10 Ottobre 2024
Intervista Musica

EreticaMente intervista Antonello Cresti – a cura di Maurizio L’Episcopia

Abbiamo intervistato Antonello Cresti, critico musicale ma anche musicista, da anni attivo oltre che nella critica musicale vera e propria anche nella descrizione di una serie di meccanismi “perversi” tesi a fare del mondo musicale il territorio prediletto dal Sistema liberal-democratico quale veicolo del proprio Pensiero Unico.Da pochissimo è uscito il suo ultimo saggio: “La musica e i suoi nemici. Dai talent show alla trap: come l’industria discografica crea il conformismo di massa” (Uno Editori). Abbiamo parlato con lui di questo e di molto altro.

 

Hai scritto numerosi libri sull’importanza della musica e sull’attenzione che la narrazione comune liberal-capitalista dedica alla sua strumentalizzazione ai propri fini “ideali” e al suo “depotenziamento”. Vuoi spiegarci il tuo pensiero?

“Non è una novità che l’Arte possa essere utilizzata con finalità propagandistiche, e del resto il rapporto tra creatività e Potere raramente è stato risolto in maniera netta anche nel passato. Ciò che però è una novità dei tempi ultimi che viviamo è il fatto che ci troviamo di fronte ad un pensiero di matrice totalitaria, che non ha alcun interesse ad edificare la propria grandezza anche su una propria estetica, su una propria idea di bellezza. Il Pensiero Unico neoliberista infatti predilige il disarmonico, il banale, il passivo senza offrire nessuna reale forma di identificazione. E’ nemico del bello, e come tale si oppone fermamente a qualsiasi libera espressione di creatività che celebri l’Uomo, lo Spirito… Ecco dunque che la musica “gastronomica” di oggi – corrispettivo in suoni del fast food – non solo non mette in difficoltà la narrazione egemonica, ma, per così dire la accompagna in maniera osmotica. Insomma, per metterla in altri termini, il fatto che tanta musica che ascoltiamo oggi sia “brutta” non è certamente un caso…”

 

Ritieni che negli ambienti che si oppongono alla globalizzazione si ponga poca attenzione al mondo musicale e ai suoi meccanismi? Se sì, per quale motivo, a tuo avviso?

“Gli ambienti della contestazione hanno via via smarrito il senso della esperienza creativa. Che era stata fondativa nelle avanguardie, ma che aveva avuto un ruolo determinante anche in altre stagioni (penso certamente a tutta la controcultura, ma anche a certi aspetti del Maggio Francese o agli Indiani Metropolitani). Aver perso questa capacità di linguaggio ha enormemente impoverito il terreno del mondo “alternativo” che ha finito per condividere il linguaggio del potere, da un punto di vista strutturale. Questo vale per la cosiddetta sinistra, oramai schiacciata sui più imbecilli slogan del politicallycorrect, e vale per la cosiddetta destra che – storicamente – ha sempre avuto una sorta di sospetto antropologico per la dimensione underground. Inutile dire che in entrambi i casi, si tratta a mio avviso di un grande errore…”

 

Ribadisci spesso che la musica può essere “rivoluzionaria”, anche inconsapevolmente. A tutti coloro che ne sottovalutano questo potenziale cosa ti senti di rispondere?

“Il Suono è intrinsecamente rivoluzionario. Sono le grandi narrazioni cosmogoniche presenti tra ipopoli di questo pianeta a spiegarcelo chiaramente… Non è una questione di linguaggio esplicito, ma di potenziale profondo. Naturalmente questo potenziale – che è enorme e per molti aspetti ancora non indagato – può essere utilizzato per nobili fini o per schiacciare l’umanità. In un disegno di ipnosi collettiva – che mi sembra particolarmente evidente in queste settimane e mesi – è evidente che questo “potere sottile” del suono e della comunicazione musicale verrà utilizzato per provocare una apatia indotta che prepari il terreno alla distruzione del dubbio e del pensiero critico. Quando ascoltiamo – o meglio subiamo – le canzonette del Regime non solo vediamo offeso il senso del Bello, ma siamo sottoposti ad una sorta di lavaggio del cervello…”

 

Giustamente contestualizzi il concetto di trasgressione: ossia, l’andare contro-corrente ai valori e alle narrazioni collettive, quindi alla narrazione comune del proprio tempo. La “trasgressione” innocua e fuori contesto diventa dunque, invece, la migliore alleata dei “nemici della musica”?

“Come la vera trasgressione è nemica del Potere, quella falsa, di facciata, è funzionale a produrre il suo contrario, ovverosia un conformismo becero e monolitico. Ma il rischio maggiore – che il Sistema conosce bene e cavalca – è quello di generare in queste masse di individui conformi l’idea di stare perseguendo una forma di trasgressione o libertà. Ecco dunque che questi idoletti tatuati, venduti nel profondo dell’anima, si prestano al gioco e conducono alla passività tantissime persone. Si tratta di un cortocircuito che deve essere disinnescato e dobbiamo essere desti per farlo.”

Sottolinei spesso che la musica ha a che fare con il Rito e il Divino e che la forza dell’Artista “umanizzato” è proprio il risveglio, cosciente o meno che sia, di quest’energia in essa insita. Puoi spiegarci meglio?

“Oggi si definisce “artista” qualsiasi persona che operi nel mondo dell’entertainment (uso questo anglismo non a caso…), ma evidentemente si tratta di una distorsione. L’Artista avrebbe una enorme responsabilità poiché sarebbe chiamato a condurre tramite il ricorso ad un linguaggio non convenzionale oltre i canoni del quotidianamente accettato. L’Artista è un ponte tra noi e il Cosmo che dovrebbe risvegliare ad una modalità non barbaramente materialistica. Farci sapere che esiste un Oltre è il compito dell’Arte. Ciò che si situa sotto questa soglia è altro, e non è detto neanche che si tratti di qualcosa di inoffensivo…”

 

Solitamente, la gioventù ha dettato stili e codici che volevano, in qualche modo, infrangere la “morale” vigente. E’ solo l’impressione di un nostalgico che sta invecchiando oppure la sovversione del music business attuale sta proprio nell’annullare ogni tendenza di nichilismo attivo e ribellione giovanile fino a imporre e manipolare i giovani dettando loro l’agenda “sistemica”?

“Spesso sono coloro che stanno relegando i giovani ad un ruolo di spettatori ad essere i primi che intessono una “mistica della gioventù” totalmente fuori luogo in questi tempi. No, non si tratta di noi che siamo invecchiati. Si tratta, e lo spiego lungamente nel libro, della scomparsa della categoria di gioventù intesa ovviamente non come dato anagrafico, ma come categoria dell’essere. Se i giovani scelgono come strada l’omologazione, il gregge, quasi una forma di nascondimento, invece che l’idea di evincersi per differenza, è evidente che questo non potrà non avere ripercussioni disastrose sulla Musica e soprattutto sul ruolo attivo che essa può rivestire in positivo nella nostra società. Senza la spinta dei giovani resta infatti solo la testimonianza. E tutta la buona musica che ancora oggi resiste è – mi dispiace dirlo – solo testimonianza e niente più…”

 

Musica senza più “umanità”. Cosa si intende precisamente con tale concetto?

“La disumanizzazione del medium musicale è perseguita a livello strutturale dalla industria discografiche. Ritmiche robotiche, sonorità livellate, distruzione delle dinamiche, standardizzazione delle interpretazioni, sono tutte leve per separare la musica dall’uomo, renderla al massimo un orpello incapace di lasciare un segno profondo. E naturalmente tutto ciò va anche nella direzione di una piena mercificazione. Oramai la musica la si diffonde come la pubblicità di un detersivo…”

 

I talent show, non solo a tuo avviso, rappresentano la legittimazione di un’industria impersonale di mediocri, spesso privi di talento, intercambiabili e privi di qualsiasi personalità o passione. E’ solo una degenerazione o c’è, a tuo avviso, un preciso processo culturale?

“E’ un processo culturale. La standardizzazione assoluta dei timbri vocali significa espungere dalla comunicazione musicale l’idea stessa di personalità. Questo ha ripercussioni non solamente estetiche, ma ben più controverse. Se infatti riesco a realizzare in laboratorio una intercambiabilità assoluta degli interpreti, riuscirò ad imporre e vendere tali pedine alla stregua di un detersivo, come dicevo prima. Cambiano i nomi, ma la storia è sempre la stessa, così come cambiano le confezioni, ma il bucato viene fuori sempre uguale…”

 

Individui nella trap il punto più “alto” (o basso, che dir si voglia) di questo progetto di mediocrità massificante e disumanizzante. Perché?

“La Trap esprime al massimo livello quella attitudine alla falsa trasgressione che descrivevamo prima. In superficie siamo davanti ad un genere che utilizza il turpiloquio, una idea esibita di sessualità e di rapporto con le sostanze psicotrope che potrebbero far pensare ad una forma di ribellismo, ma scrostando questa superficie ci troviamo di fronte ad un orizzonte nichilistico fatto di mercificazione, resa totale ai disvalori del Dio Denaro e del carrierismo. I cosiddetti trapper sono così spudorati che i loro testi spesso sono in ultima istanza una sequela di slogan di pubblicità esplicita ai marchi di lusso. Spazzatura, ma spazzatura tossica per i ragazzi che la approcciano partendo da un orizzonte di pensiero totalmente desertificato come spesso capita…”

 

Esistono genere musicali che vogliono resistere alla banalizzazione dei contenuti e al trionfo del politicamente corretto che vuole far detonare il potere potenzialmente pericoloso del messaggio musicale?

“Si, certamente. Le musiche rivoluzionarie esistono a prescindere dai musicisti, che spesso sono squallidamente innamorati delle loro catene da servi spirituali e materiali. In generale penso che tutta la Musica che esprima una vocazione spirituale sia oggi utile a farci individuare. Può essere certa musica elettronica, legata al drone così come il black metal. Così come trovo intollerabili e pericolosi certi accrocchi “world music” penso anche che partire dalle tradizioni musicali del mondo e riscoprirle sia uno straordinario strumento di consapevolezza contro la globalizzazione culturale. Imparare dagli altri e riscoprire chi siamo sono a  mio avviso due dimensioni inscindibili. Naturalmente ciò è possibile solo quando non si abbia terrore del concetto di differenza o di alterità.”

 

Si ha l’impressione che un mondo di “vecchi” diriga un baraccone di artisti e fruitori solo anagraficamente giovani.  Se da un lato, si fomentano i particolarismi e le guerre (sociali, anagrafiche, di casta, politiche) dall’altro, invece, è tutto sconfortantemente omogeneizzato. Concordi con noi?

“Credo che le due dimensioni da te evocate siano interconnesse. I “vecchi” comandano poiché sono l’ultima generazione dotta di volontà di potenza e trovano campo libero in virtù della apatia che descrivevamo prima. E’ l’ora di invertire la rotta, non perché qualcuno voglia una “rottamazione” generazionale, ma perché occorre riportare il mondo “a quote più normali”, per citare la canzone di Battiato “Povera Patria”. E’ probabile che non avremo altre occasioni…”

 

Intervista a cura di Maurizio L’Episcopia

 

 

 

 

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