Come si scrisse su queste pagine già parecchi anni fa quando cominciò a girare la cosiddetta “teoria del gender” elaborata nelle università progressiste americane, essa si riferisce a quello che qualcuno si sente di essere dal punto di vista sessuale e non a quel che effettivamente è biologicamente e dimostra esteriormente di essere, con tutte le conseguenze pratiche che tale sensazione strettamente personale può comportare a livello di sue esigenze e richieste specifiche. Insomma, è un contrasto fra soggettività e oggettività. Nella “società liquida” teorizzata da Z. Baumann esiste dunque il “sesso liquido”.
Un nome famoso a livello mondiale, non uno qualunque, come la scrittrice J. K. Rowling, la creatrice della fortunatissima saga di Harry Potter prima romanzi poi film, ha detto senza mezzi termini che si è donna solo se si hanno le mestruazioni, una ovvietà che però gli ha attirato gli strali della cosiddetta “comunità LGBT” e addirittura dei giovani attori del film ispirato alle sue storie (e che quindi a lei debbono la loro fortuna). Il conformismo del “politicamente corretto”, come si è spesso notato, sta diventando una dittatura mentale e materiale, specie nei Paesi di lingua inglese pretendendo di essere ormai la sola e unica Verità intollerante nei confronti di chi la pensa diversamente, mentre invece pretende tolleranza nei confronti di chi viene percepito come “diverso”. Vuole ormai essere la norma e regola cui ci si deve adeguare per guidare così la transizione verso una società liquida dal sesso liquido. Da qui, ad esempio, gli interventi sulla cultura popolare (fumetti, cartoni animati, cinema) dove gli eroi classici devono oggi avere comportamenti “inclusivi” che si riferiscono ai “diversi” compresi l’omosessualità e le droghe.
Adesso si sta cercando di introdurre in modo indiretto il concetto di gender anche in Italia a livello legislativo. Il primo tentativo fallito fu con l’articolo 1 del DL Zan che lo legittimava surrettiziamente: venne chiesto di modificarlo ma non lo si volle fare. Il Disegno di Legge venne affossato in Parlamento non avendo ottenuto la maggioranza. Parce sepulto.
Turro questo si appaia alla battaglia sempiterna per la cosiddetta “parità di genere” (che nulla ha a che vedere con le cosiddette “quote rosa” che dobbiamo alla genialità dal ministro/a di centrodestra Prestigiacomo) e con la “battaglia delle parole”. La sinistra ha avuto sempre la fissazione, diciamo pure l’utopica ossessione, di cambiare la realtà effettuale cambiando le parole, le definizioni, invertendo così il famoso detto che allora diventa: res sunt consequentia nominarum…
Mutamenti che sono dunque calati dall’alto e non una evoluzione della lingua, non diversamente dal deprecato fascismo che, con le veline del Minculpop ai giornali indicava quel che si doveva dire e non doveva dire (esempio banale: vigili del fuoco e non pompieri). Peccato che nessuno mai lo ricordi. Modifiche imposte d’autorità e non avvenute con l’uso corrente del linguaggio parlato dalla gente, perché per i progressisti modificare le parole vuol dire modificare la realtà, il mondo, come si è accennato.
Sicché la modifica imposta delle parole abbinata alla fissazione della “parità di genere” ha portato alla fine del luglio scorso ad un grottesco episodio in Senato, dove una illustre esponente dei Cinquestelle, di professione papirologa, ha proposto una norma per “evitare un unico genere nella identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità fra uomini e donne” chiedendo al Consiglio di Presidenza di Palazzo Madama di dettare delle regole in tal senso per le “comunicazioni istituzionali”. Infatti, come ben si sa nella lingua italiana si usa di solito “un unico genere”, il maschile, quando ci si riferisce indistintamente sia a uomini che a donne: considerato oggigiorno un fenomeno di maschilismo si deve quindi superare. Però la proposta, votata a scrutinio segreto, non ha raggiunto la maggioranza richiesta ed è stata bocciata suscitando violente recriminazioni e accuse (in primis dalla immarcescibile Laura Boldrini). Ora, la votazione a scrutinio segreto è stata richiesta ed ottenuta da Fratelli d’Italia. Evidentemente si sapeva che molti in coscienza, anche fra i senatori di sinistra, non se la sentivano di votare “sì” soltanto per disciplina di partito. Il voto segreto, svincolato dalla obbedienza di schieramento politico, consente di essere a posto con la propria coscienza specie in un caso in cui la politica-politica non c’entra un bel nulla.
Quindi la “comunicazione istituzionale” di Palazzo Madama resterà quella che è sempre stata. Così come le regole grammaticali e sintattiche della lingua italiana che si vorrebbero modificare d’autorità, invece che con l’uso del parlare quotidiano, per venire incontro alle fisime della società e del sesso liquidi, con l’invenzione, aggiungiamo, di termini, articoli, pronomi neutri (inesistenti in italiano) artificialmente e artificiosamente inventati per esserne sempre più “inclusivi” di minoranze che cavalcano l’onda della emotività gonfiata dai mass media progressisti, paladini del politicamente (sessualmente) corretto (un solo esempio: su una copertina del supplemento settimanale del Corriere della Sera campeggiava una lei/lui in bikini con la dicitura del tipo: Fin da piccolo guardandomi allo specchio mi vedevo femmina…)
Gianfranco de Turris