Le “magnifiche sorti e progressive” sono state messe in dubbio, diciamo pure in crisi, da qualcosa d’invisibile, da un virus dal suggestivo aspetto e dal nobile nome, da una variante particolarmente letale di quella che è in fono una “banale influenza”, ma dal comportamento talmente imprevedibile da far pensare a qualche scienziato autorevolissimo, come il premio Nobel 2008 per la medicina, Luc Montagner, biologo e virologo, che sia stato “manipolato in laboratorio” a Wuhan. Non era mai successo prima. Infatti, una epidemia simile, ma non uguale, si diffusa esattamente cento anni fa, nel 1918-1929, in Europa dove provocò decine di milioni di morti e venne chiamata “influenza spagnola” (ma solo perché fu per prima la stampa spagnola a dare notizie in tempo di guerra di un morbo portato probabilmente dai soldati americani intervenuti in Europa). Le foto in bianco e nero di allora ripubblicate per l’occasione sono un effettivo parallelo con le foto a colori di oggi, a parre l’abbigliamento e i mezzi di trasporto. Ma una differenza fondamentale c’è ed è duplice. La percezione dell’epidemia fu diversa, l’impatto psicologico minore dato che le informazioni e i mass media che le diffondevano erano pochissimi rispetto a quelli di oggi, tanto è vero che ancora non si sanno esattamente quanti morti la Spagnola provocò: autorevoli fonti scientifiche infatti variano notevolmente, chi dice 25 e chi 50 milioni di morti, e non è una piccola differenza. Dall’altro perché la mentalità odierna è differente da quella di allora.
Oggi, dopo appunto un secolo, la scienza e la tecnica in generale, hanno fatto enormi progressi, la medicina è stata al passo e di meraviglie ce ne ha mostrate moltissime: si riescono a curare malattie difficili e rare, si effettuano operazioni chirurgiche incredibili e trapianti anche multipli, i giornali sono pieni di i “miracoli della scienza” che salvano vite umane. Eppure tutta questa sicurezza è crollata di fronte al “nuovo coronavirus” battezzato dall’OMS Covid-19. La scienza medica si è trovata impreparata e impotente non sapendo cosa fare, non esistendo un farmaco specifico per curarlo e si è ricorsi a quelli in precedenza utilizzati contro l’HIV, l’Ebola, la Sars, ma si è andati per tentativi, oppure si sono provati medicinali per altre malattie virali più comuni.
Insomma, è stato un po’ come la pesta di cinquecento anni fa, quella che rese immortale Alessandro Manzoni nei Promessi sposi: si moriva nei lazzaretti e non c’erano rimedi, alcuni sopravvivevano, altri erano immuni, senza un perché. Come oggi quando ci si era abituati a sentire ogni giorno annunciare dalla Protezione Civile centinaia di decessi e la cosa non ci faceva alla fune poi tanta impressione. E siamo arrivati a quota 34 mila. Il Covid-19 è un po’ la peste del XXI secolo, anche se non con immagini così impressionanti come quelle della peste anche se adeguate ai tempi: non ci sono stati i carri dei monatti che raccoglievano i cadaveri lungo le strade e li buttavano uno sopra all’altro, ma le file dei camion militari che nottetempo partivano da Bergamo per trasportare centinaia di bare nei cimiteri di altre città. E gli ammalati che sono morti negli ospedali da soli, senza il conforto dei parenti perché era proibito loro di avvicinarsi per il rischio del contagio. Quasi come i lazzaretti dove fra’ Cristoforo si aggirava a portare il conforto della fede agli appestati abbandonati da tutti, soli con la loro malattia.…
Un contagio, quello del 2020, che nessun astrologo aveva previsto e che ha prodotto questi tragici risultati perché è a sua volta un prodotto della globalizzazione, vale a dire della modernità, cioè della stessa struttura sociale del mondo di oggi, con la sua rete di mezzi, trasporti e traffici rapidissimi in tutto il pianeta, che toccano ogni luogo anche il più sperduto (il famoso “villaggio globale”), con movimenti di masse che hanno trasformato una epidemia in una pandemia. Il modo di vivere della società moderna ha diffuso il virus con grande rapidità, e la nostra mentalità lo ha accettato con una certa difficoltà. Possibile che non ci sia un rimedio? Per ora è proprio così, e le notizie contraddittorie che riguardano il virus, di cui si parla 24 ore su 24 in televisione, hanno fatto emergere paure ancestrali, archetipiche, inducendo moltissimi alla ipocondria. Gli scontri epocali tra virologi, immunologi, epidemiologi balzati agli onori delle cronache sostenendo tesi diverse e opposto, hanno aumentato le incertezze e le paure. Questo benedetto coronavirus n fondo sta dappertutto: in cielo e in rerra, su tutte le superfici, sula carta e sulla plastica, il vetro e il legno, nelle lacrime, nelle feci, e si annida nei testicoli… , circola addirittura grazie alle polveri sottili. Sarà sulla sabbia e nell’acqua del mare? e sulla neve? saràsospeso in aria e portato a spasso dal vento?
In fondo sotto certi aspetti non siamo diversi dagli uomini e dalle donne del Medioevo. Indipendentemente dagli obblighi imposti dal governo, la gente vive sostanzialmente ancora in un clima di paura, diffidenza e sospetto nei confronti degli altri: ad esempio, mantiene quello che è stato definito il “distanziamento sociale” che è l’esatto contrario di quanto si teorizzava prima nel comportamento rispetto agli altri, il cosiddetto “buonismo”. Per poi sfogarsi appena concessa un po’ di libertà con i deprecati “assembramenti” in strade, parchi, giardini e spiagge, per non parlare poi della movida. Il virus ha messo in crisi anche un consolidato nodo di vivere: ci si dà più una stretta di mano, o si abbraccia incontrandosi?
Chi ha una certa sensibilità per i simboli sarà rimasto colpito dalla immagine del Papa che solo, sotto la pioggia, ha pregato il 27 febbraio in una Piazza san Pietro deserta, e da quella del Capo dello Stato che, con tanto di mascherina si è recato all’Altare della Patria il 25 aprile in una Piazza Venezia assolata ma anch’essa completamente vuota. Sembrano i simboli della impotenza della religione e della politica che, dopo la scienza, nulla riescono a fare contro l’epidemia della modernità e devono abbassare le mani. A da passà ‘a nuttata… diceva Eduardo. Non possono far altro.
Gianfranco de Turris
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