a cura di Luca Valentini
- Dottor de Turris, quando ci si rivolge a Lei, irrimediabilmente si affronta il tema dell’opera e della personalità di Julius Evola, considerando che Lei è segretario dell’omonima Fondazione. Negli ultimi tempi diversi convegni su Cavalcare la tigre, su Gli uomini e le rovine, sulla tanto attesa ristampa de Il camminodel cinabro, i prossimi su Rivolta contro il mondo moderno e poi le giornate di studio dell’11 e del 21 giugno, rispettivamente a Roma e a Napoli nel quarantennale della scomparsa. E’ in atto una nuova e fervente stagione di studi evoliani? Quale la risposta del pubblico e dei lettori?
Sono molto sincero. Tutte queste iniziative sono state intraprese da chi si interessava già al pensiero di Julius Evola da anni, se non da decenni. Ad esse hanno partecipato e parteciperanno studiosi vecchi e giovani del filosofo non certo spuntati all’improvviso, ed è sicuramente positivo che fra essi vi siano ventenni e trentenni. Il pubblico che ha partecipato a conferenze, convegni e presentazioni di libri è in genere formato da lettori che lo conoscono abbastanza bene, anche se non mancano i neofiti. E fa piacere che in un clima di degrado generale come quello presente, ci siano ancora tante persone che continuano ad accostarsi al pensiero di Evola.
Quindi, si deve purtroppo dire che questo fervore rimane di solito circoscritto ad un’area culturale ben definita e ben conosciuta, anche se l’intento di tutti gli organizzatori è stato quello di cercare di allargare quanto più possibile la conoscenza di Evola all’esterno.
Oggi, a quarant’anni dalla sua morte, si deve dire che la situazione generale non contribuisce affatto ad un ampliamento di orizzonti visibile, nel senso che in precedenti anniversari (penso al centenario del 1998) si riuscì a realizzare eventi molto significativi sia per i partecipanti sia per chi appoggiò concretamente le diverse iniziative. Penso a Marzio Tremaglia a Milano e a Gianni Borgna a Roma. E ricordo l’eco, anche polemico, sui giornali. Oggi tutto sembra cadere nel silenzio. Non che si cerchi pubblicità o visibilità a ogni costo, tutt’altro, non à da noi, ma c’è un senso in tutto questo, vale a dire la deriva inarrestabile della cultura italiana, nei suoi aspetti alti e bassi.
Non che questo voglia dire una caduta di interesse dei lettori, anzi. Le opere di Evola sono regolarmente acquistate e ristampate. Aumentano le tesi di laurea, in genere chieste dagli studenti, più che proposte dai docenti, e l’interesse di intellettuali insospettabili. Intendo dire che quel che è paradossalmente cambiato rispetto ad anni fa è l’atteggiamento di certi giornalisti e politici che vedono in lui una specie di nuovo tabù, sicché sponsorizzazioni di convegni su Evola da parte di assessorati alla cultura di centrosinistra e men che mai di centrodestra non sono purtroppo ipotizzabili. E senza quattrini, come ben si sa, ci si deve ridurre a piccole cose stile carbonaro. E questo nel 2014 è francamente inaccettabile. E anche il bando di concorso della Fondazione AN per progetti culturali, su cui in molti si contava, si è risolto in un ridicolissimo fallimento, non si capisce se per insipienza o per “dritteria” dei responsabili.
- Negli ultimi decenni il pensiero di Evola è stato spesso criticato per un suo presunto passatismo e per il non essere aggiornato ai nuovi tempi ed alle nuove scoperte scientifiche e specificatamente archeologiche. Ritiene che l’espressione di tematiche tradizionali, indi connesse allo Spirito, possa avere un cosiddetto adattamento alla società moderna o agli studi accademici?
Bisogna chiarire. Evola, partendo dalla premessa secondo cui i dati della scienza sono utilizzati a conferma della interpretazione simbolico-tradizionale, ha sempre aggiornato le varie edizioni dei suoi libri, ad esempio Rivolta dove anche si occupa di questioni archeologiche e antropologiche, eliminando ipotesi non più sostenibili e tenendo conto delle novità anche in bibliografia. Nella edizione critica 1998 del libro c’è un saggio di Roberto Melchionda che confronta le modifiche delle tre successive edizioni dell’opera. Inoltre, soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta quando aveva una intensa collaborazione al quotidiano Roma, ha tenuto conto di varie scoperte e nuove teorie e le ha commentate. Si aggiornava, dunque. A tale proposito la Fondazione ha pronto un suo Quaderno a cura di un esperto, Mario Giannitrapani, in cui sono raccolti questi testi con ampio commento e confronto con quel che si conosce oggi in materia, considerando che Evola è morto quaranta anni fa.
Come ho già ricordato, Evola scrive nella introduzione a Rivolta ma anche altrove, di non rigettare le novità della scienza ma di utilizzarle per avallare le sue interpretazioni simbolico-tradizionali, a differenza di altri esponenti di questa corrente che le rifiutano a priori. E’ quindi una via del tutto personale che si attira gli strali dell’una e dell’altra parte.
- Altre critiche ad Evola sono state poste sul piano della scelta delle tradizioni: una determinata area di studiosi legati agli insegnamenti di Arturo Reghini ha sostenuto che il filosofo romano perpetrò, dalla fine dell’esperienza di Ur in poi, una sorta di tradimento delle istanze pitagoriche e pagane verso un concetto quasi astratto di Tradizione, con un avvicinamento nefasto verso il Cristianesimo. Che opinione ha in proposito?
Evola è stato considerato un “eterodosso” dai seguaci di vari altri autorevoli pensatori (Guénon, Reghini, Scaligero, Coomaraswamy ecc.) e questo dimostra la forza del suo pensiero e quel che potremmo definire e la sua “originalità”, se di ciò si potesse parlare nell’ambito della Tradizione. Ognuno segue la sua strada, in base alla propria “equazione personale”, come lui diceva. Ciò, a mio parere, non vuol dire deviare dalla Tradizione, ma imboccare una via segnata dalle proprie particolarità spirituali, che nel caso di Evola erano tutt’altro che “astratte” ma invece si calavano nella realtà e con essa si confrontavano.
Nell’arco di quasi sessant’anni di attività Evola ha avuto sicuramente approcci diversi nei confronti del Cattolicesimo, non del Cristianesimo che ha sempre giudicato negativamente. Devo ricordare che cercò con insistenza aspetti “esoterici” del cattolicesimo, e che la sua esperienza personale con molti giovani, soprattutto negli anni Cinquanta e la scelta di molti di essi di diventare cattolici pur restando tradizionalisti ed in un certo senso ancora “evoliani”, lo aveva parecchio deluso. Diceva che essere cattolici voleva dire essere “tradizionalisti a metà”. Sulla sua bara non volle una croce e che si celebrasse alcuna cerimonia religiosa. Non mi pare che si possa parlare di una “svolta cristiana” o “svolta cattolica”, di un “avvicinamento”, ma semplicemente di tener conto razionalmente e oggettivamente di quanto avveniva intorno, in un “mondo dove Dio è morto”. Pensava che fosse meglio essere cattolici (o buddhisti, o musulmani) che essere atei o integralmente laici. Est modus in rebus direi.
- Sempre in tale ottica, Evola nel Mistero del Graal, ma anche e soprattutto in Rivolta contro il mondo moderno, ha considerato spesso alcuni periodi ed istituzioni della storia europea, come il Sacro Romano Impero, come il Rinascimento, come il Risorgimento, secondo quella terza dimensione della storia che è senso interno e simbolico: non ritiene che le polemiche in merito alla presunta religiosità, cristiana o pagana, di certi eventi, smarriscano completamente quel senso interno che Evola aveva colto?
Se con questa domanda intende dire che i giudizi dati da altri su certe tesi di Evola, siano pro o contro esse in base ad un pregiudizio “religioso”, ritengo che si debba rispondere affermativamente. Non è questo il parametro esatto per condividere o dissentire su quanto il filosofo ha scritto su quei particolari argomenti (ma anche su altri).
Tutti i giudizi evoliani sono motivati ed hanno sempre un riferimento superiore quando analizzano la contingenza storica, ma non mi pare che tra essi vi siano “cristianesimo” e/o “paganesimo”. La contrapposizione invece è, come si sa, fra “Tradizione” e “Modernità” e cosa esse simbolicamente rappresentano: il mondo dello spirito e il mondo della materia, l’Essere e il Divenire. Ciò lo pone controcorrente rispetto alle standardizzate opinioni su Sacro Romano impero, Rinascimento e Risorgimento che lei cita.
- Nella formazione spirituale e tradizionale di Evola, Arturo Reghini e René Guénon, ricoprirono un ruolo importante in ambiti diversi, in ambito pitagorico-ermetico il primo, metafisico il secondo. Ritiene valida l’ipotesi che Evola abbia sapientemente sintetizzato tali indirizzi per percorrere un viatico realizzativo assolutamente unico e personale?
La formazione della “visione del mondo” di Julius Evola, sia dal punto di vista teorico che pratico è espressamente descritta nel Cammino del cinabro in cui sono riconosciuti tutti i debiti spirituali, filosofi e culturali nei confronti delle personalità con cui è venuto via via a contatto e che lo hanno per così dire formato, prima che intraprendesse la sua strada, il cammino appunto. Che è, si ricordi, personale, mentre la via e la strada sono di tutti.
E’ evidente che vi hanno contribuito anche Reghini e Guénon per sua esplicita ammissione, ma solo per alcuni aspetti: imperialismo e romanità per il primo, ma non certo pitagorismo (che Evola criticò per certi aspetti nel commento agli Aurea carmina da lui curati e tradotti), né per la massoneria (con cui sempre polemizzò); per il secondo il riferimento alla Tradizione primordiale e la interpretazione simbolica, non certo la superiorità della contemplazione sull’azione e quella dell’Oriente sull’Occidente.. Piuttosto cercò di contemperare le intransigenze dei due pensatori con la propria scelta tradizionale e la propria “equazione personale” assai diversa da quella di entrambi.
- Rimanendo su un medesimo ambito di considerazioni, quanto il piano magico-realizzativo, concretamente investì la vita di Evola fino agli ultimi giorni di vita, al di là di un apparente disinteresse verso certi temi, dopo la pubblicazione della sua ultima opera “magica”, cioè Metafisica del Sesso?
Non credo si possa dare una risposta precisa a questa domanda perché si dovrebbero conoscere particolari personali che Evola certo non andava a dire in giro, o magari li diceva a chi gli era particolarmente vicino spiritualmente e fisicamente e di cui si fidava, come, penso, Placido Procesi, suo medico personale, ma anche amico ed esoterista.
Dal punto di vista esteriore non si può dire che vi sia stato un assoluto disinteresse circa il piano magico-realizzativo negli ultimi quindici anni di vita di Evola. Dopo aver chiuso la trilogia, se ne occupò in articoli giornalistici, saggi e interviste. Soprattutto non si deve dimenticare che nel 1971 ripubblicò Introduzione alla magia sui cui testi intervenne ancora. Sul piano interiore, ecco, questo non possiamo saperlo, ma anche qui si ricordi che personalità come Colazza, Scaligero e Filippani-Ronconi lo consideravano e lo definivano “un mago nato”. Di certo operazioni di alchimia spirituale, nei momenti più difficili, si può pensare che ne attuò.
- Grazie all’opera meritoria delle Edizioni Mediterranee, ultimamente è tornata alle stampe un’importante opera biografica di Massimo Scaligero, Dallo Yoga alla Rosacroce. In essa vi sono considerazioni profonde sulla personalità di Evola e sul rapporto spesso problematico che ha investito il mondo degli “evoliani” o degli “evolomani”: partendo dalle considerazioni scaligeriane, ritiene che in alcuni frangenti si sia sviluppato una sorta di fideismo dogmatico del Maestro, che spesso ha tradito le idee che lui stesso intendeva difendere?
Non ricordo chi disse che “il problema non è Evola ma gli evoliani”, mentre, come si sa, è stato lo stesso filosofo a coniare il termine “evolomani” per riferirsi proprio a coloro che sono colpiti da “fideismo dogmatico”, ai “più realisti del re”, a coloro che ne sanno più del loro “Maestro” e ritengono di essere gli unici depositari della interpretazione corretta del suo pensiero. Insomma, “i duri e puri”. Succede spesso e non ne sono immuni i seguaci di Guénon, di Steiner e di Scaligero. Tanto per dire: molti scaligeriani “duri e puri” non hanno affatto gradito le interpretazioni serie e oneste di Beniamino Melasecchi premesse proprio a Dallo Yoga alla Rosacroce.
Certa cattiva fama di Evola deriva proprio dall’eccessivo fideismo dei suoi seguaci e discepoli (di coloro che si ritengono tali), i quali spesso gli hanno provocato danni direttamente o indirettamente, anche essendo in buona fede. Evola lo ha detto e scritto in diverse occasioni, come ho ricordato nel mio libro Elogio e difesa di Julius Evola, citando fatti e parole dello stesso filosofo. Senza offesa per nessuno, ma è stato proprio così. Nella mia Nota a Il cammino del cinabro, mettendo insieme alcuni episodi e alcune date ho ipotizzato che il libro sia stato scritto anche per dare una interpretazione autentica del suo pensiero nei confronti degli esagerati seguaci, appunto degli “evolomani”. Il problema è che con certi “militanti” è difficile dialogare e cercare di comprendersi: ti tacciano da “traditore” delle idee del “Maestro” (anche se Evola rifiutava la qualifica e mai si definì tale), sia in senso ultraortodosso, sia in senso eterodosso… Di “annacquare” il suo insegnamento. Per alcuni sei un eretico, per altri uno scolastico. In fondo è la mentalità della setta che vorrebbe il “Maestro” solo per sé e non lasciarlo agli altri. All’inizio della edizione critica dei libri di Evola, e siamo a vent’anni fa, fui rimproverato “di dare le perle ai porci”…. Dopo tanto tempo e passate quasi due generazioni, in certi ambienti ancora si pensa così. Evola come guru per un ristretto circolo di puri che, soli, lo hanno capito e ne applicano gli insegnamenti. Bisogna vedere poi come e con quali risultati, interiori ed esteriori.
Il pensiero di Evola è un pensiero potente, controcorrente, suggestivo (anche per come è scritto) che inevitabilmente attrae, avvince, appassiona, crea una certa “fedeltà” in quanto alternativo al mondo in cui viviamo. Nel secondo dopoguerra è sempre stato così, dagli anni Cinquanta ad oggi, quindi non bisogna troppo meravigliarsi di certi effetti, risultati ed episodi. Si può anche capire, ma allo stesso tempo bisogna anche spiegare il come e il perché e mettere sull’avviso. Non si può cadere in un irrazionalismo che lo stesso Evola ha sempre condannato.
- In riferimento alle idee da Evola difese, considerando lo sviluppo decadente della società globalizzata del terzo millennio, certe analisi e certe intuizioni sul come porsi dinanzi alle dinamiche del tempo attuale, non crede possano essere state quasi profetiche?
Certamente, e in un mio libretto uscito a cavallo del millennio, Come sopravvivere alla Modernità, ho cercato di analizzare e spiegare come sia teoricamente possibile. Ormai credo che sia chiaro come il filosofo scrisse tre opere in sequenza (poi però usciti non nell’ordine pensato e a distanza fra loro), proprio a questo scopo, per preparare le generazioni del secondo dopoguerra, e non solo esse, a fronteggiare il mondo moderno, viverci a secondo le proprie predisposizioni e a non lasciarsi travolgere. Cavalcare la tigre (1961), Gli uomini e le rovine (1953), Metafisica del sesso (1958). Opere rivolte a tre diversi generi diversi di lettori, ma con un identico scopo, come ho spiegato nelle edizioni critiche di esse.
Il mondo in cui predominano l’anarchia religiosa, il collasso della politica, la pandemia sessuale, la demonia dell’economia, l’inesorabile declino della spiritualità, l’aggressione all’Io, la scomparsa dei valori etici, il capovolgimento delle norme, viene descritto sotto varie forme in quei libri pensati e realizzati tra la fine degli anni Quaranta e la metà degli anni Cinquanta, e non è altri che il nostro. Tornato in Italia Evola si accorse di quale fosse la condizione esistenziale del dopoguerra, al termine di un conflitto tragicamente perduto, ma i sintomi di allora sono esplosi oggi in tutta la loro potenza, grazie anche alla diffusione che ai disvalori concedono le nuove forme della tecnologia. Sicché li ritengo sempre validi e rivolti non soltanto alle giovani generazioni di quell’epoca ormai lontana quasi settant’anni.
- Infine, nel mondo degli studi tradizionali, al di là della Fondazione che Lei rappresenta, ravvisa spunti interessanti di novità e di ricerca? Verso quali nuovi orizzonti può condurci una rinnovata adesione al mondo della Tradizione?
In quarant’anni, tanti ne sono trascorsi dalla sua morte, esiste una “eredità evoliana” che naviga spesso in maniera carsica, non evidentissima. Del resto gli “studi tradizionali” non sono la musica pop e l’ultimo bestseller di Dan Brown. Al di là di singolari posizioni dovute a lati caratteriali cui non si riesce a sottrarsi, e al di là da visioni catacombali nei confronti delle quali lo stesso Evola non era d’accordo (si vedano le sue interviste), in tutto questo tempo una testimonianza è stata trasmessa ed ha raggiunto anche le giovani generazioni, pur se a qualcuno, guardandosi intorno, potrà non sembrare così. Ci sono dei ragazzi e delle ragazze che, quasi come funghi dopo una giornata di pioggia, spuntano dal nulla, certe volte già ben preparati motu proprio si potrebbe dire, altre volte incuriositi ma aperti ad approfondire dato che si sentono a disagio in questa società e non capiscono perché, i quali affrontano lo pensiero di Evola con gli strumenti metodologici della cultura odierna, multidisciplinari: dalla semiotica all’antropologia, dalla storia delle religioni alla simbologia. Spuntano tesi di laurea, qualche volta fatte con docenti che sino a quel momento ignoravano chi fosse Julius Evola, come ho già ricordato. Inoltre, si diffonde anche la ricerca archivistica che riserva ancora moltissime sorprese: solo i documenti, carta canta, spesso possono scalzare i luoghi comuni e i sentito dire, come si può constatare per quelli pubblicati nell’ultima edizione del Cammino del cinabro. Da un lato la speculazione intellettuale e l’analisi filosofica, dall’altro la ricerca documentaria effettuate da giovani studiosi porteranno di certo ad un ampliamento degli orizzonti del pensiero tradizionale fornendo armi spirituali a chi non si ritrova nel mondo moderno.
Tutto ciò serve anche per abbattere i pregiudizi che, come ho detto all’inizio, tendono a irrigidirsi per evidente ignoranza. Questo il guaio del nostro Paese: conformismo più ignoranza uguale politicamente corretto. Una vera malattia.
La ringraziamo per la disponibilità che ha voluto gentilmenteconcedere ad Ereticamente.
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