Ancora da studente ebbi modo di cimentarmi con un breve scritto, formato iniziale da volantino, titolo provocatorio (non troppo) Epitaffio per un imbecille. Nel corso degli anni vi sono tornato sovente, con le necessarie e mirate modifiche, in cerca di sempre nuovi bersagli. Come sparare sulla Croce Rossa. Non mancano imbecilli e falliti quali obiettivo (‘il mondo n’è pieno’, osservava, aristocratico ed ironico, già negli anni Trenta, lo scrittore Drieu la Rochelle). Ultimo un ‘collega’ di Lotta Comunista, in giacca e cravatta, arrogante e presuntuoso, colto culo all’aria in macchina mentre si scopava una sua (niente male) allieva. Non per questo, ovviamente, ma per il becero e conformista antifascismo ebbe il suo momento di gloria sulla facciata esterna del liceo in un poster giallo ocra. La storia ruota ormai, gracchiante 78 giri, e la si misura
Fin dagli esordi questo Epitaffio volle essere contro quel borghese che si sottace in ciascuno di noi (tanto simile all’animale che è in me, a dirla con una vecchia canzone di Franco Battiato) e si maschera da onestà e perbenismo, quale garanzia di scorrere i giorni e gli anni in alveo tranquillo e protetto (‘Da ragazzo non ha mai rotto un lampione con una sasso né un pregiudizio di sua iniziativa’, ad esempio). E, anonimo in vita e senza alcun rimpianto da morto, noi – irriverenti, concludevo – l’abbiamo saputo lo stesso e bevuto molto alcool sulla sua tomba e giurato, con la solennità grave degli ubriachi, di non finire come lui, preservando gli ideali che ci rendono liberi e i sogni che ci mantengono giovani… Di recente quell’imbecille s’è trasformato, con medesimo accento e intento medesimo, in tutti coloro che ho definito ‘indecenti e servili’. Attraverso il parametro a me caro di ritenere le emozioni antecedenti la ragione – insomma quello stile che si misura nell’esistenza, messa al servizio dell’Idea, la sola per cui vale la pena vivere e in suo nome donarsi. Un’Idea che nasce e si traduce in azione per non decadere in alibi compromesso saccente intellettualismo vile e patetico. Azione che si rende tutt’uno Idea, in carne e ossa e sangue. Bastoni e barricate sono premessa (santo il manganello degli squadristi anche se poi relegati alla periferia del Fascismo) e nutrimento del nostro costruire imperi di carta – a bruciare le navi, dando voce ad una conquista senza ritorno e soltanto dopo si dona il Messico ai sovrani di Spagna. (Alcuni esempi da me trattati. Peppe il Matto e la pretesa di trovare lode a Mussolini nelle opere di Nietzsche, Zambo al Colle Oppio con il busto del Duce su una spalla e la bomba a mano a difenderlo, il camerata di Gambettola in eterna camicia nera e in sola compagnia dei suoi due doberman, Gina, ausiliaria in servizio permanente effettivo, con incrollabile senso del ‘dovere’ che le ha fatto affrontare e l’umiliazione e lo stupro per mano partigiana, il Piccolotto, che bussa alla mia porta, pronto ad andare anche da solo ad attaccare manifesti, Franco, il marò del btg. Lupo della XMAS, che difende la pistola da agguato gappista beccandosi un proiettile nel polmone…). Non le parole, il gesto ciò che permane.
Sempre Drieu la Rochelle, nel suo romanzo più compiuto, Gilles, nelle pagine conclusive, racconta di un pugno di volontari europei che vanno a battersi – e a morire – nella guerra civile spagnola, a fianco di Franco e della Falange. E, descrivendoli, tiene a precisare che non occorre siano degli intellettuali perché altro li rende ‘comunità’, il loro stare insieme pur essendo sostanzialmente degli sconosciuti, il senso del sacrificio fino a quello estremo. Tanto più il pericolo insorge tanto più si cimenta lo stare insieme. Non conta l’uno sia francese (il protagonista) altro irlandese ed altro ancora polacco e forse qualcuno d’altra nazione (cito a memoria). La comunità nasce da questa comunione d’intenti, dove sangue e spirito si identificano, le diversità il vissuto di ciascuno la storia personale ignota, pregi ed errori compresi. Le idee un pretesto, nobile ed alto, il comune sentire di stringere presto il calcio del moschetto l’alfa e l’omega… 25 aprile, Campo della Memoria. Siedo su una panchina di pietra, all’ombra, le gambe faticano a tenermi in piedi (e pensare che un tempo, non troppo lontano, facevo ore di cammino per sentieri boscosi), distante dallo spazio centrale della cerimonia. Perché siamo troppo diversi, mi dice sollevato, a giustificare più se stesso che la mia freddezza al dialogo, al riannodare i fili di una passata amicizia. La diversità di carattere può essere un valore aggiunto, penso, è il comportamento che non si concilia. E’ ciò che prende nome quale mancanza di stile. Irrecuperabile. E, nonostante mi picchi di vanità (sciocco contributo ai troppi libri letti) e del suono della mia stessa voce, un verso sì ma come il mio amico Cyrano, l’abile spadaccino dal grande naso, lo vorrei scrivere con la punta della spada per marcare l’arroganza dei tanti ‘indecenti e servili’. Quei provinciali, botoli ringhiosi (così Dante, uomo del suo tempo, aspro e rissoso, definiva gli aretini, ma il suo linguaggio s’è reso capace d’essere universale), sgraziati nei modi e nella fisiognomica, fra i palestrati e tatuati di ultima generazione per emergere ‘testa pensante’, in cerca di quel serto d’alloro che doni loro quale primato esclusivo della propria genetica nientità.
All’atto pratico maestrini senza la penna rossa sul cappello (Cuore di De Amicis) ma giudici severi su chi merita e su chi no entrare alla loro corte. I tanti ‘indecenti e servili’, di cui ho trinciato sovente vanità e miserie, appagati da taglia e incolla vecchie distinzioni sciatti cruciverba le brume del Nord contro solarità mediterranea aria stantia di cui ci venne noia e disgusto già molti anni addietro ad opera del nume tutelare – ebreo e comunista – d’ogni rivisitazione, il prof. Renzo De Felice, che si adoperò a salvare Mussolini mentre il Fascismo da considerarsi simile a contenitore vuoto e, in fondo, un po’ cialtrone, guitto e saltimbanco, da assolvere di contro al luciferino ‘male assoluto’, in divisa feldgrau la doppia runa con il rosso e il bianco e il nero dei suoi vessilli al vento e lungo le strade d’Europa. Del resto – mi sforzo d’essere prodigo d’insulti ma pure di perle ai porci – cosa me ne importa? ‘Ah, come soffia il vento…’ (Ricordi il vecchio 45 giri in quel buco, secchi di colla rotoli di manifesti manici di scopa, alle pareti Mao e Stalin e l’inossidabile e sempre affascinante volto del Che, tu dai lunghi capelli biondi ed io in camicia nera, nei pressi di piazza delle Erbe… giorni mitici, anno ’68). Saranno i botoli ringhiosi e gli indecenti e servili spazzati via e di loro non si conserverà memoria alcuna… ed io con loro. Epitaffio per un imbecille.
Mario Michele Merlino