Diego Fusaro è nato a Torino nel 1983 e si è diplomato al Liceo Classico “Vittorio Alfieri” di Torino. Nel 2007 si è laureato in Filosofia all’Università degli Studi di Torino, dove è stato allievo di Pier Paolo Portinaro, Gianni Vattimo ed Enrico Pasini, con una tesi su Karl Marx. Dopo un periodo di ricerca all’Università di Bielefeld in Germania, ha conseguito il dottorato in Storia della Filosofia presso l’Università San Raffaele di Milano, dove attualmente è ricercatore nella stessa materia. Collabora con Giovanni Reale e Giuseppe Girgenti nell’opera di traduzione e di commento degli atomisti antichi per l’editore Bompiani. Ha già pubblicato oltre venti opere tra curatele e saggi, oltre a diversi articoli apparsi su varie riviste filosofiche. Tra questi si ricordano I suoi interessi di ricerca sono incentrati in particolare sulla storia critica delle idee, sull’idealismo tedesco e sui suoi anticipatori e continuatori (Marx). Ha fondato e dirige uno dei principali siti internet italiani di Filosofia (“La Filosofia e i suoi Eroi”, www.filosofico.net).
D. Diego Fusaro, EreticaMente ti ringrazia sentitamente per l’intervista concessa. Per cominciare, ci puoi parlare delle tue origini familiari e sociali e dell’influsso che hanno avuto sul tuo percorso intellettuale? Quale influenza hanno avuto su di te l’identità piemontese e torinese in particolare?
R. Io sono cresciuto a Torino pur non essendo torinese, perché mio padre è di Venezia e mia madre è di Acqui Terme. Ho avuto una passione precoce per la filosofia, avendo frequentato il Liceo Classico Alfieri di Torino dove ho avuto un ottimo professore di filosofia che mi ha fatto appassionare alla disciplina filosofica, Marco Chiauzza.
D. Quali letture hanno destato nel Diego Fusaro adolescente, durante gli anni del Liceo, l’interesse per la filosofia, indirizzandolo verso lo studio di questa? Qual è stato, invece, il ruolo dialettico e/o esistenziale della dimensione religiosa nella tua formazione?
R. Le letture che più hanno inciso sulla mia formazione filosofica ai tempi del Liceo sono sicuramente state Platone, Marx, Epicuro e Nietzsche, autori che sin dal Liceo ho letto per conto mio. Da lì ho capito che avrei dovuto studiare filosofia per dare un senso alla mia vita.
D. Una figura che sembra avere avuto un’influenza decisiva sulla tua formazione è quella di Costanzo Preve, nobile figura di pensatore marxista e di Italiano nonché personaggio anticonformista e demolitore dei luoghi comuni neocapitalistici della sinistra post-sessantottina. Molti ti individuano come il suo vero erede. Qual è il rapporto tra il Diego Fusaro filosofo e il pensiero dell’ultimo grande marxista italiano?
R. Io ebbi la fortuna di conoscere Preve tramite i miei studi su Marx e cominciai a frequentarlo assiduamente perché anch’egli abitava a Torino. Da quando lo conobbi mi invitò a casa sua tutte le settimane a discutere di filosofia. Non sta a me dire se sono il suo vero e autentico erede, posso però dire di considerarlo il mio grande maestro e di avere nei suoi confronti un grande debito intellettuale, morale e umano. Dire che Costanzo Preve è solo un grande marxista è dire poco, perché è anche un grande innovatore teorico e filosofico, per tutta una serie di motivi che non sto qui ad elencare.
D. Hegel appare come il vertice del pensiero occidentale moderno, quale pensatore che ricompone la scissione tra assoluto e divenire, tra Ragione e Storia. La dialettica hegeliana supera la logica aristotelica, la “coscienza infelice” cristiana e la distinzione “fenomeno-noumeno” di Immanuel Kant. Lo Stato appare in Hegel il luogo della realizzazione della coscienza sociale comunitaria e della vera libertà del cittadino. In quale misura l’hegelismo, sia nella sua variante conservatrice che in quella marxista, è ancora presente nella cultura politica e filosofica europea?
R. Secondo me oggi Hegel è la vera bestia nera nella filosofia e nella cultura contemporanea, perché tutte le filosofie oggi presenti nel panorama culturale italiano ed europeo, anche le più diverse, hanno come comune orizzonte l’odio conclamato verso la filosofia di Hegel (dalla filosofia analitica al pensiero debole, dal femminismo residuo al pensiero francese della differenza). Come ho cercato di chiarire nel mio libro “Minima mercatalia”, Hegel è oggi odiato essenzialmente per tre motivi: 1) egli è il teorico della verità filosofica come acquisizione storica dell’autocoscienza dell’umanità, e dunque si contrappone tanto all’odierna superstizione scientifica che pensa che la sola verità sia la certezza delle scienze, quanto all’odierna “malattia antistorica” propria di un’epoca – quella post-1989 – che pretende di aver chiuso per sempre i conti con la storicità; 2) Hegel è teorico della comunità storica e sociale contro l’individualismo o – egli direbbe – il sistema dell’atomistica proprio dell’odierno capitalistico regno animale dello spirito; 3) il pensatore di Stoccarda teorizza fermamente il primato della politica sull’economia, e dello Stato sul sistema dei bisogni. Egli sostiene che se abbandonata a se stessa, l’economia produce “tragedie nell’etico”, che è esattamente quanto sta accadendo nell’odierno mondo dell’economia spoliticizzata e del mercato senza frontiere e senza Stati sovrani.
D. Friedrich Nietzsche è “epilogo necessario” o negazione dell’Idealismo tedesco in particolare e della Metafisica occidentale in generale? “Volontà di potenza” nietzschiana ed “esigenza veritativa della filosofia” sono definitivamente inconciliabili? In quale misura l’Idealismo sopravvive dopo Nietzsche e in questo quale ruolo riveste l’Attualismo di Giovanni Gentile?
R. Secondo la nota tesi di Heidegger, Nietzsche è il compimento della metafisica idealistica che, dimenticando l’essere, riduce l’essente a “posizione” (Fichte, Hegel) e a “volontà di potenza” (Nietzsche). Dal canto mio penso che Nietzsche debba essere invece collocato in un’altra linea filosofica che, come già sosteneva Lukàcs ne “La distruzione della ragione”, muovendo da Schelling e da Schopenauer, è totalmente altra rispetto a quella hegelo-marxiana della dialettica razionale della Storia. Oggi più che mai la scelta tra l’Idealismo e Nietzsche è una scelta decisiva. Io, personalmente, sto con l’Idealismo, come ho chiarito nel mio libro “Idealismo e prassi”. L’idea del superamento vale nelle scienze, ma non ha senso nella filosofia, dove dopo Nietzsche si può tornare a Hegel, Fichte o Platone. Gentile è il più grande filosofo italiano del Novecento, tanto più grande quanto più sottovalutato, silenziato, dimenticato da una cultura, quella italiana, che si rivela tanto più provinciale quanto più è goffamente cosmopolita e americanofila. L’attualismo di Gentile sta al Novecento filosofico italiano come la dialettica di Hegel sta all’Ottocento filosofico tedesco. Marx è hegeliano tanto quanto Gramsci è gentiliano. Ed è questa la tesi centrale del mio libro “Idealismo e prassi”.
D. E’ ricorrente nella cultura italiana tra Ottocento e Novecento, in esoteristi come Arturo Reghini e persino in filosofi come Giovanni Gentile, il mito di un’antichissima “sapienza italica”, scaturita dal retaggio italico primordiale, dalla tradizione ermetica e dal pensiero filosofico classico, che avrebbe avuto quali suoi massimi esponenti Pitagora, Virgilio, Dante, Bruno, Campanella, Vico, fino a Mazzini e Gioberti, per poi influire in modo decisivo sulla genesi del pensiero filosofico occidentale moderno. Quale linea di sviluppo individui nel pensiero italiano attraverso i secoli?
R. Recentemente Roberto Esposito, nel suo libro “Pensiero vivente”, l’ha identificata nella categoria di “pensiero della vita”. Io personalmente la individuerei piuttosto nel pensiero concreto della storicità. La cifra del pensiero italiano mi pare infatti essere l’attenzione per la concretezza storica e questo secondo una linea che congiunge virtualmente Gioacchino da Fiore e Benedetto Croce, Giambattista Vico e Antonio Gramsci, Niccolò Machiavelli e Giovanni Gentile, Guicciardini e Gioberti. Dal prossimo anno all’Università San Raffaele terrò il corso di “Storia della filosofia italiana”, che è un modo per valorizzare la nostra tradizione di pensiero anche in tempi difficili come quelli che la nostra penisola sta attraversando.
D. Sinistra post-sessantottina e neocapitalismo, due facce della stessa medaglia? La finanziarizzazione dell’economia e l’individualismo consumista, come sostengono molti, per trionfare compiutamente hanno usato e usano i cavalli di battaglia del libertarismo radical-chic?
R. Il tema l’ho affrontato ampiamente nel mio studio “Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo”. Il capitalismo, nella sua logica di sviluppo, deve superare la borghesia per due ragioni: 1) la borghesia può dare vita alla coscienza infelice di cui è espressione Carlo Marx; 2) la borghesia ha tutta una sfera di valori etici, religiosi e morali che si rivelano incompatibili con un capitalismo pienamente sviluppato, in cui cioè non vi sia più alcuna autorità in grado di fermare o disciplinare l’estensione illimitata della forma-merce. Il Sessantotto è il momento di emancipazione non “dal” capitalismo bensì “del” capitalismo che – Pasolini docet – si libera della borghesia. Dal Sessantotto ad oggi la Sinistra lotta contro la borghesia e la sua cultura e perciò stesso porta avanti la stessa lotta propria del Capitale. La Sinistra, proprio come il Capitalismo, è antiborghese e lottando contro gli ultimi residui della cultura borghese difende e favorisce un capitalismo post-borghese in cui tutto è possibile e non esiste più l’autorità. Di qui l’odierno paradosso di una Sinistra che lotta per la liberalizzazione delle droghe e per i diritti astratti dell’Io individuale e non dice più nulla sulla condizione dei lavoratori, sul precariato, sui diritti sociali, sul nuovo imperialismo statunitense, e sull’odierno genocidio finanziario interno all’Unione Europea. La situazione è tragica ma non seria: la Sinistra è il problema e pensa di essere la soluzione. Se la Sinistra smette di interessarsi a Marx e a Gramsci, bisogna smettere di interessarsi alla Sinistra.
D. Recentemente, sotto l’urto disumanizzante della globalizzazione liberista portato avanti dalle istituzioni sovranazionali (WTO e FMI) e in particolare dal mostruoso apparato burocratico-finanziario dell’Unione Europea e della Banca Centrale Europea, sono tornati in auge le categorie, invero necessarie e indefettibili, di Sovranità, di Nazione e di Stato Nazionale. La lotta di liberazione dall’Euro e dalla UE riconcilierà gli Italiani, al di là delle vetuste categorie novecentesche, nel grande ideale della Patria italiana unita, indipendente, libera e sociale, che già fu di Mazzini e Garibaldi e di tante generazioni di connazionali prima e dopo di loro?
R. Sarà difficile perché il potere, tramite la manipolazione delle coscienze, ha tutto l’interesse a tenerci divisi tra rossi e neri, destri e sinistri, di modo che non possa mai prendere vita un fronte comune contro il Capitale in difesa della comunità umana. Io credo che oggi, come sapeva Gramsci, la lotta contro la cattiva universalizzazione capitalistica detta pudicamente “globalizzazione” debba trovare nel momento dello Stato sovrano democratico il proprio necessario punto di passaggio. Dire “Stato sovrano” non vuol dire richiamarsi a Stalin e a Hitler, come vuol far credere il clero giornalistico, vuol dire invece lottare per la comunità democratica e per la ripoliticizzazione dell’economia, cioè per strappare il dominio dalle mani dei banchieri apolidi e dei cinici “finanz-capitalisti” e riportarlo sotto il controllo politico della comunità. Con buona pace degli odierni politici di una Destra e di una Sinistra perfettamente interscambiabili, il Mercato non va assecondato e favorito, va disciplinato e governato in funzione dei bisogni della comunità democratica. L’odierna Unione Europea è il culmine della spoliticizzazione dell’economia. Essa è un vero e proprio colpo di Stato finanziario che si lascia anche leggere come una “rivoluzione passiva” (Gramsci) con cui le classi dominanti dopo il 1989 hanno imposto le politiche neo-liberali.
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