Due immagini, due notizie.
La prima è una foto pubblicata da diversi giornali il 26 maggio. Vi si vede la innevata cima di una montagna e una interminabile e compatta fila di persone che salgono verso di essa dal basso. Che c’è di strano? C’è di strano che non si tratta di una montagna qualsiasi, ma dell’Everest con una catena umana di alpinisti che stanno aspettando pazientemente il loro turno per raggiungere la vetta più alta del mondo con i suoi 8848 metri. Attesa di vari giorni all’addiaccio, e infatti in una settimana sono morte dieci persone.
L’altra notizia è del 28 maggio in occasione del bicentenario de L’infinto, forse la più famosa poesia che Giacomo Leopardi scrisse nel 1819. Ecco quel che è avvenuto secondo quanto scritto sul sito di Casa Leopardi: “Grazie alla collaborazione fra Casa Leopardi e il Miur, gli studenti saranno invitati a dedicare la giornata al poeta e a uno dei suoi più noti componimenti. I ragazzi reciteranno L’Infinito in un flash mob che alle 11,30 attraverserà tutta l’Italia, collegandosi idealmente, da una scuola all’altra, con Recanati, città natale del poeta, dove il Miur premierà le scuole vincitrici del concorso dedicato al bicentenario della celebre lirica”. L’idea – purtroppo – è stata di una discendente del poeta, la contessa Olimpia Leopardi, accettata dal ministro dell’Istruzione Bussetti.
Che cosa hanno in comune due fatti tanto apparentemente diversi e distanti fra loro nel tempo e nel luogo? Hanno in comun una clamorosa violazione del silenzio, una offesa alla solitudine, la massificazione di una esperienza personale e interiore. Ricordiamo alcuni versi immortali:
“Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura“.
E poi la conclusione:
“Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare“.
Ecco cosa hanno in comune questi due incredibili episodi: il totale disprezzo per l’immensità, lo spazio infinito, la necessità di sentirsi soli e nudi di fronte a qualcosa di più grande e inaccessibile: la montagna più alta del pianeta, la volta del cielo sopra di noi. Entrambi ti annullano e ti fanno capire chi sei, come sei, dove sei. Ti fanno, contemporaneamente, rientrare in te stesso e ti fanno confrontare con una Natura che non è quella chiacchierona e demagogica degli ecologisti di maniera, ma quella sacra e magica che l’uomo contemporaneo non solo distrugge ma soprattutto continua a non capire pur credendo di difenderla. La gente che si mette in coda per raggiungere una vetta che costò incredibili fatiche e terribili congelamenti a coloro che la conquistarono per primi (l’inglese Hillary e lo sherpa Tenzing il 29 maggio 1953), l’ha trasformata in un fatto commerciale, alla portata di tutti coloro che vi giungono dai quattro angoli del mondo per poter poi dire, sfoggiando foto e autoscatti – oggi più noti col nome di selfie – digitali di cui pavoneggiarsi su Internet, su facebook, nel loro blog: “Ecco, io sono stato in cima al monte più alto della Terra. Bravo, no?”. Figuriamoci un po’…
Il turismo di massa in quei posti dell’Asia, per i quali ci vuole un permesso ed un pagamento al governo del Nepal di appena 11mila dollari a persona, ha prodotto tonnellate di sporcizia, rifiuti, escrementi, rottami, al punto che certi Paesi himalayani, ma non il Nepal che ha permesso questo sconcio di incolonnare un migliaio di turisti pieni di soldi, hanno deciso di bloccarne l’accesso per alcuni anni. Cosa è rimasto della meraviglia di questi luoghi? Oggi gli ecologisti e certi storici della montagna ingaggiati per deprecare la foto in questione, lanciano anatemi, ma al contempo dimenticano, e magari criticano speciosamente, coloro che questa tendenza denunciavano e denunciavano sin da quanto iniziò a manifestarsi negli anni Trenta, Julius Evola tra i rimi. Ma c’è anche chi critica questi limiti: il contingentamento degli alpinisti sul lati francese del Monte Bianco è stato infatti definito “antidemocratico” e “antipopolare”! E ben difficile frenare il “turismo di massa”: è tanta la gente che vuol raggiungere la vetta del Gran Paradiso (4061 metri in Valle d’Aosta) che per evitare “ingorghi” è stati deciso a giugno di stabilire dei “sensi unici” con in una grande città, quelli per chi sale e quelli per chi scende! Le meraviglie del progresso…
Cosa è rimasto del silenzio e della solitudine della montagna, del cammino interiore che deve compiere un vero alpinista? Cioè chi non ritiene di fare del mero sport agonistico, ma si mette personalmente alla prova? Chiedetelo al cantante rap Jovanotti al quale si è concesso di tenere un concerto a Plan de Corones, cima del Trentino-Alto Adige a 2275 metri, suscitando le proteste di Reinhold Messner (9 aprile 2019). Un concerto rap nel regno della solitudine e della pace silente, avallato addirittura dal WWF, è il trionfo di quella cultura plebea e quantitativa, di massa appunto. Dal silenzio delle vette al chiasso delle vette…Lo stesso si può dire di questi ragazzi e ragazzini inquadrati per schiamazzare L’infinito. Ehi, fanciulli, ma le avete lette le parole della poesia: “interninati spazi”, “sovrumani silenzi”, “profondissima quiete”, “immensità”. Ma avete capito bene? Non schiere di studenti vocianti, non urla e parole ad alta voce, non massa di adolescenti e dei loro professori. Non folla ma rifugio in se stessi, non strepito ma sussurro e contemplazione in pace. Ma cosa mai vi hanno insegnato? E li hanno mai veramente letti questi versi il signor ministro leghista Bussetti e la signora contessa Olimpia, non degna erede del conte Giacomo, timido e introverso, che li scrisse a ventun anni? Benissimo le mostre a Recanati, ma di fronte i “flash mob poetici” (sic) Giacomo si sarà rivoltato nella sua tomba al Parco Vergiliano di Piedigrotta… Sarà pure lo “spirito del tempo”, come qualcuno giustificherà questa kermesse, ma non è certo un bello “spirito”. Non si rende “popolare” e “appetibile” alle incolte generazioni del XXI secolo un capolavoro che invece deve essere meditato e recepito interiormente.
Il vero problema che sta alla base di una totale incomprensione e ricezione de L’infinito è che nell’era della connessione sempiterna con tutti e dappertutto, nessuno è più capace di stare solo con se stesso. Si ha addirittura paura di esserlo, forse perché al proprio interno non c’è un bel Nulla. Si ha timore di non avere contatti con gli altri perché ci si dovrebbe confrontare con il proprio Vuoto. E’ nato l’Homo Connexus, involuzione dell’Homo Sapiens. Si è sviluppata oggi una sindrome del distacco dallo smartphone e ci sono centri specializzati per la disintossicazione. Nessuno riesce più ad essere disconnesso, cioè di vivere senza collegarsi ad altri in ogni luogo e momento. Insomma: non essere più capaci di restare soli (e autonomi) è diventata come una patologia che ti travolge e per cui devi essere curato…. Non è una distopia televisiva come Black Mirror, ma la Realtà. Simbolicamente l’“ermo colle” di Recanati di poche centinaia di metri, e l’Everest in Asia di migliaia di metri sono la stessa cosa: un’ascesa al cielo, un contatto più prossimo al divino, un luogo di meditazione e devozione, ed è per questo che su colli e montagne venivano costruiti templi e santuari. Così li vedevano gli antichi e i popoli collegati ad una Tradizione. Gli antichi in Occidente come in Oriente lo sapevano benissimo. Non luoghi in cui concentrare i ricchi vacanzieri e il turismo di massa, anche se magari ci si rimette la pelle, né la scusa per far scendere in piazza o in cortile adolescenti distratti perché questo si ritiene l’unico modo per “coinvolgerli” su un tema culturale.
Gianfranco de Turris