7 Ottobre 2024
Intervista Sapienza Greca

Ereticamente intervista Davide Susanetti – a cura di Luca Valentini

Siamo lieti di proporre ai nostri lettori le considerazioni su diverse tematiche della sapienza arcaica ed esoterica di un affermato cattedratico, che, oltre alle fonti ed all’esegesi della storia delle religioni, ci proporrà argomentazioni ed elementi di riflessione inerenti anche le dimensioni della dottrina ermetica e  della magia trasmutatoria:

Davide Susanetti (Venezia 1966) è professore di Letteratura greca presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Letterati dell’Università di Padova. Si occupa prevalentemente di tragedia greca, Platone, letteratura tardo antica, pensiero

esoterico e simbolico. Ha tradotto e commentato: Sinesio di Cirene. I sogni (Bari 1992): Plotino. Sul Bello (Enneade I, 6) (Padova 1995); Euripide. Alcesti (Venezia 2001); Euripide. Ippolito (Milano 2005); Euripide. Troiane (Milano 2010); Eschilo. Prometeo (Milano 2010); Euripide. Baccanti (Roma 2010); Sofocle. Antigone (Roma 2012). Tra le sue monografie: Il teatro dei Greci. Feste e spettacoli, eroi e buffoni (Roma 2003) Favole antiche. Mito greco e tradizione letteraria europea (Roma 2005); Euripide fra tragedia, mito e filosofia (Roma 2007); Catastrofi politiche. Sofocle e la tragedia di vivere insieme (Roma 2011); Sofocle. Antigone (Roma 2012); Atene post-occidentale. Spettri antichi per la democrazia contemporanea (Roma 2014); Tucidide. I discorsi della democrazia (Milano 2015); La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi di iniziazione (Roma 2018, 3 ristampa). Condirettore della collana “Le tradizioni del mito”- Carocci. Membro “Associazione Internazionale per lo studio del Pensiero Esoterico e Simbolico”. Ha partecipato a numerosi eventi culturali organizzati dalla Gran Loggia d’Italia (Palazzo Vitelleschi).

1 – Gli studi sul mondo antico rivestono sempre il loro innegabile fascino, ma spesso vengono tacciati di passatismo o soffrono essi stessi di sterile agiografia delle ceneri: quale la scintilla che ha catturato il suo animo nell’ambito della civiltà greco-romana-alessandrina? Ritiene che non vi sia una dimensione di attualità in detti studi?

Non mi pongo una questione di “attualità”, preferisco parlare semmai di una dimensione “perenne” che abita lo spirito e la mente al di là del tempo e dello spazio. Il rapporto con l’antico è e deve sempre essere un’occasione per rimettere in discussione radicalmente le forme della soggettività, per interrompere gli automatismi del pensiero, per nutrirsi di un mondus imaginalis alternativo al phainomenon del cosiddetto presente e alla corrente dell’irriflesso vivere comune. La vitalità degli studi riguardanti il mondo classico ha un senso proprio per il “dislocamento” cui essi costringono rispetto ai modi della parola e del pensiero in cui si è immersi, a volte senza la necessaria consapevolezza. Parafrasando Benjamin, non si tratta di sapere esattamente che cosa è accaduto in passato, ma di afferrare l’emergenza di un ricordo vivificante in “un istante di pericolo”. Gli dei non sono mai morti, ma solo ritirati in spazi e luoghi che non tutti vedono. Se poi devo richiamare una notazione personale, posso aggiungere che la lettura del Simposio platonico nella prima adolescenza ha determinato tutto il mio successivo percorso di ricerca e di “cerca”.

2 – Molto apprezzata dai lettori di Ereticamente è stata la sua recente opera, edita da Carocci, “La via degli dei”. Nel capitolo iniziale dedicato all’iniziazione nei Misteri, riferendosi al passo aristotelico (Sulla filosofia, fr. 15) inerente il pathéin, il provare l’esperienza del Sacro, la pone come dato essenziale rispetto al mathéin, al concepimento razionale dell’idea. E’ valida, pertanto, l’espressione di Angelo Tonelli, secondo cui la Filosofia è un modo di pensare e la Sapienza è un modo di essere? E in tale prospettiva l’iniziazione può essere considerata una realizzazione o una semplice ammissione virtuale?

Il passo aristotelico mette in evidenza l’importanza essenziale dell’“esperienza intensamente vissuta” come condizione di un’apertura e di una trasformazione effettiva del soggetto, e in questo senso, tale aspetto era stato giustamente messo in rilievo anche da Evola nella Tradizione ermetica. La distinzione proposta dall’amico Tonelli è senza dubbio valida rispetto al modo in cui spesso oggi si percepisce la filosofia ovvero come un esercizio intellettuale o discorsivo che dispiega problemi o teorie senza incidere nel vissuto e senza diventare pratica di “integrazione”/”trasformazione”. Per l’ambito antico, tale distinzione, forse, è meno rilevante, perché la filosofia antica è “amore della sapienza”: ricerca e amore di una sapienza “realizzata”. Al termine del cammino iniziatico, non c’è alcuna differenza tra pensare ed essere. Sono, di necessità, la stessa e medesima cosa. Bisogna intendersi, ovviamente, sul valore che diamo a termini come pensiero e pensare. E bisogna pure intendersi sul percorso grazie al quale la coincidenza tra essere e pensare diviene effettiva. C’è una gradualità, senza dubbio, una serie di tappe, per cui l’amore a un certo punto raggiunge il proprio oggetto ed è “essere”. Ma questa connessione tra essere e pensare deve essere presupposta sin dall’inizio: altrimenti il cerchio non si chiude. Un’osservazione complementare semmai è possibile fare. Negli ultimi decenni, anche in ambito accademico, è stata molto tematizzata la questione della “pratica” ovvero della “filosofia come pratica di vita”. Il che è un bene. Pensiamo agli studi di Foucault, Hadot o Davidson. Quello che forse è mancato in questo ritorno di interesse culturale è un’esplicita e forte connessione con il Sacro, senza il quale la pratica — ovvero la melete per usare un’espressione platonica e non solo — rischia di essere estetizzazione e non iniziazione. E in questo senso utili rilievi sono stati mossi dall’amica Françoise Bonardel nel suo recente volume Prende soin de soi.

3 – Un ruolo importante nei suoi studi ricopre la componente platonica: è arbitraria l’idea secondo la quale l’insegnamento di Platone sia stata la mediazione filosofica e simbolica di un insegnamento riservato di natura misterica di origine delfica ed orfico-pitagorica?

L’insegnamento di Platone e la tradizione che ad esso si richiama — fino agli ultimi maestri pagani come Proclo — sono costantemente connessi e mediatori di un orizzonte misterico ed iniziatico, in cui parola, vita, intuizione folgorante e rito vanno insieme. Come ben spiega Proclo, commentando Platone, dialettica, misteri, bellezza e teurgia costituiscono un unico plesso che si dirige all’Uno. Il punto di avvio può essere, individualmente, diverso, ma questo dipende dalla differenza delle nature. Nome, definizione, immagine, simbolo, ritualità sono “legnetti” che si sfregano l’uno l’altro nel tempo di una lunga “consuetudine di vita” finché non si accende, come un “fuoco”, una “luce che balza” dentro l’anima, per parafrasare la Settima Lettera di Platone.

4 – Non solo il mondo greco, ma anche il successivo mondo romano è stato caratterizzato da espressioni di natura altamente sapienziale oppure ritiene che la religio romana, il Mos Maiorum siano stati avulsi o quasi contrari al mondo della sapienza misterica e platonica?

Il mondo romano ha ben conosciuto Platone e il pitagorismo (basti pensare a Nigidio Figulo), così come le forme dell’esperienza misterica. Cicerone fa l’elogio di Eleusi e di quanto da quell’ambito è venuto per l’evoluzione del soggetto umano. Da Numa al Somnium Scipionis fino ai Saturnalia di Macrobio una ben tracciata linea si vede e si legge. Non sempre le vicende politiche della res publica sono state coerenti e vicine a tale orizzonte, ma ciò non significa che la “tradizione” non sia continuata o sia avulsa dagli snodi fondanti della cultura romana. Ma questo sarebbe un discorso lungo. Gli scritti filosofici di Cicerone, i Fasti di Ovidio, alcune sezioni dell’opera di Virgilio, i versi di Claudiano — per fare degli esempi — meritano di essere riletti e meditati con attenzione da questo punto di vista.

5 – In due medio – platonici come Apuleio e Plutarco si esplicita una sintesi di filosofia, di misteriosofia greco – romana e di iniziazioni egizie: è vera sintesi oppure si può definire tale connubio un sincretismo innaturale?

Il termine “sincretismo” è parola sovente equivocata e intesa con implicazioni negative. Alcune considerazioni interessanti al proposito le ha formulate Zolla nel suo Verità segrete poste in evidenza a cui mi sentirei di rinviare il lettore per una “riabilitazione” del termine (“Per il sincretismo — scrive Zolla — le verità parziali delle filosofie e delle religioni finiscono col coincidere, come le linee dei quadri tutte confluiscono prospetticamente nel punto di fuga, chiave di volta dello spazio”). Quello che noi osserviamo dai testi è solo l’affioramento, in momenti dati, di una relazione tra ambiti differenti dell’esperienza del sacro, ma tali affioramenti dipartono da una medesima “cosa”. Il che non significa obliterare le differenze storico-culturali, ma cogliere i nessi e la dimensione “plastica” di una tradizione che vive proprio nello sviluppo della rete delle sue connessioni crescenti e appunto “sintetiche”. Il lavoro che Plutarco conduce mostrando le analogie tra mito e filosofia, tra Grecia ed Egitto, tra divinità dell’Olimpo e famiglie egizie è uno sforzo sapienziale di comprensione e, nell’atto di comprendere, una ricerca volta a nutrire la mente di appropriati “alimenti”. In fondo, alcuni testi e alcune scritture servono ed hanno un senso per l’”incantesimo” che offrono all’anima. Incantesimo in senso platonico. Quello che bisogna farsi tutti giorni finché “qualcosa” non accade.

6 – Al seguente neoplatonismo spesso si è associato il mondo della Teurgia. Vi è una differenza tra Teurgia e Magia? E la dimensione teurgica può essere considerata la componente fondante della ritualità multiforme ma organica dell’ecumene greco – romana?

Diversi studi degli ultimi decenni hanno aperto un dibattito che si sviluppa in direzioni e con accenti diversi. Certo la determinazione di specifiche pratiche, rispetto ai dati testuali pervenuti, lascia margine di discussione sul versante ricostruttivo e sulle differenze di interesse e di adesione alle pratiche in sé. Sappiamo che Plotino era poco incline alla ritualità teurgica, pur mostrando di averla ben presente; preferiva un percorso incentrato sulla purificazione e sulla semplificazione progressiva ed intensiva: per accostarsi all’Uno, bisogna, diceva, “togliere tutto”, eliminare dalla mente e dall’anima ogni determinazione, così da poter incontrare il principio primo “da solo a solo”, elevandosi, con le sole forze della psyche, al di là del pensiero. Sappiamo, per contro, che la linea che va da Giamblico a Proclo ha dato una forte valorizzazione teorica ed operativa alla teurgia, cercando una sintesi e un raccordo tra essa e le dimensioni tradizionali della dialettica e della pratica filosofica. Anche in questo caso sarebbe, però, necessaria una discussione dettagliata che non è qui possibile fare. Diversi sono i modi in cui viene intesa la vita e l’attività del cosiddetto “veicolo” astrale dell’anima o “corpo pneumatico”, e differente pertanto è anche il ruolo che esso ha rispetto alla ritualità teurgica e al percorso ascensivo. Secondo alcuni autori, il “veicolo” è immortale al pari dell’anima ed è strumento essenziale della vita divina della psyche, una volta che questa abbia lasciato la dimensione terrena; secondo altri, il “veicolo” astrale sarebbe destinato a dissolversi nell’etere, mentre l’anima ascende da sola alla completa reintegrazione. Su un punto, tuttavia, si incontrano queste diverse opzioni teoriche. C’è una soglia oltre la quale l’anima non potrebbe andare con le sole risorse del pensiero e della propria natura, ed è qui che la teurgia offre la possibilità di un percorso privilegiato per l’ascensione all’Uno e per la reintegrazione nel divino: attirare e suscitare le potenze proprie dei piani superiori dell’essere; predisporre l’anima affinché essa attivi e dinamizzi il “simbolo”, la “cifra” divina, inscritta nel proprio nucleo interiore; illuminare ed energizzare il “veicolo astrale” con la forza “solare” che discende dall’alto; accendere il proprio “fuoco” per unirlo ai “raggi” infuocati del divino, proiettando l’anima al di fuori del corpo, con un sapiente uso della parola, del rito, delle materie appropriate e del respiro…. Differenza tra Teurgia e Magia? Sì, se per magia intendiamo pratiche il cui unico risultato è quello di vincolare i soggetti ancora più alla materia. No, se invece intendiamo la Magia come uno stato di intensità e di coscienza, in cui volontà e eros si uniscono per attivare il “fiore dell’anima” per usare un’espressione cara a Proclo e alla sapienza “caldaica”. E ancora: se per Teurgia intendiamo il dato storico rilevato dagli Oracoli caldaici, possiamo osservare che l’interesse e l’esegesi volte a quest’ambito si inscrivono nel quadro di una sintesi — operata soprattutto dai neoplatonici — rispetto alla “ritualità multiforme” dell’antico e del tardoantico. Per contro, se per Teurgia intendiamo un modo di “operare divinamente”, è chiaro che questo operare è fondante ben prima degli ultimi secoli del paganesimo e in un orizzonte ben più ampio rispetto ai testi tardoantichi che tematizzano il fare teurgico.

7 – Sempre nel suo testo dedicato agli Dei, Lei riserva un capitolo all’ermetismo ed all’alchimia. Ritiene sia valida l’espressione che si ritrova nelle monografie del Gruppo di Ur secondo la quale l’ermetismo è “la forma più pura e legittima secondo la quale si sono trasmesse lo spirito e l’ <<arte>> della tradizione occidentale pagana”?

Certo, l’ermetismo, nei suoi vari aspetti, è la “via” dell’Occidente, ciò che è inscritto nella nostra memoria e nel nostro patrimonio culturale e spirituale, e forse anche ciò che è più conforme alla nostra “fisiologia”. Ogni via richiede, lo sappiamo, determinate qualificazioni e determinate condizioni di partenza, che si legano ovviamente al contesto, all’ambiente naturale, all’alimentazione, alla conformazione somatica. Non tutto può essere fatto dovunque e da chiunque. L’osservazione è banale, ma credo scarsamente confutabile. Dopo, certo, bisogna comprendere che cosa implichi specificamente la tradizione ermetica e a quali pratiche rinvii. E non credo che ciò sia sempre chiaro a chi formalmente se ne occupa. Nel mio libro ci sono alcuni impliciti e alcune allusioni, come è giusto che sia.

8 – I suoi studi presentano una particolarità: nelle fonti, nella bibliografia sono presenti e citati autori dell’esoterismo dell’900, come Evola, Guènon, il Gruppo di Ur, spesso messi all’indice come non scientificamente probanti. E’ per noi una anomalia positiva, ma da accademico come la “giustifica”?

Non credo che ci sia nulla da giustificare e non ho preoccupazioni di questo genere. I pregiudizi non mi riguardano. Sono convinto semmai che l’attuale congiuntura storico-culturale possa e debba favorire una sintesi fra linguaggi e filoni del sapere che sono stati in passato fra loro distanti o su cui hanno pesato, nella dimensione ufficiale, interdetti o appunto pregiudizi estranei alla sostanza della realtà. Evola, Guènon e il Gruppo di Ur, così come Corbin o Massignon o Zolla, testimoniano l’impegno e la profondità di una ricerca esistenziale e iniziatica. Ovviamente bisogna saperli usare, ma questo riguarda qualsiasi opera e qualsiasi autore. Bisogna cogliere quale paradigma di pensiero e quale visione implichino e come debbano essere intese le affermazioni: quale piano dell’essere o del divenire riguardino. È chiaro che certi accostamenti o certe etimologie di Guènon o di Zolla, per fare un esempio, non vanno intesi alla “lettera” o come si trattasse delle risultanze di una positiva voce di un’enciclopedia di consultazione. Bisogna essere avvertiti della differenza che c’è tra storia e ierostoria, fra digitale e analogico, tra storico e simbolico. E sforzarsi di muovere da un piano all’altro nell’intreccio dell’identico e del diverso, ma anche nella continuità di un’aurea catena, per usare termini neoplatonici. Coloro che letteralizzano ciò che non è letterale o pretendono riscontri oggettivi senza aver idea di quale sia l’“oggetto”, o che ancora usano un paradigma inappropriato all’orizzonte osservato senza peraltro aver chiari la natura e i confini del paradigma che essi stessi abitano: tutti costoro fatalmente non capiscono nulla e giudicano inutili certe opere. E questo vale tanto sul versante accademico quanto sul versante degli appassionati di esoterismo: il positivismo e il conformismo intellettuali sono deteriori tanto quanto le fantasie sbrigliate di chi parla di tradizione antiche o di cabala senza aver letto un testo classico o ebraico, senza alcun accesso alle fonti originali ed orecchiando solo cose di terza o quarta mano. Bisogna studiare e praticare, praticare e studiare. Certe cose, una certa fenomenologia, si comprendono solo in modo esperienziale. E, viceversa, determinati strumenti culturali consentono di inquadrare, descrivere, sedimentare e dare respiro a un’esperienza. Non bisogna creare contrapposizioni che non esistono nella sostanza. Quel che bisogna fare è, come prima cosa, essere consapevoli della Weltanschauung da cui si parla e da cui si agisce. Se non c’è questa consapevolezza è un dialogo fra sordi, quando non si cade, ancor peggio, nella strumentalizzazione e nelle facili etichette.

9 – Lei riserva l’incipit del suo bel libro sulla sapienza arcaica a Pitagora, a Eliot, ma anche a Giuliano Kremmerz, l’ultimo epigono della scuola esoterica napoletana: ritiene che il sapere iniziatico dell’evo antico si sia perpetuato sino alle soglie del XXI secolo?

Sono convinto che la conoscenza sia sempre stata trasmessa. E credo che Kremmerz sia stato un maestro e una grande figura del Novecento italiano da questo punto di vista. Molte sue pagine sono e restano illuminanti così come gli orizzonti cui le sue pagine rinviano. Ma perché poi sarebbe l’“ultimo epigono”? Non si è interrotto ancora nulla che mi risulti.

10 – Nel ringraziarla per il tempo che ha dedicato a Ereticamente, le chiediamo, in conclusione, quali saranno i suoi futuri impegni di studio ed anche di rivolgere un pensiero alla manifestazione MythosLogos, organizzata ogni anno a Lerici (La Spezia) da Angelo Tonelli, e che la vedrà quest’estate tra i protagonisti.

Grazie a voi per l’attenzione cortese e affettuosa. Il prossimo 31 maggio sarà in libreria un volumetto da me curato per Feltrinelli: “La felicità degli antichi. Idee e immagini di una buona vita”. Si tratta di una raccolta antologica introdotta e commentata che va dall’età arcaica a Plotino. Ho cercato di selezionare e presentare i testi secondo una prospettiva “iniziatica”. Felicità in greco è eudaimonia: l’aver un buon daimon, quella parte di noi che emerge sempre al di sopra del divenire e del fato. Quanto a “MythosLogos” sono assai contento di parteciparvi e che l’iniziativa dell’amico Tonelli prosegua nel tempo per la felicità dell’ispirazione e della prospettiva che da sempre lo animano. E speriamo che, come in passato, ci sia una cospicua partecipazione per condividere insieme la tensione verso una nuova coscienza, o forse meglio, verso un “salto di coscienza”.

 

Intervista a cura di Luca Valentini

 

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