8 Ottobre 2024
Livio Cadè Società

E l’uomo inventò la morte – Livio Cadè

Premesse

Ogni corpo umano ha in sé una piccola quantità di ferro, rame, zinco ecc. Se dovessimo pesarla e calcolare il suo valore di mercato, potremmo vendere il nostro corpo a un ben misero prezzo. Viceversa, se consideriamo quanto vengono valutati i nostri organi – cuore, fegato ecc. – sul relativo mercato, la nostra autostima, almeno in termini economici, ne uscirebbe notevolmente rafforzata. Scopriremmo infatti di valere parecchie centinaia di migliaia di dollari. E questa cifra sarebbe solo una parte del giro d’affari che i nostri organi possono creare. In America, ad esempio, un trapianto di cuore costa oltre un milione di dollari, uno di cuore e reni oltre due milioni. V’è poi un ampio indotto relativo alle cure post-operatorie, che durano fino alla morte del trapiantato. A questo punto ci renderemmo conto che il nostro corpo, il vituperato frate-asino, la nostra umile dimora di carne, è in realtà un capitale di tutto rispetto, un piccolo tesoro che può far gola a molti. E in un mondo retto non certo da valori etici o spirituali ma da quelli disumani del Mercato, potremmo stupirci che qualcuno ancora non ci abbia fatto la pelle per impossessarsi delle nostre preziose frattaglie.

Il fatto è che la Legge, vecchia noiosa piena di fisime, ancora proibisce l’omicidio. Sarebbe tuttavia ingenuo pensare che l’ingegno umano si lasci scoraggiare e rinunci a lucrosi profitti per colpa di qualche cavillo legale. E difatti, fatta la legge, scoperto l’inganno. Come si può depredare una persona dei suoi organi vitali senza ucciderla? La soluzione è semplice, ma occorreva del genio per vederla. Basta far credere che quella persona sia già morta. Ovviamente una diagnosi di morte va certificata, ma questo non è un problema. È sufficiente modificare alcuni tradizionali parametri clinici.

Per esempio, anche se il vostro cuore batte, siete morti. Respirate? Siete morti comunque. Se anche il vostro sangue circola, avete ancora membra rosee, elastiche e calde, potete ancora contrarre un’infezione e guarirne, conservate le vostre difese immunitarie, potete essere alimentati, persino portare avanti una gravidanza e partorire, generare figli ecc., non fatevi ingannare, siete morti. Ce lo dice un aggeggio che capta alcuni fenomeni elettrici nel cervello. Quando una persona è viva il suo cervello emette infatti una serie di onde elettriche. Se la macchinetta non le registra, ne deduciamo, con una logica rigorosa, che la persona è morta. Come dire: se uno canta è sveglio, ergo, se non lo sento cantare vuol dire che dorme.

Questa morte ancora così piena di vita è l’ingegnosa invenzione di una scienza medica impaziente di certificare il nostro decesso. Ma il medico non dovrebbe essere colui che ci cura e ci guarisce? Probabilmente era così, un tempo. Ma oggi la medicina è il volano di un enorme business e non può occuparsi di cose futili e poco remunerative come la salute dei pazienti. All’industria sanitaria e farmaceutica rende molto di più che la gente si ammali o, in certi casi, che muoia. Motto della moderna medicina potrebbe essere: primum nocere.

La covidomania, con tutti i suoi corollari, potrebbe apparire in tal senso il caso più rappresentativo di una sanità pubblica ormai asservita a scopi maligni. Ma a mio parere sono ancora i trapianti di organi a occupare il punto più basso mai raggiunto dalla coscienza medica. Purtroppo questa pratica, sintesi di una polimorfa perversione sanitaria, ha col tempo ricevuto patenti di normalità, moralità e legalità, e la gente non riesce più a percepirne il carattere aberrante. La ‘bioetica’ ufficiale le ha concesso il nulla osta, la politica l’ha avallata, i media l’hanno incoraggiata, la Chiesa stessa, piegandosi all’opinione dei medici, l’ha accettata e benedetta. Oggi, resi forse un poco più accorti dall’esperienza della pseudo-pandemia, dovremmo sapere che sotto il profilo etico tali riconoscimenti e approvazioni ufficiali non valgono nulla e in genere non hanno alcun nesso con la verità.

Tuttavia, grazie alla complicità tra media, pseudo-scienza, politica e mondo degli affari, il consenso sociale ai trapianti è ormai un riflesso condizionato, una sorta di dogma religioso o articolo di fede. È difficile sottrarsi ai pregiudizi della propria epoca. Un tempo, nei processi per stregoneria, si pungeva il corpo della presunta strega in alcuni punti e se quella non sentiva dolore se ne ricavava la dimostrazione inoppugnabile della possessione diabolica. Pochi dubitavano della razionalità di tale procedimento. Oggi si crede che, misurando alcuni voltaggi elettrici, si possa stabilire se una persona è posseduta dalla morte, e si dà a questa credenza dignità di teorema scientifico. Li vedo, questi moderni inquisitori, interrogare l’encefalo del malcapitato. “Non risponde”. Li immagino chini su di lui, intenti a staccare e riattaccare il boccaglio del respiratore, in una scientifica tortura. “Non reagisce”. Il tutto molto in fretta, perché bisogna depositare celermente gli atti del processo e consegnare il poveretto al carnefice. Infine – Deo gratias! – dopo averlo eviscerato, i suoi organi diverranno proprietà di chi ansiosamente li attendeva. Mors tua vita mea, è la vita.

La filosofia del trapianto è il paradigma di un’involuzione antropologica. Visione utilitaristica della persona, ridotta a corpo-macchina, essere senza sostanza ontologica, pura funzionalità. Rottura della nostra unitaria percezione psicofisica, anticipazione di un futuro corpo ibrido, mero assemblaggio di parti, di innesti estranei, da cui sarà possibile espiantare anche la mente, l’anima e farne commercio. Simbolo di una vita artificiale, che per affermarsi sopprime le nostre difese naturali, inibisce il nostro sistema immunitario, che altrimenti la rigetterebbe. In fondo, ammissione di un fallimento della medicina, una sostanziale degenerazione terapeutica che, all’incomprensione dei processi vitali, ovvia con interventi meccanici, aggressivi e distruttivi. Emblema di un progresso tecnico cui corrisponde un regresso etico e su cui, non a caso,  attecchiscono vasti fenomeni speculativi e criminali.

Analisi

Questo cascante edificio poggia in realtà su un guscio di noce, sul fragile sofisma della ‘morte cerebrale’, sotterfugio che rende possibili i trapianti e cancella il volto antico e familiare della morte. Scriveva Shakespeare: “il polso arresterà il suo battito: e non ci sarà più calore in te né respiro a rivelare la vita. Le rose della labbra e del viso appassiranno nel pallido colore della cenere. Le membra private del movimento, dure, rigide, fredde ecc.” Questo è l’ordine naturale delle cose, fino a ieri indiscutibile. Ma oggi cos’è la morte?

Un comune malinteso vuole che la risposta stia in un formale referto medico. In realtà è legata a un’elaborazione concettuale. La morte non è solo un dato di fatto ma un’interpretazione. Può essere annullamento, estinzione, compimento, transito, liberazione, distacco ecc. secondo varie prospettive culturali. Potremmo anche dirla un nulla, un’astrazione, un’invenzione della mente, un’illusione, un pregiudizio. In ogni caso una definizione ci è necessaria, perché la nostra società deve dotarsi di criteri logici, medici e giuridici, per distinguere i vivi dai morti. La legge del 1993 che regola tale materia, recita: “la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. Questa formula, che apparentemente inventa una morte più ‘razionale’, presenta in realtà profonde contraddizioni. Emergono qui quattro punti problematici e interdipendenti.

Innanzitutto, si pone un’opzione di tipo filosofico: qual è il soggetto della morte? Nella cultura tradizionale è il corpo che muore, mentre la persona, o anima, sopravvive in forma incorporea. Viceversa, nella condizione di ‘morte cerebrale’ il corpo è ancora vivo, e forse è sottinteso che a morire sia la ‘persona’, o un’entità vaga identificata nelle ‘funzioni encefaliche’. La legge non lo chiarisce.

In secondo luogo, dovremmo definire cosa si intenda per morte. Tradizionalmente è il distacco dell’anima dal corpo, ovvero la frattura insanabile tra un principio vitale e la sua struttura somatica, la perdita di un ordine, di un’entelechia o principio sintropico che unifica e organizza la materia biologica. Nella legge anche questo punto è lasciato in sospeso, dato che il silenzio encefalico può essere un indizio di morte, ma non la morte in sé. Dovremmo arguire che la vita coincide con l’attività cerebrale. Ma allora perché non con un’altra attività: il movimento, il linguaggio, le relazioni sociali? Anche questo non è chiaro.

In realtà la legge dice ‘funzione encefalica’, ma l’EEG può solo registrare una certa attività del cervello, non la sua funzione. Questa distinzione è cruciale. Se svengo perdo temporaneamente l’attività della coscienza, ma questo non significa che ne abbia perso la facoltà. Che all’assenza di attività encefalica corrisponda un’incontrovertibile cessazione delle relative funzioni è una mera congettura. Un domani potremmo trovare il modo di curare queste lesioni al cervello, come oggi possiamo rianimare persone colpite da arresto cardiaco.

Un terzo livello attiene ai segni mediante cui la morte si manifesta. In passato questi indizi erano l’assenza prolungata di respiro, di battito del cuore e di circolazione sanguigna, cui seguivano inconfondibili segni di disgregazione biologica, conferma della morte intesa come totale divorzio tra il corpo e la vis o pneuma che lo animava. Qui la legge del ’93 è pertinente, ci indica un reale segno tanatologico ma, avendo omesso di definire la ‘morte’, ci dà un ‘significante’ senza ‘significato’, ovvero un segno di sé stesso, autoreferenziale.

Il quarto e ultimo livello, di carattere specificamente medico, concerne strumenti e metodologie mediante cui possiamo rilevare i segni di morte. In passato bastava un’osservazione empirica per constatare la mancanza di respiro e di pulsazioni. In seguito il corpo era vegliato per un tempo minimo (di solito due giorni) prima di procedere all’inumazione. La ‘morte cerebrale’ va invece certificata tramite elettroencefalogramma, o valutando i riflessi del tronco encefalico, e dopo sei ore si può procedere all’espianto.

Tuttavia, i limiti tecnici delle nostre apparecchiature le rendono inadeguate a scandagliare la complessità del nostro sistema nervoso centrale nel suo insieme. Di conseguenza, quando la legge chiede di accertare la “cessazione totale e irreversibile delle funzioni encefaliche” chiede l’impossibile e affida la diagnosi a un’approssimazione. Per altro, la prassi clinica contraddice la legge, perché il paziente cui viene diagnosticata la ‘morte cerebrale’ presenta funzioni vitali – cardiorespiratorie, endocrine, metaboliche etc. – che sono incompatibili con una presunta distruzione totale del cervello.

Infatti, in centinaia di casi l’autopsia condotta su persone dichiarate cerebralmente morte ha evidenziato danni al cervello parziali, limitati, non irreparabili e che avrebbero puto venir curati, se non avesse prevalso la ‘fame di organi’. In Giappone, dove la diagnosi di ‘morte cerebrale’ è stata rifiutata fino al 1999, le persone che in altre parti del mondo venivano definite ‘morte’ erano assistite e in certi casi recuperate a una vita normale, rivelando quanto la stessa prognosi di ‘coma irreversibile’ fosse in molti casi immotivata. Se cito l’esperienza giapponese non è però per insinuare che la diagnosi di ‘morte cerebrale’ possa in certi casi peccare di negligenza o di imperizia. Essa è sempre radicalmente inammissibile, per ragioni di metodo e di pensiero.

Si può capire l’incongruenza della legge citata riferendola ad altre fenomenologie. Per esempio, se dicessimo: “il concepimento è la cessazione del mestruo”, oppure: “il sonno è un’assenza di onde beta nel cervello” diremmo una palese sciocchezza. Il concepimento include ma insieme trascende l’assenza di flusso mestruale, come il sonno l’assenza di onde beta. Ben oltre questi segni, il loro significato comprende un’enorme varietà di altri fattori costitutivi. Analogamente, a prescindere dai limiti degli strumenti impiegati, è assurdo far coincidere la morte con la cessazione delle funzioni encefaliche.

“Quando un soggetto è morto v’è in lui una cessazione di funzioni encefaliche, quindi, se v’è in lui una cessazione di funzioni encefaliche il soggetto è morto” è un ragionamento chiaramente fallace. Il fatto è che la legge richiede l’accertamento di qualcosa che non sa definire. Ma come accerti una cosa se non sai cos’è? Quindi si rifugia in una petizione di principio. Alcuni obiettano che la legge non dice in cosa la morte consista ma come vada accertata. Secondo loro il senso esatto sarebbe: “la morte è avvenuta quando si registra la cessazione ecc.”. Ma è come dire: “il concepimento è avvenuto quando si registra la cessazione del mestruo”.

In sostanza, si pretende che la mera indagine clinica possa, arbitrariamente, senza un vero fondamento logico, definire la morte. Perciò il processo epistemologico cui prima s’accennava viene compresso e capovolto: si parte dall’ultimo punto e ci si ferma al penultimo. Prima si pone una diagnosi che dichiari una cessazione di funzioni encefaliche e poi si decreta che quella è la morte. Questo rovesciamento di piani si spiega solo supponendo un tacito punto preliminare: la necessità di legittimare l’espianto di organi. Si fissa una formula legale per rendere possibile qualcosa che altrimenti sarebbe illegale. Quindi, non è la legge a pretendere dalla medicina un accertamento secondo determinati criteri diagnostici, ma è la medicina a pretendere dalla legge una definizione di morte che autorizzi i criteri diagnostici funzionali al trapianto.

Tutto ciò si fonda quindi su un artificio dialettico, per cui un certo grado di coma, con prognosi negativa, viene equiparato alla morte. Perciò i cinesi, coerenti e pragmatici, espiantavano gli organi ai condannati a morte. La morte sembra una questione di ‘tempo vitale residuo’. Ma chi può dire quanto tempo ci resti? Alcune persone, i cui familiari si sono opposti al prelievo, sono sopravvissute in condizioni di ‘morte cerebrale’ per settimane, mesi o anni. È noto il caso di un bambino, dichiarato ‘morto’ a 4 anni che, accudito a casa dalla madre, che aveva negato il consenso all’espianto, sopravvisse altri 17 anni.

Obiezioni

Spesso si obietta che queste persone sopravvivono solo perché collegate a un respiratore. Non sarebbero realmente vive perché “tenute in vita artificialmente”. Ma con questa stessa espressione – “tenute in vita” – si ammette quel che si vuol negare. Un morto, collegato a un respiratore, non potrebbe respirare. E quante persone dipendono, per vivere, da farmaci, dalla ventilazione meccanica, da un rene artificiale ecc.?

Alcuni propongono di distinguere ‘morto’ da ‘cadavere’. Prima dell’espianto il corpo sarebbe morto, ma solo dopo diventerebbe un cadavere. Difatti, nessuno acconsentirebbe a cremare una persona in ‘morte cerebrale’, a cuore battente. Pare invece legittimo sventrarla. Avremmo così due morti. Una morte A, provvisoria, in attesa di donare gli organi, e una B, definitiva, dopo averli donati; una morte vitale e una cadaverica. Ma come non esiste una donna più o meno incinta – l’apparizione della vita è infatti repentina e rappresenta uno scarto ontologico – in modo analogo non esiste una persona più o meno morta. Se non distinguiamo la morte dal processo del morire potremmo andare a ritroso e trovare evidenze di morte in chiunque.

Altri sostengono che il corpo di queste persone è ancora vivo ma è morta in loro la ‘coscienza’, ciò che le rende ‘esseri umani’. Costoro identificano l’io col cervello e credono dunque di poter dire, sulla base di un esame neurologico, che l’io è morto. Ma questa idea, la si condivida o no, è una supposizione metafisica. Inoltre, la morte della coscienza è a priori una realtà non sperimentabile e indimostrabile. In ogni caso, è arbitrario assimilare la morte a una perdita di umanità, di coscienza o altra particolare prerogativa psicofisica. Negli anni ‘20 dei medici tedeschi proposero di sopprimere alcune categorie di persone perché la loro esistenza era considerata ‘priva di valore vitale’. Così, oggi alcuni vengono sacrificati perché pensiamo che la loro vita non abbia più valore, mentre la loro morte ci può tornar utile.

Per molti, l’opposizione al prelievo di organi è un’ottusa reazione al ‘progresso della medicina”. C’è l’idea che più il medico si serve di procedure sofisticate, di macchinari complessi per la diagnosi, più questa sia sicura e ‘scientifica’. È in fondo l’espressione di quel senso di inferiorità che l’uomo prova ormai di fronte alla macchina da lui stesso creata. Verificare l’assenza di pulsazioni e di respiro è possibile anche a un selvaggio ignorante. L’uso di elettrodi e di strumentazioni moderne, affidate ad esperti, sembra invece garantire un alto tasso di professionalità e di certezza. In realtà è il contrario, perché averla spostata dal cuore al cervello rende la morte molto più problematica e ambigua.

V’è anche una forte censura morale verso chi in tale materia è scettico o dissente. Il rifiuto di ‘donare gli organi’ è visto come manifestazione d’inumana insensibilità. Celebrare il consenso all’espianto come forma di solidarietà e generosità, definirlo “dono di vita”, “estremo atto d’amore”, evocare una commovente e virtuale ‘continuità’ del donatore in altri corpi, è diventato un atto doveroso del perbenismo borghese, della sua etica da soap opera. Ma io fatico a vedere in questo sentimentalismo una nobiltà d’animo. Non mi pare eroico o sublime lasciare ad altri una proprietà che si reputa senza alcun valore, rinunciare ai propri organi vedendovi un’inutile res derelicta. E se anche tale decisione nasce da buone intenzioni, quest’ultime nascono da una cattiva cognizione della realtà.

Infine, la più classica obiezione, che vorrebbe inchiodarci al nostro naturale egoismo, alle nostre paure. Cito le parole di un esponente AIDO: “è facile disquisire in modo astratto su morte encefalica, coma od altro, se si sta bene, ma in che condizioni saremmo se dal trapianto dipendesse l’unica occasione di vita per noi o i nostri cari?”. Pare dunque sia irrilevante distinguere tra coma e morte. Se anche il prelievo di organi fosse un crimine, ciò ha poca importanza, perché il fine giustifica i mezzi, e la mia necessità rende inutile ogni riflessione. Non serve porsi dubbi etici perché, come diceva Hitler, ‘etico’ è ciò che la legge consente.

Conclusione

Dopo aver riflettuto, ammettiamo pure che la morte sia materia indecidibile. Una nostra invenzione, un confine convenzionale che l’uomo traccia tra l’aldiqua e un ignoto aldilà. Una linea immaginaria posta tra ciò che appartiene alla vita terrena e quello che forse, misterioso, sta oltre. Dobbiamo indicare quel limite ma il dubbio ci frena. Allora mi dico: se traccio la linea più in là rischio di giudicare ancora viva una persona già morta e di fornirle quindi un’inutile assistenza medica. Se la traccio più in qua, il pericolo è che io consideri già morta una persona ancora viva e quindi, nel caso dell’espianto di organi, che io la uccida. È un’opzione che non può decidere la scienza ma la mia coscienza.

Io scelgo, come Shakespeare, di segnare quella linea là, dove tutte le funzioni vitali cessano. Ossia, di lasciarla dove è sempre stata, perché ritengo che finché il nostro cuore pulsa siamo ancora legati a questa terra. I suoi elementi scorrono ancora in noi attraverso i canali del corpo, del sangue, del respiro. Solo quando il cuore irrevocabilmente si ferma, anche il cervello muore. Si apre la porta della nostra piccola cella e possiamo andarcene.

Era semplice, un tempo, la morte. Un bambino, un animale, la potevano riconoscere. Capivi che una persona non era più nel suo corpo. Non servivano commissioni ad hoc, collegi di esperti e tecnologie sofisticate. La morte era una candela subito spenta, senza più alcuna tremolante luce. Un ritmo che improvvisamente si ferma, tra un battere e un levare. Non era cerebrale, epatica, polmonare o altro. Era la morte. Invenzione umana e sublime per sancire una fine, e un nuovo inizio. Per tornare umani bisogna riportare il centro dell’essere dal cervello al cuore. Se la nostra società strappa gli organi a persone vive è perché essa stessa è ormai senza cuore. E una società così non poteva che inventarsi una ‘morte cerebrale’.

26 Comments

  • Paola 9 Luglio 2023

    Il trapianto di organi mi fa orrore. E il gaudio che accompagna il reperimento di un nuovo pezzo di ricambio è atroce. Gaudio nell’aver saccheggiato una persona che respira. Sono ripugnanti. Maledetti. Così come lo sono nella insopportabile retorica del continuare a vivere nel corpo altrui…ributtante. Mostruoso. (Per me sarebbe intollerabile anche utilizzare gli organi cadaverici saccheggiando una salma senza respiro. Non nuocerebbero, vero, ma fa comunque specie. Cmq questo è un altro discorso).

    • Lupo nella Notte 13 Luglio 2023

      D’accordissimo. C’è poi un’ulteriore questione sulla quale la tecnologicissima civiltà postmoderna non si perita neanche di interrogarsi, giacché come i cretini dai quali d’altronde per la maggior parte sembra composta, non ha dubbî ma solo certezze; vale a dire sull'”impronta” sottile che ogni organo reca con sé, sorta di orma eterica ereditata dall’essere appartenuto a un diverso organismo biologico. Quante volte è capitato di sentire episodî riguardanti trapiantati che di colpo, dopo la modifica occorsa alla loro “dotazione di base”, hanno manifestato caratteristiche mai possedute prima? Casi di persone che mai si erano interessate di motociclismo, per esempio, e che di colpo sviluppavano una passione in tal senso dopo un trapianto di cuore. Poi si scopriva che il “donatore” era stato un appassionato motociclista… guarda tu le coincidenze.

      Fin troppo avvezza alla reificazione del vivente, in ogni sua declinazione, per tale civiltà sempre troppo terminale per poter pensare che continui ancora a lungo, eppure mai abbastanza per smettere finalmente di farlo, non vi è niente di piú ovvio e scontato che considerare alla stregua di semplici pezzi di ricambio anche gli organi dei corpi animali tutti, dei quali quelli umani non costituiscono, in fondo, che un modesto sottoinsieme.

      Ben altra consapevolezza avevano/hanno le società cosiddette “primitive” – termine doppiamente equivoco, ma lo si usi pure per facilitare la comunicazione – nelle quali la conoscenza sciamanica della realtà infondeva loro la cognizione di come ogni organo possieda una propria anima, che a volte può anche essere non in armonia con quella di altri organi dello stesso organismo, figuriamoci con quelle di organi di organismi diversi.

      Per questo, come tutte le propaggini piú estreme della medicina moderna, anche la trapiantologia è una scie(me)nza nata morta, oltreché di morte. E sempre per questo, i pochi casi di trapiantati con un organo esclusivamente artificiale non sono sopravvissuti piú di qualche settimana (o comunque si sono dovuti sottoporre poi a un ulteriore trapianto di un organo biologico); perché l’anima di un organo meccanico (esiste anche quella…) non è minimamente compatibile con quella degli esseri biologici. Per fortuna, mi sento di aggiungere.

      • Lupo nella Notte 13 Luglio 2023

        ERRATA CORRIGE: volevo dire “non si SOGNA di interrogarsi”

        • Livio Cadè 14 Luglio 2023

          Infatti, pochissimi sognerebbero di farsi domande su questo argomento (l’anima degli organi) che alla mentalità oggi dominante appare pura fantasia. Nell’articolo ho cercato di limitarmi a riflesioni di tipo logico o morale. E un po’ mi sorprende non vedere alcuna reazione polemica, visto che la quasi totalità della popolazione considera la donazione e il trapianto di organi una prassi buona e santa, anzi un tabù ormai intoccabile.

          • Lupo nella Notte 15 Luglio 2023

            Sí, ormai l'”espiantofilia” è entrata a pieno titolo nell’armamentario dogmatico della nuova religione globalista. Chi non si offre per lo smembramento è politicamente scorretto, diamine. E non li si può neanche tacciare di essere avvoltoi, ché quelli aspettano che non vi sia piú né respiro né cuor battente, prima di darsi al banchetto. Altra classe…

          • Paola 15 Luglio 2023

            😉

          • Lupo nella Notte 15 Luglio 2023

            La saluto, Paola,

            sempre lieto di ritrovarla quando passo di qui… e di vedere che è sempre “in pista”. 🙂

  • Livio Cadè 9 Luglio 2023

    È un discorso connesso al tema. Concordo sul rifiuto del trapianto in ogni caso. Anche se gli organi provenissero da un cadavere, e non da un corpo vivo, continuerei a considerarlo un’aberrazione.

  • Daniela 9 Luglio 2023

    Sono assolutamente d accordo con tutto ciò che è stato espresso…per me molto importante è anche cio che avviene su.. altri piani, dall espianto a chi riceve l organo.
    Come non dire che …è un pianeta di demoni?

    • Paola 9 Luglio 2023

      …pensare poi all’efficientissima organizzazione del tutto. Banche dati, segnalazione immediata di organo disponibile, equipe super organizzata che si precipita in loco alla velocità della luce per portarsi via i pezzi della razzia. Demoni, come ha detto giustamente Daniela. Forse anche oltre, se possibile.

  • Livio Cadè 9 Luglio 2023

    Nell’articolo non lo dico, ma bisognerebbe ricordare che v’è anche una donazione a cuore fermo : Non Heart Beating Donor (NHBD), senza presenza di patologie cerebrali. Si prende una persona colpita da arresto cardiaco e, dopo 20 minuti di osservazione (in alcuni Stati solo 5), si giudica che il suo cervello sia ‘morto’. Quindi le si pratica la ECMO (circolazione extracorporea utilizzata per la rianimazione) in modo da tenere ‘caldi’ gli organi e la si prepara per la ‘donazione’ (allertamento precoce dell’equipe di prelievo, allertamento della sala operatoria ecc.). Di fatto, le Terapie Intensive offrono ricche riserve di caccia per il procacciamento d’organi. E Durante la ‘pandemia’ ancor di più.
    Il Centro nazionale trapianti esulta: “Il 2022 è stato l’anno record per le donazioni d’organo in Italia”. Naturalmente, come sempre, bisogna ricordare che tutto questo è fatto “per il nostro bene”.
    Infatti il Ministero ricorda che: “I principi da osservare scrupolosamente, in ogni fase del percorso, sono: attenzione allo statuto di persona vivente e alle sue specifiche esigenze terapeutiche, rispetto della dignità del cadavere e pietas verso i defunti , ossequienza al fondamento consensuale , applicazione del principio di precauzione” ecc.
    Peccato che suoni poco verosimile, come quella “ossequienza”…

    • Livio Cadè 9 Luglio 2023

      Mi accorgo di essermi espresso male. La ECMO, da quel che ho potuto sapere, si attiva quasi immediatamente, dopo un paio di minuti dall’arresto cardiaco. 20 minuti è il tempo necessario in questi casi per certificare la morte e far passare il poveretto dallo stato di ‘potenziale donatore’ a quello di ‘donatore’ effettivo.

    • Paola 9 Luglio 2023

      Non lo sapevo. Quindi, mi ripeto: maledetti.

  • Paola 9 Luglio 2023

    Non dimentichiamo quanta “esperienza” infame i luminari della razzia si sono fatti a spese degli animali. Rileggevo la biografia e le nefandezze di C. Barnard (ero bambina all’epoca, non potevo immaginare) e mi sono imbattuta nel nome di V. Demichov. Non lo conoscevo, ho cercato…Dio mio. Uscita subito dalla pagina. Subito.

    • Livio Cadè 9 Luglio 2023

      Sì, è orribile. Ma non dimentichiamo Robert White e i suoi trapianti di teste sulle scimmie. C’è qualcosa di folle e infernale. White diceva che non trapiantava i cervelli, lui trapiantava il corpo intero (cioè si scarta il corpo, si conserva la sua testa e le si attacca un corpo nuovo). Questo sarà la trapiantologia del futuro? Vecchi danarosi col corpo malandato si compreranno corpi giovani e sani per attaccarci la loro testa o per impiantarci il loro vecchio cervello? Per ora non è possibile, ma il ‘progresso’ della chirurgia ci fa ben sperare.

      • Paola 9 Luglio 2023

        “Robert J. White…10 figli dalla moglie…devoto cattolico…membro della Pontificia Accademia delle Scienze.”
        ????????????????????????????????

        • Livio Cadè 9 Luglio 2023

          Proprio lui. Anima pia. Come DeBakey, che diceva di fare il suo lavoro per compassione del prossimo. Tutti ferventi vivisezionisti, massacratori di animali. Sintesi tra macellai e dottor Frankenstein.

          • Paola 9 Luglio 2023

            Morto a 100 anni. Oggi la domenica delle scoperte. Degli orrori.

  • Paola 9 Luglio 2023

    *quasi 100, per essere precisi. Senza parole.

  • Paola 9 Luglio 2023

    **…più di 1 milione di dollari per rimetterlo completamente in sesto dopo un’operazione subita a 97 anni…

    Per oggi è sufficiente, direi.

  • Paola 14 Luglio 2023

    Notizia fresca, la normalità: sud Italia, 51enne malore improvviso, 5 equipe in sala operatoria per espiantare, 30 ore di razzia, i pezzi distribuiti in varie regioni. I figli e il marito, : “gli organi sono vita e speranza”. Chissà come li convincono, se non sono già convinti di loro. Immagino la sollecitudine dei camici.

    • Paola 14 Luglio 2023

      …c’è anche un gradevole elenco: “il fegato è stato prelevato dal Policlinico di *, il cuore è stato preso dai cardiochirurgo di *…etc”.

      • Paola 14 Luglio 2023

        -cardiochirurghi (plurale). A parte l’errore da tastiera, trascurabile, non vorrei sminuire l’entità dei partecipanti.

    • Paola 14 Luglio 2023

      L’efficienza. Magari stai crepando in un PS con infarto in corso e sei in codice superverde perché ti dicono che hai preso un colpo di freddo. Ma in questi casi sono macchine da guerra. L’efficienza.

    • Livio Cadè 14 Luglio 2023

      “E’ impossibile trovare le parole per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore. L’orrore ha un volto. E bisogna farsi amico l’orrore, orrore, terrore, morale e dolore sono i tuoi amici…
      Questi (medici) non erano mostri, erano uomini, quadri addestrati, uomini che hanno famiglia, che fanno figli… Bisogna avere uomini (medici) con un senso morale, e che allo stesso tempo siano capaci di utilizzare i loro primordiali istinti di uccidere senza emozioni, senza passione, senza discernimento, senza discernimento.” (Apocalypse Now)

  • Livio Cadè 15 Luglio 2023

    A Paola, sul plurarale e il singolare. Sì, è sempre un lavoro d’équipe, sapientemente coordinato, precocemente allertato. Quando si tratta di aggredirci, di depredarci, le istituzioni funzionanano sempre perfettamente, con implacabile efficienza. Nel caso dei trapianti, con una solerzia particolare ed encomiabile.
    Una mia amica, medico, favorevole ai trapianti, mi raccontava d’esser rimasta sconcertata dalla rapidità con cui certi disgraziati, vittime di incidenti, vengono intubati senza alcuna reale necessità, solo per poterli aggiungere alla lista dei potenziali donatori.
    Se non è efficienza questa!

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