondato il muro del silenzio. Segno che i temi che affronta sono sentiti e i metodi di comunicazione sono quelli giusti, all’altezza dei tempi.

 Non a caso ha destato interesse tra chi non si recava a votare. Ha sfidato vari tabù, attaccando il voto elettronico e postale. Non mi fido, è una frode, ha detto, distribuendo personalmente le schede con il nome del movimento, il metodo di voto spagnolo. Definisce i media “mercenari del potere” e i politici “partitocrazia criminale”. Afferma che distribuirà lo stipendio parlamentare agli elettori. Ha il coraggio di urlare che la democrazia sta diventando dittatura. Esige una forte diminuzione fiscale, (“il potere ci deruba e ci rende più poveri) grida che “il femminismo e la sinistra sono le forze che ci rubano la libertà e ci vogliono indicare come dobbiamo vivere”. Temi interessanti: il fastidio per la burocrazia, per una vita complicata da troppe norme, divieti, l’insopportabile neo-moralismo invertito “progre” (così lo chiamano in Spagna) un’ansia di libertà concreta, quotidiana, incompatibile con il cliché dell’autoritarismo di destra.

 Propone un referendum sulla permanenza della Spagna nell’Unione Europea e rappresenta una forma di libertarismo popolare, soprattutto giovanile, con cui occorre fare i conti. Nulla di strano che abbia fatto il pieno nelle grandi città, nelle zone più segnate dall’immigrazione e tra i disoccupati. L’attacco al femminismo è popolare in un certo elettorato maschile. I veicoli di comunicazione adottati (i nuovi media e parole d’ordine simili ai claim della pubblicità) lo rendono pressoché insignificante tra gli anziani (due terzi dei quali non lo conoscono affatto) e presso il voto di opinione di centrodestra. È riuscito perfettamente a differenziare il messaggio rispetto a Vox, la destra “nazionale” alleata della Meloni, affascinata dall’ultraliberista Milei, allineata con la narrativa occidentalista e filo israeliana. Un posizionamento che gli ha permesso di sottrarre voti alla sinistra. Quanto a Bruxelles, sede dell’europarlamento, Alvise è netto: non ci andrà a vivere, perché “il Belgio è un paese fallito dove ci sono soltanto islamisti, insicurezza e violenze sessuali”.

 In politica interna combatte i separatismi, il governo e l’autonomismo spinto. Il programma di Se acabò la fiesta ( un nome azzeccato) prevede la lotta senza quartiere alla corruzione e alla partitocrazia, in Spagna più costosa e pervasiva della nostra, con diciassette mini stati e altrettante burocrazie, la difesa a oltranza della libera espressione, la protezione dell’infanzia (la spinta LGBT è enorme, nel paese iberico) , una dura lotta contro la pedofilia e una riforma che restituisca allo Stato le troppe competenze locali, il groviglio di poteri, sistemi scolastici, educativi, sanitari, fiscali, perfino di ordine pubblico, in un sistema di autonomie variabili che sta rendendo la Spagna un labirinto. Tanta libertà quanta sia possibile, tanto Stato quanto sia necessario, è l’altra frase simbolo di Alvise. Si tratta, in parte, dell’ideario cyberpunk, la critica “generazionale” a un modello tecnologico e tecnocratico senza limiti che opprime l’individuo sottoposto a un controllo soffocante.

 Valuteremo alla prova dei fatti Wagenknecht e Alvise: troppe volte gli oppositori sono diventati cani da guardia del potere che dicevano di voler abbattere. Il riferimento al Movimento Cinque Stelle non è l’unico: la stessa Meloni è passata in un lampo dal sovranismo all’atlantismo e all’europeismo. Analoghi tradimenti a sinistra. Chi ancora vota è in gran parte impermeabile alle istanze del dissenso. Si mobilitano le tifoserie – il voto fidelizzato delle curve ultrà – e chi si aspetta qualcosa in cambio del voto. Le urne fanno il pieno di consensi per la destra, il centro, la sinistra sistemiche, l’astensione è difficile da catturare, ma è l’unico serbatoio di chi vuol cambiare le cose. La maggioranza è probabilmente “contro” , ma resta dispersa, senza voce. Su questa fetta crescente di cittadini si deve concentrare il messaggio; più forte, più incisivo, più radicale negli obiettivi.

 Non si levano voci che propongano un modello sociale, economico e finanziario alternativo al liberismo mercatista; è assente il dibattito sulla sovranità monetaria, sulla deriva oligarchica di una democrazia che non rappresenta e non governa, ridotta ad amministrazione dell’esistente in nome di poteri esterni. Flebile è la voce di chi proclama l’ordine naturale contro le derive dei nuovi “diritti”. Silenzio sul fronte della denatalità, il problema dei problemi. Scarsi gli appelli alla pace contro un bellicismo devastante, il linguaggio della morte contrario all’ interesse popolare. Qualcuno ha battuto un colpo. Non in Italia, prigionieri di metodi sorpassati, capetti mediocri, programmi timidi. Vorrei ma non posso, o peggio, potrei ma non voglio. Il paradosso sono i giovani, più conformisti degli anziani. Non si fa la rivoluzione accompagnati dalla badante. Una nazione vecchia con una politica vecchia. La festa non è finita per lorsignori. Strani antagonisti applaudono frenetici un generale della Nato e una ragazzotta antifà.

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