La progressione è netta, inequivocabile. A maggio l’Austria era stata ad un pelo dall’eleggere un Presidente della Repubblica dichiaratamente anti-UE ed anti-immigrazione; poi erano arrivati i voti degli austriaci all’estero a rimettere tutto in discussione, ma in maniera talmente sguaiata e sospetta da portare all’annullamento delle elezioni. Poi, a giugno, il referendum inglese sulla Brexit; anche qui un provvidenziale aiutino per la causa europeista (l’assassinio della deputata laburista Jo Cox), che tuttavia non era stato sufficiente a fermare la valanga populista. A novembre, infine, le presidenziali americane, vinte da un solitario Donald Trump contro la coalizione dei potenti di tutto il mondo.
E adesso, il 4 dicembre prossimo, un doppio appuntamento elettorale: in Austria si torna a votare per le presidenziali (e questa volta si spera che non ci siano indebite ingerenze), ed in Italia si vota per il referendum sulla riforma Renzi-Boschi-J.P.Morgan.
Cosa succederà? Lasciamo stare per ora l’Austria, e veniamo alle cose di casa nostra. Se dobbiamo credere a quel che si sente per le strade, il benservito a Renzi dovrebbe essere corale. Non il “lieve vantaggio” che tutti i sondaggi riconoscono ai NO, ma una vera e propria valanga.
Per quel che può valere la mia personale esperienza: dai contatti con la vasta cerchia (assolutamente trasversale) delle mie amicizie, tolti gli elementi “schierati”, solamente due soggetti hanno dichiarato di voler votare SI. Ed entrambi non per fiducia nel Presidente del Consiglio, ma per paura che una vittoria del NO possa favorire l’ascesa di Grillo.
Ove il mio personale sondaggio dovesse in qualche modo rispecchiare una più vasta realtà, se ne potrebbero trarre due indicazioni di carattere generale. Primo: il Vispo Tereso non incanta più nessuno e, a lungo andare, il suo bluff non regge più. Secondo: in Italia c’è una larga fetta di elettorato che ha paura di Grillo, che nell’immaginario collettivo dei benpensanti ha preso il posto de “i comunisti” di berlusconiana memoria.
Per strano che possa sembrare, sono loro – i berlusconiani dimezzati, gli eterni “moderati” – a costituire l’ultima linea di difesa di questa incredibile riforma costituzionale. E, tuttavia, le certezze dei moderati vacillano quando si spiega loro come stiano realmente le cose. Il grillismo è un fenomeno fisiologicamente minoritario; e, paradossalmente, l’unica congiuntura che potrebbe spingerlo al governo è proprio il combinato disposto delle riforme renziane (Boschi+Italicum). Questo, infatti, è stato concepito al tempo degli 80 euro e del 40,8 per cento di voti al PD, nel presupposto che il Pifferaio dell’Arno potesse continuare a primeggiare per sempre sulla scena politica italiana e che gli si dovesse consegnare su un piatto d’argento il potere assoluto. Potere assoluto che, stando alle previsioni di questo momento, la riforma consegnerebbe invece – udite, udite, amici moderati – proprio ai Cinque Stelle; a meno che – come io spero – da qui alle elezioni la Destra sovranista-populista non riesca a costruire uno strumento politico all’altezza del còmpito.
Ecco, è qui il nocciolo del problema: un po’ tutti hanno sbagliato i calcoli. Non solo li ha sbagliati – nella sua immensa presunzione – il Pascolatore di Bufale Toscane, ma anche le grandi banche d’affari di Wall Street, autorevoli suggeritrici delle “riforme strutturali” che dovrebbero ridurre progressivamente gli spazi di democrazia in tutta Europa. Banche d’affari che, insieme a fondi speculativi, agenzie di rating, finanzieri travestiti da filantropi, usurai in servizio permanente effettivo, fiancheggiatori occulti (ma non troppo) del terrorismo islamico e onorata compagnìa, hanno preso una legnata dopo l’altra (in Austria, in Inghilterra, financo negli Stati Uniti) e che sembrano essersi accorte solo ora – e con grande scandalo! – che i popoli non sono disposti a farsi incaprettare col sorriso sulle labbra, e che reagiscono con l’unico strumento che hanno a disposizione: quello del voto.
Ma torniamo alle vicende di casa nostra. Quale sarà l’esito del referendum? Nessuno ha la sfera di cristallo e – per quanto personalmente mi riguarda – le uniche previsioni che mi sento di fare sono limitate all’orizzonte delle mia cerchia di contatti. Ma c’è qualcuno che, se non proprio la sfera di cristallo, ha comunque qualche elemento in più per giudicare. E questo qualcuno è il titolare degli Interni. A quel Ministero, infatti, una volta affluivano riservatamente – e penso che possano ancòra affluire – i sondaggi veri, sotto forma di previsioni che le singole prefetture effettuavano su quello che ragionevolmente avrebbe potuto essere il risultato nei territori di competenza. Previsioni che – sempre una volta – venivano poi integrate dalle sensazioni che le “antenne” dei servizi segreti captavano in periferia e trasmettevano al centro.
Orbene, se ancòra oggi le cose funzionano più o meno come una volta, l’unico che possa avere qualche dato più degli altri è certamente il Ministro degli Interni, Angelino Alfano. E sentire il povero Angelino disquisire sul fatto che se vincesse il NO il governo non dovrebbe comunque dimettersi, mi fa pensare che i dati di cui è a conoscenza non siano proprio confortanti per la sua parte politica. E poiché – mi ripeto – i sondaggi ufficiali danno il NO in lieve vantaggio, ne deduco che i sondaggi veri possano prefigurare un vantaggio ben più consistente. La mia non è una previsione. È una deduzione, da appassionato lettore – quale sono – di romanzi gialli: «Elementare, Watson, elementare…» avrebbe detto Sherlock Holmes.
Deduzione “letteraria”, dunque. Cui però associo volentieri una considerazione di carattere politico: gli italiani non sono più fessi di austriaci, inglesi e americani. Voto degli italiani all’estero permettendo, naturalmente.
LA SCOMPARSA DI FIDEL CASTRO
Al momento di consegnare l’articolo, apprendo della morte di Fidel Castro. A costo di scandalizzare qualcuno, dirò che il vecchio rivoluzionario mi piaceva. E il fatto che fosse un dittatore non modifica certo il mio giudizio. D’altro canto, l’America Latina è il continente delle dittature: quelle dichiarate, e quelle travestite da istituzioni democratiche.
Fingere di scoprire – solo adesso! – che Fidel Castro era un dittatore, è un semplice esercizio di ipocrisia e di conformismo. Fidel Castro era certamente un dittatore, ma almeno i benefìci della sua dittatura sono andati al popolo e non ad una oligarchia di lestofanti. In ogni caso, meglio lui che il dittatore che lo aveva preceduto: il “democratico” e “progressista” e “antifascista” Fulgencio Batista, uomo delle multinazionali e garante degli equilibri gangsteristici della Cuba degli anni ’50.
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