8 Ottobre 2024
Intervista Percivaldi

Elena Percivaldi e la storia celtica

Ereticamente ospita tra le sue pagine web Elena Percivaldi, medievista, scrittrice, giornalista, critico d’arte e musicale. Titolare della Perceval Archeostoria, è esperta di storia e tradizioni del mondo celtico e annovera una importante produzione bibliografica.
Ereticamente, nel ribadire il proprio impegno metapolitico si associa alla critica della nostra interlocutrice verso il mondo politico (soprattutto quello di centro-destra)  distratto e il più delle volte assente verso la Cultura.  “…piuttosto che organizzare convegni, conferenze e iniziative didattiche sulle radici dei nostri popoli e sulla nostra Storia che, a parole dicono di voler promuovere,  fanno (i politici ndr) poi a gara nel costruire strade e fare concessioni edilizie: cose che, evidentemente, interessano di più per i motivi che è facile intuire. Ma non è con questo tipo di mattoni che si costruisce l’identità di un popolo.”

intervista a cura di Steno Lamonica dell’associazione Aretè

A) Dottoressa Elena Percivaldi, Lei è una studiosa del Mondo Celtico: la cultura dei Celti è ancora presente in Italia?
Quella dei Celti anche da noi è una civiltà antichissima, anche se pochi lo sanno. Prevale ancora  nell’immaginario collettivo l’idea che i Celti valicarono le Alpi, misero a ferro e fuoco la Pianura Padana e si diressero a Roma, dove Brenno e i suoi la saccheggiarono spietatamente per poi tornarsene a casa loro senza lasciar traccia  se non un mucchio di rovine fumanti. Niente di più falso E’ ormai assodato che la loro prima apparizione dalle nostre parti non va fatta risalire alla famosa “invasione storica” del VI-V secolo a.C. – quella di cui parla ad es. Tito Livio e che si concluderà appunto col celeberrimo sacco  perpetrato da Brenno – ma a secoli prima. E’ stato ampiamente dimostrato che le popolazioni afferenti la cosiddetta cultura di Golasecca, insistente su un territorio che aveva il suo fulcro lungo il fiume Ticino e valicava le Alpi, appartenessero alla koinè celtica europea. Commerciavano col centro Europa e col Mediterraneo e anzi facevano da cerniera, commerciale e culturale, tra il cuore del continente e le sue propaggini meridionali, parlavano una lingua celtica (il lepontico) testimoniata da abbondanti iscrizioni ed esportavano ovunque manufatti di grande pregio, come dimostrano i corredi di alcune tombe principesche centro-europee come  quella, straordinaria, di Hochdorf. Lo spettacolare divano di bronzo lungo 2 metri e mezzo e interamente decorato sembrerebbe addirittura, per motivi stilistici, una creazione insubre: come dire che la Lombardia esportava “mobili di lusso” già millenni fa e non solo adesso. Se poi, come tutto sembra provare, già la cosiddetta cultura di Canegrate portava i segni del celtismo, la presenza di tali genti nelle nostre terre va anticipata addirittura al XIII secolo a.C.  Quando i Celti d’Oltralpe (chiamiamoli per brevità Galli ma in realtà si trattava di molte tribù di varia provenienza: i Boi, i Lingoni, i Senoni, Cenomani, Biturigi, Vertamocori, ecc.) nel V secolo a.C. arrivarono da noi, trovarono genti molto simili che già peraltro conoscevano per via dei contatti commerciali. L’archeologia dimostra che la loro occupazione del territorio in Pianura Padana non avvenne in maniera traumatica: semplicemente, occuparono i territori liberi e qui fondarono nuove città come ad es. Medhelan, la futura Mediolanum (Milano). Una parte proseguì il suo viaggio a sud, alcuni si stanziarono a Bologna (Bononia, dai Boi)  e Senigallia (Sena Gallica), altri si spinsero fino a Roma, altri ancora furono assoldati come mercenari in guerre e guerricciole. Se la loro presenza fosse stata irrilevante, come si spiega l’aiuto decisivo che fornirono ai Cartaginesi durante le guerre puniche, un aiuto tale che Annibale arrivò ad un passo da sconfiggere Roma? Piuttosto che cercare sdrucciolevoli tracce di un presunto celtismo rimasto inalterato dopo millenni – cosa francamente assurda vista la storia d’Italia, da sempre crocevia di popoli diversissimi -, direi comunque che sarebbe il caso in primo luogo che questi dati divenissero di dominio pubblico e non restassero invece appannaggio dei soliti specialisti. E lo dico non certo per nostalgia verso epoche passate: semplicemente, per restituire ai Celti il loro ruolo storico riconoscendo l’importanza indubbia che hanno avuto, insieme ad altri, nella formazione dell’identità del nostro Paese. Semmai, sarebbe opportuno riconoscerne l’eredità spirituale che permane, ad esempio, nella religiosità popolare e nel folklore: aspetto a torto snobbato dagli studiosi perché troppo “pop” e invece parte integrante del patrimonio culturale e tradizionale, ancora oggi, delle nostre genti.
B) La musica celtica è veicolo di trasmissione del Celtismo: si potrebbe fare di più e meglio qui da noi?
La musica celtica è suggestiva, commovente e ancestrale e come tutte le espressioni culturali “vere” e autentiche contiene l’anima di un popolo e della sua cultura. Anche per questo è stata, ed è, apprezzata anche là dove i Celti non sono mai arrivati. Il linguaggio della musica è universale e parla a tutti i popoli indistintamente: non per nulla è uno dei più antichi mezzi di espressione e di comunicazione usati dall’uomo. La musica celtica anche da noi è molto popolare, basta vedere il successo dei numerosi Festival che la propongono ogni anno in tutta Italia, frequentati da migliaia di persone, e dai tanti gruppi che la suonano anche e soprattutto per passione. Io distinguo però sempre la musica celtica di stampo storico e filologico, quella cioè che cerca di ri
costruire le antiche sonorità con strumenti tradizionali, da quelle compilation, tanto di moda, di musica New Age che sono belle e rilassanti ma col celtismo non hanno proprio nulla a che fare.

C) E’ negativamente limitativo privilegiare cibi,vestiario o fatuo esibizionismo nell’atteggiarsi ai Celti e non coltivare  spiritualità e religiosità degli Avi Celtici. Concorda?
Mi capita spesso di frequentare rievocazioni storiche dove sono presenti gruppi che si ispirano al mondo celtico. Debbo dire, onestamente, che il più delle volte la scelta di queste persone non è affatto esibizionista o superficiale, anzi è anche una scelta di vita: anche quando sono “in borghese” si vestono in maniera alternativa, mangiano i prodotti della tradizione, cercano di fabbricarsi vestiti e utensili e di vivere in modo più vicino ai ritmi dettati dalla natura, e spesso hanno recuperato anche una spiritualità vicina al paganesimo antico. Certo, non è semplice nel mondo contemporaneo fare scelte di questo genere, tanto più che vengono incomprese, guardate con sufficienza o addirittura demonizzate. A loro invece, secondo me, va il massimo rispetto, come va a chiunque decida di vivere in maniera coerente e in armonia con la propria coscienza. Purché il tutto avvenga nel rispetto dei diritti altrui e di chi la pensa in modo diverso.

D) Verden 782 d.C, 4500 Sassoni trucidati da Carlo Magno perché rifiutavano la conversione al Cristianesimo essendo Pagani.725 d.C. san Bonifacio,volendo evangelizzare la politeista Germania, taglia personalmente –che tolleranza!…- la Sacra Quercia  consacrata al Dio Donar,uno dei simboli più importanti per i Germani e al suo posto  fa costruire una chiesa. Ferite ed offese sempre sanguinanti per il Mondo Indoeuropeo di cui poco si scrive…

Episodi così ce ne sono a migliaia: aggiungiamo san Barbato che nel 663 a Benevento abbatte la sacra arbor venerata ancora dai Longobardi e fa fondere il simulacro a forma di serpente, che adoravano, per trasformarlo in calice per l’eucarestia… Per onestà intellettuale, va però detto che questo approccio “violento” nei confronti del paganesimo fu esercitato dalla Chiesa in un numero importante ma tutto sommato limitato di casi. In genere, il tentativo era quello di operare un sincretismo tra i culti pagani e quelli cristiani individuando, dove possibile, similitudini atte a rendere il più possibile indolore il passaggio. Alcuni esempi: molte caratteristiche delle feste precristiane di Samonios, Imbolc, Beltaine, Lugnasad si ritrovano rispettivamente nelle nostre ricorrenze di Ognissanti e dei Defunti, della Candelora, di Calendimaggio e di Mezza estate. In sant’Antonio Abate, col suo maiale (in origine cinghiale) ai piedi, come mostrano agiografia e iconografia, non è difficile intravedere la figura del dio Lug e, più, in genere del sacerdote-druido; santa Brigida d’Irlanda, venerata anche da noi, sottende chiaramente il richiamo alla dea Birghit o Brigid; in San Michele Arcangelo si sovrappongono Lug e il germanico Odino. E poi Sant’Orso, Santa Lucia, e via enumerando: tutte figure molto meno ingenue e assai più ricche, complesse e stratificate di quanto si creda. Figure che puntano dritte alle radici più arcaiche dell’Europa.

E) Karl Marx ha minacciato – causando carneficine – che la religione è l’oppio dei popoli. La Cosmologia Celtica come risponde a questa volgarità?

Non saprei proprio. Rispondo per me stessa però, e magari la farò arrabbiare: se la religione (qualsiasi essa sia) viene utilizzata per imporre la propria Weltanschauung agli altri o per calpestare i diritti del prossimo in nome e per conto di una divinità usata come spauracchio, allora sono convinta anche io che sia oppio dei popoli.

F) La Sinistra –ormai al servizio del Capitale-ha tentato di appropriarsi di talune tematiche celtiche. Una clamorosa autorete?
Sinistra o destra, ciò che conta per me è la filologicità della questione. Sono una storica, non faccio e non voglio fare politica se non nelle mie scelte quotidiane (che credo contino più di mille proclami) e sono convinta che a commettere autogol sia chiunque tenti di  appropriarsi della Storia tirandola per la giacchetta dalla sua parte. E questo a prescindere dalle bandiere.
 

G) La “Croce Celtica” è uno dei simboli d’Europa. Eppure ha contro una “DAMNATIO MEMORIAE”. Minaccia alla libertà?

Più che altro idiozia collettiva. Il fatto che la croce celtica sia stata utilizzata da chi sappiamo per i fini altrettanto noti non giustifica completamente, a mio modestissimo parere, la demonizzazione del simbolo in quanto tale. Basterebbe semplicemente reinserirlo nel suo contesto sfrondandolo dall’ideologia, restituirlo al suo antichissimo significato e smettere una buona volta di profanarlo con parole d’ordine che non gli appartengono.

H)L’Inghilterra,una tantum,ha dato una lezione di serietà civica parificando recentemente il DRUIDISMO alle altre Religioni riconoscendolo legale a tutti gli effetti. Cosa accade in Italia?

In Italia credo che ciò non si verificherà mai per una serie di motivi contingenti e facilmente comprensibili. Ma la colpa non è certo della Chiesa, la quale si limita – mi si passi l’espressione – a fare il suo mestiere. Il colpevole maggiore è lo Stato, che per definizione dovrebbe essere laico e garantire libertà di culto a tutti, mentre invece continua a inserirsi indebitamente in questioni che non gli competono. Trovo sbagliatissimo, ad esempio, imporre la presenza del crocifisso nelle aule pubbliche, e non certo perché penso che questo possa turbare le coscienze o addirittura offendere qualcuno, anzi. Come se un cristiano avesse bisogno di vedere il crocifisso per sentirsi, sempre e comunque, tale! Se lo Stato deve essere equidistante, perché poi sposa un simbolo a discapito di un altro?  Per questioni di difesa dell’identità? Diciamolo chiaramente: l’identità per un popolo è fondamentale. Se ognuno conosce da dove viene e chi è, non ha certo paura di confrontarsi con l’altro e non ha bisogno di difendersi. Però l’identità non è solo un fatto di religione. E’ un fatto di cultura. Anche la lingua è fondamentale, così come la storia, lo studio e la conoscenza di quello che siamo stati nel nostro passato.  Allora, se lo Stato giustamente vuole preservare ta
le identità, perché ad esempio non difende con altrettanta veemenza – come fanno altri Paesi a casa loro – la lingua italiana dall’ingerenza dell’inglese e dalle continue violenze cui è sottoposta dalla pubblicità, dalla moda e dalle scorciatoie degli sms? Leggo sempre più spesso sconcertanti statistiche sull’ignoranza dei nostri ragazzi a scuola, che si diplomano scrivendo anche nei temi “ke” invece di “che” (e magari fosse una citazione del Placito di Capua!!!!), hanno dimenticato l’uso del congiuntivo e hanno una proprietà di linguaggio e una conoscenza del vocabolario pari a quelle di un bambino delle elementari. Come si fa a difendere l’identità di un popolo che non conosce più nemmeno  la sua lingua? Perché lo Stato continua a mortificare il patrimonio morale del Paese tagliando sulla scuola, sulla cultura, sui musei, su recupero, tutela e valorizzazione dei nostri beni architettonico-paesaggistici, sperperando in pochi decenni un’eredità preziosissima accumulata dai nostri avi nel corso dei millenni? Un popolo senza cultura e senza storia è facile da soggiogare, da asservire, da trasformare in consumatore al servizio delle multinazionali e preda della globalizzazione. Questo, ne sono convinta, è il pericolo più grande.

L) La “Lega Nord” ed il Mondo Celtico. Ci si aspettava di più da chi usa il Rito Pagano del Dio Po. Tanto di più pensando anche che la “Lega Nord” è  al Governo.
Ho già parzialmente risposto prima parlando dell’approccio che il governo, come del resto  altri nella nostra recente storia, ha nei confronti dell’identità: un concetto che viene rispolverato ad usum delphini solo quando fa comodo, un fantasma da agitare davanti alle folle quando si vuole chiamarle a raccolta nel momento del pericolo, una parola che viene pronunciata a sproposito per fomentare odio nei confronti di ipotetici (e strumentali) nemici o per distrarre le masse dai problemi reali del Paese. Avere a cuore l’identità non è solo giusto ma è anche doveroso, sia chiaro, e su questo non ci piove. Però poi occorrerebbe far seguire alle parole i fatti. Abito al Nord e in genere non vedo, salvo poche e per questo ancor più encomiabili eccezioni, le amministrazioni distinguersi nell’organizzare iniziative serie che portino alla cittadinanza la Storia. E’ varo, sono falcidiate dai tagli. Ma non basta. Che quelle di centro-sinistra non abbiano interesse per queste tematiche non mi stupisce. Ma mi stupisce che quelle di centro-destra, invece di organizzare convegni, conferenze e iniziative didattiche sulle radici dei nostri popoli e sulla nostra Storia che a parole dicono di voler promuovere,  facciano poi a gara nel costruire strade e fare concessioni edilizie: cose che, evidentemente, interessano di più per i motivi che è facile intuire. Ma non è con questo tipo di mattoni che si costruisce l’identità di un popolo.

M)Lei ha numerosi attestati e scritto molto. Recentemente ha vinto anche il Premio Italia Medievale: i Suoi prossimi lavori?

Oltre alle collaborazioni con varie riviste di settore come Medioevo e Civiltà e ad altre di carattere più specialistico, sta per uscire un volume, a mia cura e con mio ampio contributo, che raccoglie gli Atti di un importante convegno sul Seprio nel Medioevo svoltosi la primavera del 2010 a Morazzone (Va), amministrazione questa sì – come molte altre del Varesotto e dell’Insubria –  molto attenta alla propria storia e alle proprie radici antiche. Poi, ho scritto la parte relativa alla storia antica in un volume su Biassono, importante paese della Brianza, anche questo di prossima uscita. Per il 2012 sono previsti altri saggi e volumi su vari argomenti ma per ora non posso dire di più: aspetto di avere in mano buona parte del lavoro.  Intanto, giro l’Italia con un mio collega archeologo  cercando di diffondere il più possibile con conferenze, corsi, seminari e iniziative didattiche, la conoscenza della storia dei Celti, dei Longobardi e del Medioevo. Sperando che questo lavoro faticosissimo non sia vano.

*******
Elena Percivaldi nel 2001 consegue la Laurea in Lettere Moderne con il massimo dei voti all’Università degli Studi di Milano con una tesi di storia medievale (“La canonica di S. Stefano nelle pergamene dell’Archivio di Stato di Milano: 1234-1277”, comprendente la trascrizione e lo studio di oltre 200 pergamene inedite). Dal 2002 è giornalista professionista. Ha collaborato e collabora con importanti testate di settore come “Medioevo”, “Storia & dossier”, “Storia in rete”, “Arte”, “Civiltà”, “Exibart”. E’ stata consulente per l’Assessorato alle Culture, Identità e Autonomie della Regione Lombardia. E’ socio della Società Storica Lombarda (dal 2004) e membro dell’Associazione Nazionale Critici Musicali (dal 2006), dell’AICA (International Association of Art Critics), sede a Parigi (dal 2006), dell’AISSCA (Associazione italiana per lo studio delle santità, dei culti e dell’agiografia), dal 2007, della Società Friulana di Archeologia (dal 2007), della Società Archeologica Comense (dal 2011), del Centro Europeo Ricerche Medievali (dal 2009), dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri (dal 2009).
Nel 2011 frequenta il Corso di Formazione “L’allestimento dei musei archeologici”, promosso dalla Rete dei Musei Archeologici di Brescia, Cremona e Mantova e realizzato con il contributo di Regione Lombardia – Direzione Generale Cultura.
Ha pubblicato numerosi volumi:
1999: Le genti bergamasche e le loro terre, Co-autrice con il prof. Ettore A. Albertoni (docente presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Insubria-Como) e Romano Bracalini (giornalista della Rai- Radio Televisione Italiana, scrittore e saggista). Volume pubblicato a cura della Provincia di Bergamo e distribuito a enti, scuole e biblioteche della provincia.
2003: I Celti. Una civiltà europea (Giunti, Firenze), tradotto in spagnolo (Ed. Susaeta, Madrid, tit.: Los Celtas) e tedesco (Tosa Verlag, Vienna, tit.: Das Reich der Kelten)
2005: I Celti. Un popolo e una civiltà d’Europa (Giunti, Firenze)
2006: Gli Ogam. Antico alfabeto dei Celti (Keltia, Aosta)
2008: La Navigazione di S. Brandano. Traduzione dal latino (con testo a fronte), introduzione, note e commento a cura di E. Percivaldi. Prefazione di Franco Cardini (Il Cerchio, Rimini). Il libro ha vinto la sesta edizione (2009) del Premio Italia Medievale.
2009: I Lombardi che fecero l’impresa. La Lega Lombarda e il Barbarossa tra storia e leggenda (Ancora, Milano).
2011: Il Seprio nel Medioevo: appunti su un territorio e la sua storia, in Il Seprio nel Medioevo. Atti del convegno di Morazzone (Va) [tit.provvisorio], in corso di stampa (Il Cerchio, Rimini).
Prefazioni
2009: prefazione a “I cavalieri della Croce Nera. L’Ordensbuch del 1264: Statuto, regola e storia militare dell’Ordine Teutonico” di Pierluigi Romeo Di Colloredo (Ass. Italia – CLU, Genova)
2009: prefazione a “I Segreti di Triora. Il potere del luogo, le streghe e l’ombra del boia”, a cura di Maria Antonietta Breda, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan (Mursia, Milano)
Tra i tanti lavori apparsi su riviste specialistiche, si segnalano inoltre:
2009: Brevi note sulla scrittura longobarda in Italia, in “Terra Insubre”, anno XIV, n. 50
2009: Arminio, alle radici di un mito controverso, in “Terra Insubre”, anno XIV, n. 51
2010: Vlad l’impalatore, spietato tiranno o eroe nazionale?, in “Terra Insubre”, anno XV, n. 53
2010: La necropoli lateniana dei Celti Vertamocori a Dormelletto, in “Terra Insubre”, anno XV, n. 54
2010: La “Navigazione” di Brandano di Clonfert: un’esperienza tra verità storica, mistica e leggenda, in Archivum Bobiense n. XXXI, 2009, pp. 159-212
2011: I Longobardi tra storiografia e mito, in Terra Insubre, anno XVI, n. 57.
2011: La Langobardia e san Michele, in Terra Insubre, anno XVI, n. 57.

4 Comments

  • Riccardo 3 Agosto 2011

    Ottima intervista! Brava Elena e bravo Steno. “I Celti la prima Europa”, così si intitolava una celebre e interessantissima mostra a Palazzo Grassi a Venezia. Peccato che i libri di storia scolastici non dedichino alcuno spazio a questi nostri più illustri antenati.

  • Riccardo 3 Agosto 2011

    Ottima intervista! Brava Elena e bravo Steno. “I Celti la prima Europa”, così si intitolava una celebre e interessantissima mostra a Palazzo Grassi a Venezia. Peccato che i libri di storia scolastici non dedichino alcuno spazio a questi nostri più illustri antenati.

  • Carlo 3 Agosto 2011

    E’ tempo di superare il nazionalismo ottocentesco che ci vuole dalle Alpi alla Sicilia tutti indifferentemente figli della “lupa capitolina” e di rivitalizzare le piccole Patrie sacrificate sull’Altare (massonico) della Patria. Parlare di Celti è parlare la lingua dell’etnonazionalismo che è il solo vero nemico dell’universalismo catto-comunista.

  • Carlo 3 Agosto 2011

    E’ tempo di superare il nazionalismo ottocentesco che ci vuole dalle Alpi alla Sicilia tutti indifferentemente figli della “lupa capitolina” e di rivitalizzare le piccole Patrie sacrificate sull’Altare (massonico) della Patria. Parlare di Celti è parlare la lingua dell’etnonazionalismo che è il solo vero nemico dell’universalismo catto-comunista.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *