9 Ottobre 2024
Controstoria

EPISTEMOLOGIA DELLA MENZOGNA – (Parte terza. La disciplina dell’occultamento) di Gianluca Padovan

Riprendiamo a parlare della “lancetta – Italia”.

Se nel XIX secolo il “megaporto” prima e la “portaerei” poi erano oggetto d’interessi tutt’altro che italiani e quindi nazionali, vediamo che qualcun’altro s’affaccia alla tavola imbandita.

Difatti anche l’ex colonia britannica, ovvero i futuri Stati Uniti d’America pur alle prese con la Guerra Civile tra 1861 e 1865, ha interessi sull’Italia e sul Mediterraneo.

Sulla ricchezza del Regno delle Due Sicilie sono stati pubblicati numerosi lavori e qui si può utilmente ricordare che la rapina delle sue casse auree servì ai Savoia per risollevare le proprie finanze. Per sommi capi si può menzionare anche il tradimento di vari ufficiali dell’Esercito borbonico, sudditi di Francesco II di Borbone (Napoli 1836 – Arco 1894), ma affiliati alla Massoneria, nonché il genocidio perpetrato da Casa Savoia nei confronti del Popolo del Sud militarmente conquistato e non già “liberato”.

Scrive Luciano Salera: «Così, mentre dalla parte di Garibaldi c’era gente abituata ad andare all’assalto alla baionetta, dall’altra parte c’erano uno stuolo di generali vecchi, inetti, vili se non vogliamo insistere sul “traditori”, che, come per la stragrande maggioranza degli alti comandi della marina napoletana, s’erano venduti al nemico».1

Inoltre: «Il tradimento di Amilcare Anguissola, comandante della fregata Veloce della marina regia ha dell’incredibile. Passò al nemico e la sua nave partecipò alla battaglia di Milazzo, da bordo della quale Garibaldi diresse il fuoco dei cannoni sulle truppe napoletane contribuendo in maniera determinante alla vittoria delle camicie rosse».2

Dopo la conquista del Regno delle Due Sicilie molta gente proseguì la lotta e molti episodi di rivolta sono indicati nei libri di “storia” come episodi di brigantaggio: «Nel Sud si continuò ad assistere a migliaia di episodi di guerriglia; la resistenza fu molto accesa nei primi cinque anni dalla unificazione forzata e durò fino al 1872; nessun fenomeno “delinquenziale” può durare così a lungo in presenza di oltre centomila uomini deputati alla sua repressione. Furono distrutti dai piemontesi 51 paesi alcuni dei quali non sono più stati ricostruiti; simboli di tanta tragedia ricordiamo Pontelandolfo e Casalduni, due comuni del Sannio che si erano ribellati e dove erano stati uccisi alcuni “galantuomini” e 41 soldati che erano stati mandati a reprimere la rivolta. Il 14 agosto 1861 alle quattro di mattina arrivarono due colonne dei bersaglieri, partite da Benevento, al comando del colonnello Pier Eleonoro Negri e del maggiore Carlo Magno Melegari, con l’ordine di Cialdini che delle due cittadine “non rimanesse pietra su pietra”; esse circondarono i paesi per impedire ogni via di fuga e li dettero alle fiamme, cominciarono allora: il tiro al bersaglio sui civili inermi che scappavano per non essere arsi vivi, gli stupri, il saccheggio delle abitazioni, la profanazione delle chiese, mentre i responsabili della rivolta erano già al sicuro sulle montagne; solo tre case rimasero in piedi, al suolo centinaia di civili uccisi [una stima parla di circa 1000]; il colonnello Negri comunicò per telegrafo che “Ieri, all’alba, giustizia fu fatta, contro Pontelandolfo e Casalduni” e terminò la sua carriera 26 anni dopo con la Gran Croce dell’Ordine della Corona d’Italia. Le repressioni piemontesi giunsero anche all’interno delle fabbriche (…). Il bilancio totale delle vittime fu drammatico, fu un vero massacro: le cifre non sono tutte concordi, quelle ufficiali si limitano alle dichiarazioni di La Marmora alla commissione di inchiesta sul brigantaggio dove affermò che “Dal mese di maggio 1861 al mese di febbraio 1863 noi abbiamo ucciso o fucilato 7.151 briganti. Non so niente altro e non posso dire niente altro”. Egli riferisce di un arco di tempo molto piccolo rispetto ai più di 10 anni di rivolta e dobbiamo quindi ragionare complessivamente nell’ordine di decine di migliaia di “briganti” uccisi. Lo storico Roberto Martucci[490] fa un’analisi approfondita dei dati riportati dai vari ricercatori, li elabora e conclude riferendo “una cifra minima di 20.075 e una massima di 73.875 fucilati e uccisi in vario modo” (…). Quasi tutti i “briganti” erano giovani e morirono prima dei 30 anni di vita; non mancavano agguerritissime donne, ricordiamo per tutte Michelina De Cesare che fu catturata, torturata affinché rivelasse i nomi dei partigiani meridionali e, visto che ella si rifiutava di farlo, fucilata e fotografata prima e dopo il supplizio (30 agosto 1868)».3

Nel suo libro-denuncia, Carnefici, Pino Aprile scrive: «I meridionali furono sfoltiti persino con epidemie provocate togliendo l’acqua a cittadine di decine di migliaia di abitanti; a Gaeta, si attribuì quella di tifo, che fece strage, alla deliberata contaminazione dell’acquedotto da parte dei piemontesi con carcasse di animali; la cosa non è provata, ma anche altrove, al Sud, per piegare la resistenza dei meridionali, “furono capillarmente presidiate le sorgenti…, inquinati laghi e pozzi”, scrivono Guido Vignelli e Alessandro Romano, in Perché non festeggiamo l’Unità d’Italia (documenti alla busta 50, fondo Brigantaggio, Archivio storico dello Stato maggiore dell’esercito)».4

Sempre l’Autore documenta anche l’emigrazione di circa 405.000 Italiani dal Sud, a causa dell’invasione e dell’impossibilità di continuare la lotta contro i Savoia. Sarebbe ora che si contassero anche i forzati emigrati dalle terre venete a seguito della conquista militare sabauda.

Nel 1861 si costituisce il Regno d’Italia, dove controllo e gestione sono nelle mani, almeno nominalmente, del Re d’Italia appartenente alla dinastia Savoia.

È utile ricordare anche ciò che taluni hanno definito “le giornate di sangue di Torino”, la manifestazione pacifica avvenuta il 21 settembre 1864 e nella quale appositi “provocatori” hanno fatto scatenare la reazione armata. Il giorno seguente vi è una nuova manifestazione con ulteriori morti tra i civili: «Anche stavolta, “usi obbedir tacendo”, i giovani carabinieri si misero a sparare all’impazzata (…). Un carabiniere iniziò a colpire col calcio del fucile il giovane che portava la bandiera e poi gli sparò addosso, ferendolo gravemente. Alcune pallottole colpirono alle caviglie i soldati del 17° reggimento schierato sotto i portici [“fuoco amico”. N.d.A.] finché uno dei colpi vaganti ferì alla testa il loro comandante, colonnello Colombini. Vedendo l’ufficiale piegarsi in due i suoi fanti iniziarono a far fuoco all’impazzata, credendo che a sparare fossero stati i dimostranti. Ne seguì una “scena tremenda, di orrore e di sangue”, quello di ragazzi, donne, semplici curiosi e tanti popolani inermi, presi in trappola fra due fuochi contrapposti e trasformati in bersaglio dagli eccessi degli allievi carabinieri e dello spaventoso equivoco in cui erano caduti i soldati».5

Ci sarebbe molto da scrivere, o meglio da riscrivere, anche sulla conquista delle terre che furono della Serenissima Repubblica di Venezia e dello Stato Pontificio. Quest’ultimo, dopo l’annessione savoiarda della Romagna e di Bologna e successivamente delle Marche e dell’Umbria, è definitivamente conquistato con la presa di Roma avvenuta il 20 settembre 1870.

Successivamente la cosiddetta “dittatura fascista” è una creazione operata da una parte di questi poteri forti, ma rimane solo e semplicemente un nuovo strumento per il controllo degli Italiani. Non si può sottacere, infatti, come il Fascismo sia stato creato a tavolino da esponenti della Massoneria. E, questo, fermo restando che in Italia non vi è una sola loggia massonica, non vi è una sola corrente di pensiero massonica, così come nel resto nel mondo.

Occorre quindi “non fare di tutta l’erba un fascio”.

L’unico momento in cui in Italia esiste una Repubblica è tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945, quando si costituisce lo Stato Nazionale Repubblicano, poi denominatosi R.S.I., ovvero Repubblica Sociale Italiana. Eppure, anche in questo periodo, numerose persone che vi aderiscono pare che lo facciano con il solo intento di farla naufragare e di garantirsi un proprio potere economico e gestionale dopo il termine del conflitto.

Dall’anno 1943 i prodromi (ovvero la dissoluzione dell’Italia e del Popolo italiano), o la continuazione di uno stato di cose successivo alla cosiddetta “Unità d’Italia”, sono bene espressi nella lettera che Benedetto Croce scrive al Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi (massone) nel 1944: «Conoscendo i patti della capitolazione, sapute le condizioni tremende alle quali ci siamo vincolati per il presente e per il futuro, viste ad una ad una le clausole spietate che il popolo tuttora sconosce e che se anche conoscesse forse non sarebbe in grado di valutare come noi che eravamo chiamati a vigilare sulle sue sorti; udito dalla Sua parola, Eccellenza, che niuno sforzo militare e veruno accorgimento diplomatico potrebbe modificare a nostro vantaggio quei patti, mi è apparsa chiara l’inutilità assoluta dell’opera nostra. Ella fu all’estero a lungo; e non ha forse come me il vivo ricordo dell’Italia del tempo di pace. Io ci ho vissuto, sebbene in disparte; e m’è giunta l’eco, durante gli anni del deprecato fascismo, di un popolo che, pur tra le spire d’un Regime a me inviso, non poteva dirsi schiavo e il cui lavoro incontrava ovunque rispetto e considerazione. Ella sa bene che, invece, i patti firmati all’atto della capitolazione non consentiranno agli italiani né di essere liberi né di lavorare liberamente, né addirittura di chiamarsi liberi».6

Oggi, analizzando la storia di quegli anni, rimane innegabile la nascita e la resistenza di una volontà tutta italiana di essere una vera Repubblica, fatta dal Popolo e per il Popolo, senza il controllo delle banche private e della Massoneria nazionale e internazionale.

Per quanto oggi si parli di “Repubblica Italiana”, possiamo vedere che dal 1943 ai nostri giorni le basi militari operative americane sul suolo italiano si sono moltiplicate fino ad essere ben 114. Ed oggi le basi militari americane operative sono la chiara affermazione che in Italia non ha mai comandato il governo eletto dal Popolo, ma il governo che militarmente occupa il suolo italiano; il resto è una mera “facciata”.

Prima comandava la finanza inglese, con la facciata del Regno dei Savoia, oggi quella degli Stati Uniti d’America, con la facciata di un “governo italiano” che oramai non si fa nemmeno più finta di eleggere.

A proposito del fatto che gli U.S.A. considerino l’Italia una loro proprietà, nonché un arsenale di testate atomiche e una discarica di materiale radioattivo, il lavoro di Gianni Lannes, Italia, USA e getta, parla chiaro e nell’introduzione afferma: «Il tema di questo libro di inchiesta è la colonizzazione forzata del nostro Paese, un ecosistema sociale fragile che non ammette di esserlo. Il totalitarismo che avanza, la standardizzazione del pensiero unico. Insomma, la storia che i libri di storia non hanno narrato: una nazione che ha creduto di essere liberata, invece è stata invasa e occupata militarmente. Un popolo che ha immaginato di guadagnare la democrazia, mentre ha perso la libertà e rischia la salute. Uno Stato abissalmente distante dal racconto apologetico che monopolizza il discorso pubblico, oramai televisivo, stravolgendo la realtà. Benvenuti nel paese a stelle e strisce, una portaerei nel Mediterraneo, dove albergano indisturbate le armi di distruzione di massa (…). Guai, però, a fiatare. Il problema non è la destra o la sinistra, come aveva intuito Giorgio Gaber. C’è dell’altro. Con le mafie che fatturano il 20% del prodotto interno lordo, è in atto una pacifica e duratura convivenza in vigore dallo sbarco degli “alleati” nel 1943. Segreti e sangue a fiumane, per nascondere traffici di armi, occultamento di rifiuti, strategie offensive. Stragi, omicidi, omissioni, insabbiamenti della verità, per celare affari nebulosi e ruberie parastatali. Allora, vi siete mai accorti di quanto sia bello vivere in un eden trasformato in un inferno? Belpaese a sovranità azzerata, almeno a partire dalle clausole, ignote perfino agli storici di professione, dell’armistizio di Cassibile. La nazione italiana occupata dagli Stati Uniti d’America, non è sovrana né indipendente, ma succube».7

Lannes argomenta con precisione il rischio atomico incombente sugli Italiani e tra le tante informazioni che rende note dice: «L’Archivio storico del Senato è una miniera d’oro poco nota, tutta da esplorare accuratamente: in particolare, le carte e i diari di Amintore Fanfani. Dalla metà degli anni Cinquanta del XX secolo, in Italia – dal nord (Friuli e Veneto) al sud (Puglia e Sicilia) – sono stati installati potenti arsenali atomici».8

Inoltre, ecco un altro punto, tra i tanti contenuti nel libro, su cui riflettere: «Pericoli? “L’Italia è un paese a sovranità assai limitata”, argomenta Franco Accame, ex presidente della Commissione difesa con un passato da ufficiale della Marina Militare italiana, “in caso di incidente, non esiste alcun piano coordinato di emergenza tra autorità militari, protezione civile, prefettura ed enti locali. È del tutto evidente che ci troviamo di fronte a una grave lesione delle prerogative democratiche del Parlamento, che rimane all’oscuro di ciò che accade nelle basi e della natura degli accordi tra Italia e USA».9

Uno dei modi migliori per mantenere “sedato” il Popolo di una nazione è mandarlo in guerra: si potranno così applicare leggi speciali, arruolamento obbligatorio, selezione degli individui, etc. L’importante è fare sì che i veterani, quelli che effettivamente hanno combattuto, non tornino in patria: ovvero il minor numero possibile di loro deve rimanere vivo. Costoro sono pericolosi in quanto sono in grado di “fare la guerra” e non sono disposti ad essere blanditi; con quanto hanno vissuto fanno generalmente fatica a reinserirsi in un normale ambito quotidiano.

La guerra, una volta conclusa, si potrà spiegare abbastanza agevolmente al Popolo dipingendola nel modo che il potere effettivo riterrà più consono. Il compito sarà agevolato dal fatto che il Popolo rimasto vorrà solo ed esclusivamente vivere in pace. Ogni eventuale ribellione e sommossa saranno facilmente sedate. L’altro sistema è palesemente coercitivo, ma raggiunge ugualmente lo scopo: punirne uno per educarne cento, oppure uno per educarne dieci. Il “miglior” risultato in questo campo è stato ottenuto dal comunista Pol Pot: è riuscito a “stendere in risaia” un terzo del Popolo cambogiano.

Complimenti, bella carriera!

Ad ogni buon conto tanto nel primo quanto nel secondo sistema il governo deve spendere soldi per promuovere e condurre la guerra; nell’altro deve mantenere coloro i quali hanno il compito di ridurre ai minimi termini la popolazione e così facendo andando incontro ad enormi mancati guadagni.

Da circa quarant’anni a questa parte, siccome gli alcolici e i superalcolici non sono bastati, s’immette nella nazione la droga. L’importante è fare finta di combatterne la diffusione. Il Popolo non si sente oppresso, crede di essere “alternativo e autoridotto” nonché “fuori dall’ottica del sistema” drogandosi e contravvenendo alle regole. Diviene un consumatore, crea un guadagno enorme di termini di denaro e quando il singolo individuo “genera fastidi” politici, partitici o sociali, lo si togli di torno perché in flagrante, essendo consumatore e/o spacciatore. Oppure facendolo passare per tale.

In ultimo si fa invadere la Nazione da una gran moltitudine di etnìe che nemmeno fanno parte del suo continente. Sono i prodromi del cancellamento dell’identità nazionale del Popolo. Il resto è solo una corsa al massacro.

In buona sostanza la conoscenza della Storia consente innanzitutto di comprendere. Poi, per il resto, che ognuno si faccia “i propri conti”.

Ma non nascondiamoci dietro il dito della menzogna, il quale indica allo stolto come deve pensare e che cosa deve dire e scrivere in pubblico e per il pubblico.

 

 

Note

 

1 Luciano Salera, Garibaldi, Fauché e i Predatori del Regno del Sud. La vera storia dei piroscafi Piemonte e Lombardo nella spedizione dei Mille, Controcorrente Edizioni, Napoli 2006, p. 88.

 

2 Ibidem, p. 243.

 

3 Giuseppe Ressa, Il Sud e l’unità d’Italia, Centro Culturale e di Studi Storici “Brigantino – Il Portale del Sud”, Edizione elettronica, Napoli 2003, pp. 172-173; Sito Internet: ilportaledelsud.org. Nota [490]: «“L’invenzione dell’Italia unita”, Sansoni, 1999, pag. 314» (Ibidem, p. 173).

 

4 Pino Aprile, Carnefici, Piemme Edizioni, Milano 2016, p. 35.

 

5 Roberto Gremmo, La prima strage di Stato. Il massacro di Torino del 1864, Storia Ribelle, Biella 2012, pp. 58-59.

 

6 Il testo completo è presente nel volantino della Xa M.A.S. dal titolo: cosa succede nell’italia “liberata”?

 

7 Gianni Lannes, Italia, USA e getta. I nostri mari: discarica americana per ordigni nucleari, Arianna Editrice, Bologna 2014, p. 5.

 

8 Ibidem, p. 17.

 

9 Ibidem, p. 37.

 

6 Comments

  • Bruno Fanton 6 Gennaio 2018

    … eppure, a proposito di americani, e nonostante il pesante fardello dell’ Armistizio Lungo, con il trattato di pace che ci impediva di possedere velivoli da bombardamento (come se quelli che possedevamo PRIMA fossero stati di un qualche peso), gli USA ce ne fornirono lo stesso. Al fine di eludere la citata normativa i bombardieri (medi) che ci furono assegnati vennero fatti passare per “pattugliatori marittimi antisommergibili” ed assegnati in carico all’ Ispettorato per l’ Aviazione della Marina. Si trattò di aliquote di potenti Lockeed PV-2 “Harpoon”, non particolarmente graditi ai nostri equipaggi, anche a causa della esuberanza motoristica (le due unità sviluppavano complessivamente sino a 4000 HP al decollo), abituati agli stentati ciuchini-vapore (anzichè cavalli) dei nostri propulsori del periodo bellico, (quasi tutti copiati da modelli stranieri, ora inglesi, ora francesi, ora statunitensi), che arrivavano stentamamente alla metà della potenza di quelli “originali americani” appena detti. Parimenti ci vennero assegnati bombardieri in picchiata Curtiss “Helldiver”, con la medesima destinazione “di compromesso”. La ricostituita AMI nel frattempo racimolava alcune aliquote di F (ex-P) -51, F-47 e F-5 (ex P-38), di surplus, che, anche se nati come “caccia” erano perfettamente in grado di trasportare un non indifferente carico di caduta e di lancio. Con un altro “escamotage” (l’ adozione della Croce di Malta come simbolo di riconoscimento “nazionale”, salvandoli dalla demolizione obbligatoria) ci vennero lasciati gli SM 82 della Savoia-Marchetti, trimotori pesanti in grado di trasportare bombe.- Ecc. ecc. ecc.
    Distintamente
    Bruno Fanton

  • Bruno Fanton 6 Gennaio 2018

    … eppure, a proposito di americani, e nonostante il pesante fardello dell’ Armistizio Lungo, con il trattato di pace che ci impediva di possedere velivoli da bombardamento (come se quelli che possedevamo PRIMA fossero stati di un qualche peso), gli USA ce ne fornirono lo stesso. Al fine di eludere la citata normativa i bombardieri (medi) che ci furono assegnati vennero fatti passare per “pattugliatori marittimi antisommergibili” ed assegnati in carico all’ Ispettorato per l’ Aviazione della Marina. Si trattò di aliquote di potenti Lockeed PV-2 “Harpoon”, non particolarmente graditi ai nostri equipaggi, anche a causa della esuberanza motoristica (le due unità sviluppavano complessivamente sino a 4000 HP al decollo), abituati agli stentati ciuchini-vapore (anzichè cavalli) dei nostri propulsori del periodo bellico, (quasi tutti copiati da modelli stranieri, ora inglesi, ora francesi, ora statunitensi), che arrivavano stentamamente alla metà della potenza di quelli “originali americani” appena detti. Parimenti ci vennero assegnati bombardieri in picchiata Curtiss “Helldiver”, con la medesima destinazione “di compromesso”. La ricostituita AMI nel frattempo racimolava alcune aliquote di F (ex-P) -51, F-47 e F-5 (ex P-38), di surplus, che, anche se nati come “caccia” erano perfettamente in grado di trasportare un non indifferente carico di caduta e di lancio. Con un altro “escamotage” (l’ adozione della Croce di Malta come simbolo di riconoscimento “nazionale”, salvandoli dalla demolizione obbligatoria) ci vennero lasciati gli SM 82 della Savoia-Marchetti, trimotori pesanti in grado di trasportare bombe.- Ecc. ecc. ecc.
    Distintamente
    Bruno Fanton

  • DAmod1 6 Gennaio 2018

    Mattarella permettendo,
    va ripristinato il servizio di leva, non come prima ovviamente, ma volontario e professionalizzante, aperto al genere femminile, occupando i ns ragazzi e le ns ragazze, nelle more degli addestramenti e dei servizi, nelle nostre caserme e rendendo le ns città più sicure e più vive.
    Anche al costo di una bella patrimoniale progressiva e permanente!
    O no?
    Cordialità.-

  • DAmod1 6 Gennaio 2018

    Mattarella permettendo,
    va ripristinato il servizio di leva, non come prima ovviamente, ma volontario e professionalizzante, aperto al genere femminile, occupando i ns ragazzi e le ns ragazze, nelle more degli addestramenti e dei servizi, nelle nostre caserme e rendendo le ns città più sicure e più vive.
    Anche al costo di una bella patrimoniale progressiva e permanente!
    O no?
    Cordialità.-

  • Gianluca Padovan 8 Gennaio 2018

    CANZONA
    Quanto sie lieto el giorno
    Che le memorie antiche
    Fa ch’or per noi sien mostre e celebrate,
    Si vede, perché intorno
    Tutte le genti amiche
    Si sono in questa parte raunate.
    Noi, che la nostra etate
    Ne’ boschi e nelle selve consumiamo,
    Venuti ancor qui siamo,
    Io ninfa, e noi pastori,
    E giam cantando insieme e’ nostri amori.
    Chiari giorni e quïeti,
    felice e bel paese,
    Dove del nostro canto il suon s’udia!
    Pertanto, allegri e lieti,
    A queste vostre imprese
    Farem col cantar nostro compagnia,
    Con sì dolce armonia,
    Qual mai sentita più non fu da voi;
    E partiremci poi,
    Io ninfa, e noi pastori,
    E torneremci a’ nostri amori.

    Niccolò Machiavelli, Clizia.

  • Gianluca Padovan 8 Gennaio 2018

    CANZONA
    Quanto sie lieto el giorno
    Che le memorie antiche
    Fa ch’or per noi sien mostre e celebrate,
    Si vede, perché intorno
    Tutte le genti amiche
    Si sono in questa parte raunate.
    Noi, che la nostra etate
    Ne’ boschi e nelle selve consumiamo,
    Venuti ancor qui siamo,
    Io ninfa, e noi pastori,
    E giam cantando insieme e’ nostri amori.
    Chiari giorni e quïeti,
    felice e bel paese,
    Dove del nostro canto il suon s’udia!
    Pertanto, allegri e lieti,
    A queste vostre imprese
    Farem col cantar nostro compagnia,
    Con sì dolce armonia,
    Qual mai sentita più non fu da voi;
    E partiremci poi,
    Io ninfa, e noi pastori,
    E torneremci a’ nostri amori.

    Niccolò Machiavelli, Clizia.

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