Intervista a cura di Luca Valentini
- Lei storicamente appartiene agli ambienti delle destra radicale, a partire dalla sua giovanile militanza in Terza Posizione, anche se dalla sua collaborazione con la storica rivista Orion ha iniziato un processo di revisione di certe posizioni tanto politiche ed ideologiche, quanto culturali. L’Adinolfi attuale in cosa si differenzia dal variegato mondo del neofascismo contemporaneo?
Premetto che la mia collaborazione con Orion non ha visto alcuna revisione politica o ideologica da parte mia. In quanto al neofascismo attuale, posto che si possa ancora chiamare così, la distanza che intercorre tra il sottoscritto e l’insieme di quell’ambiente ritengo che sia di ordine mentale.
Si tratta quasi sempre di un ambiente autoreferenziale, racchiuso in comportamenti da vinti e da emarginati a qualunque costo, che non cerca quasi mai di cambiare la realtà ma solo di fare notizia ogni tanto per sentirsi vivo. È per questo che parlo di “destra terminale”.
Chiariamo però che sono i comportamenti collettivi di tribalizzazione sterile che hanno il sopravvento ma, se presi individualmente e spinti a respirare qualche boccata d’aria, moltissimi dei suoi componenti, se non addirittura la maggioranza, sono recuperabili alla vita. E dunque alla politica.
- In questa sua diversificazione, quali elementi di matrice culturale e dottrinaria hanno inciso maggiormente?
La vita. La conoscenza diretta dei combattenti e in particolare delle Waffen SS, le letture dei diari e delle memorie dei protagonisti. Se poi parliamo esclusivamente di pensiero esistenziale allora andiamo a Nietzsche, Evola e Pirandello.
- Più volte pubblicamente Lei ha descritto la paventata “unità dell’area” di tutta la miriade di formazioni nazionalpopolari come una vera e propria iattura. Può spiegarci meglio tale sua poco compresa posizione?
L’unità di più debolezze indebolisce. Inoltre non si può agire in direzione centripeta nei confronti di un piccolo mondo caotico, nevrotico e centrifugato. Quell’area deve niccianamente “trapassare”.
- Sempre in merito alla destra radicale, più volte Lei ha denunciato il persistere di un modus agendi e di sovrastrutture mentali sistemiche ancorate ad una prassi meramente formalistica non più sostenuta da una visione nuova e vivente delle dinamiche della società attuale. Quali elementi innovativi, quali nuove prospettive dovrebbero essere assunte nella piena attuazione nichilistica della modernità?
Inutile parlare qui di metodi, di tecniche e persino di percezioni. Il discorso sarebbe interessante, molto interessante. Ma prima bisogna che chi ritiene soggettivamente di rifarsi alle idee-forza della nostra più recente tradizione esca dalla sua costruzione psichica degna dell’intervento di uno psicanalista e diventi solare, semplice, vivo. Che sia allegro e vitalista. Altrimenti non serve a nulla trovare delle strade percorribili. Per marciare servono le gambe, serve la testa, serve il piacere di marciare. Non ne vedo quasi per nulla traccia.
- Sempre in tale ottica, quali caratteristiche dovrebbe avere un movimento che possa e sappia reggere le sfide e le problematiche dell’Occidente? Che giudizi esprime sul Front National di Marine Le Pen o su Alba Dorata?
Il Front National deve tutto al suo fondatore Jean-Marie Le Pen ed è per quello, a mio parere, che ancora non sbanda verso un post-leghismo borghese alla Maroni.
Di Alba Dorataso poco. Ho però notato che ha presentato l’unico programma politico – a mia conoscenza – pragmatico e intelligente del dopoguerra. Quindi sono propenso a veder bene Alba Dorata fin da prima dell’inevitabile solidarietà nata con l’assassino di Giorgos e Manolis.
Ciò premesso io sono convinto da tempo che un movimento abbia un ruolo, che un partito abbia un ruolo, ma che fronte alla metamorfosi del potere odierno sia tutt’altra la logica sinergica che vada concepita.
Una logica sinergica che attraversi oggettivamente (ovvero per forza di cose e senza il bisogno di accordi tra capi e capetti) anche movimenti e partiti ma che vada alla costruzione delle autonomie geografiche e sociali, alla riconquista culturale, alla realizzazione di quello che io definisco un lobbismo di popolo.
- Per alcuni anni il suo nome è stato spesso accostato all’esperienza occupativa e nonconforme di CasaPound: ora sembra non sia più così. Può spiegarci gli elementi che la legavano in passato all’associazione guidata da Gianluca Iannone e quelli che attualmente la dividono?
In realtà gli osservatori si sbagliano sempre perché tendono a semplificare.
Il mio percorso è chiarissimo da sempre ed è appunto “sinergico”. Ma poiché si hanno difficoltà ad accettare categorie non troppo elementari, perché questo implicherebbe l’obbligo di compiere uno sforzo cerebrale, si è sempre cercato di incasellarmi. Prima come forzanovista, poi come criptoalleanzino, in seguito come berlusconiano e al tempo stesso come guru di CasaPound.
Su CasaPound ho sempre detto, e non ho ragione di non continuare a farlo, che è una sorta di corda tesa tra l’avanguardia rivoluzionaria e la tribù urbana.
Che tra tutte le espressioni aggregative di area è l’unica vivace e innovativa.
Per il resto ci sono differenze e divergenze sul come e sul dove andare.
Ma è logico, visto che io sono sinergico (che non significa federativo e che neppure significa sinergico nella presunta area, bensì ad ampio raggio socio-culturale) e CasaPound, in quanto organizzazione, ha la tendenza a riportare tutto all’interno di essa.
- Al di là di alcune vicinanze politiche, negli ultimi anni Lei si è molto impegnato in progetti di formazione umana e politica, tra i quali Polaris è il più noto. Può descriverci sinteticamente come tali progetti procedono e quali sono le aspettative per il futuro?
Rivoluzione culturale. Che non significa intellettuale o teorica.
Direi che in parte è in atto, visto che coinvolge in forma attiva non soltanto frange politiche e sindacali ma anche categorie produttive. Diciamo che vuol essere più o meno il centro gravitazionale discreto di una sinergia lobbistica di ampio raggio.
- Nella succitata rivista Orion, nei confronti del mondo e del pensiero tradizionalista, Lei ha spesso assunto posizioni eterodosse, vicine agli ideali dell’89 e celebrando personaggi come Machiavelli e Napoleone, in contrasto con quanto, per esempio, riportato da Evola in gli uomini e le rovine.Ritiene che anche il mondo dello Spirito, come l’ambito politico, debba adeguarsi al corso naturale della storia o possa conservare una sua stabile e non modificabile imperturbabilità?
In realtà ho detto una cosa un po’ diversa (che però si ritrova anche in Romualdi e in Guénon): ovvero che la parodia restauratrice è in sé ed è dunque stata storicamente più sovversiva di quanto lo siano state le rettifiche nate all’interno del fronte sovversivo.
In quanto a Napoleone, alla sua guerra all’usura, alla sua riedificazione di una nobiltà di spada, egli è sicuramente più tradizionale di Luigi XVIII che s’inchina a quello stesso Rothschild che Napoleone aveva fatto arrestare e che nobilita i banchieri. Lo stesso dicasi per la Santa Alleanza, che io ho ribattezzato “Santa Finanza”, che instaura un sistema protomondialista di polizia a difesa della casata regnante in Europa: i Rothschild. Quelli che appunto avevano combattuto e vinto Napoleone. Lo spirito non s’adegua mai. È l’anima, ovvero ciò che lega tra loro lo spirito e il corpo, che si deve innovare. È su questa logica che nacque il fascismo e che si produssero poi le rivoluzioni nazionali.
- Dagli ultimi avvenimenti internazionali, dalla guerra alla Siria alla ribalta di temi etici, come quelli inerenti all’omosessualità, alla famiglia tradizionale ma anche alla lotta al signoraggio ed al sistema oligarchico finanziario, molti hanno intravisto in Putin e nella Russia una nuova frontiera di resistenza e di speranza. Può esplicitarci il suo pensiero in merito, anche in riferimento ad una geopolitica eurasiatica?
Sono d’accordo. C’è stata una sorta di traslazione rispetto all’immaginario (che non era poi così reale) di qualche decennio fa. Oggi la patria comunista sono gli USA e quella nazionalista è la Russia. In quanto alla geopolitica, è evidente che l’Europa più la Russia significherebbe un avvenire. Altrimenti siamo morti. E non è un semplice modo di dire.
- Infine, quanta fiducia ripone negli sforzi che uomini di pensiero e di azione come Lei, come altri che scrivono e collaborano in questo blog, pongono in essere affinché il fuoco sopito sotto la cenere possa rigenerarsi al di là del confuso movimentismo e dello sterile intellettualismo? La ringraziamo del tempo concesso ad Ereticamente.
Non ne ho idea. Io non mi muovo quasi mai con illusioni. Conto di fare le cose efficacemente perché bisogna che esse siano fatte così, a prescindere dal risultato che, in ogni caso, come spiega lo stesso Evola, dev’essere perseguito meticolosamente. In quanto alla Speranza, è una virtù teologale con cui non ho molta familiarità. In compenso mi nutro di un’altra: la Fede.