Di Fabio Calabrese
Io vorrei ora aggiungere un’ulteriore riflessione ispirata al libro Mistica Volkisch di Prati, Rimbotti e Lorenzoni. A mio parere, se questo testo ha un difetto, è quello di non chiarire bene che l’etnonazionalismo Volkisch non è soltanto una vicenda che può riguardare la Germania e un momento particolare della storia tedesca, ma che può essere il punto di partenza di una riflessione e di un progetto politico in grado di coinvolgere tutti noi, e dunque non certo un testo che ci parla di dimenticati eruditi interessanti per la storia della cultura, ma i cui valori non siano trasponibili oggi.
Intendiamoci, e cerchiamo di non cadere in equivoci: non è mia intenzione attribuire un significato universalistico a un testo che è una sfida all’universalismo. Gente di provenienza mediorientale o africana, come si dice oggi, subsahariana, avrebbe un bel guardare alla propria anima razziale: non vi scoprirebbe altro che la sterilità, l’assenza di facoltà creative, l’opportunismo, il rancore, l’odio malcelato verso chi ha la colpa di essere superiore a loro sotto ogni aspetto.
Riconoscere nel nostro popolo i lineamenti di un’anima razziale è certamente più difficile che per i Tedeschi, richiede di rimontare indietro nel tempo, fino a quando – due millenni or sono – i nostri antenati avevano costruito un impero esteso alla gran parte del mondo allora conosciuto.
La maggiore difficoltà a riconoscere l’anima più autentica del nostro Volk, tuttavia, non è di ordine cronologico. Quella stessa entità cripto-politica sotto la maschera religiosa, che ha provocato la dissoluzione dell’impero romano e che per quindici secoli ha tenuto la nostra nazione divisa e asservita a dominatori stranieri, si è arrogata – abusivamente e parassitariamente – il ruolo di datrice di sacralità e di valori, valori che in ultima analisi si riassumono in un cosmopolitismo di origine mediorientale che è l’esatta negazione dello spirito volkisch, veleno semitico che è sempre letale per quanto si presenti in forma edulcorata.
Proprio per non aver osato contrapporsi al cristianesimo e alla Chiesa cattolica, ma anzi aver cercato di ingraziarsela senza del resto riuscire a impedirle di agire come serpe in seno, che il richiamo del fascismo alla romanità è stato qualcosa di superficiale, di retorico, talvolta caricaturale.
C’è una questione che occorre porre sul tavolo in tutta franchezza: fino a che punto noi stessi siamo discendenti degli antichi Romani, e fino a che punto le numerose invasioni e dominazioni straniere hanno alterato la nostra eredità? Perché sia chiaro che ci dobbiamo riconoscere nell’insegnamento volkisch: tutto comincia dal sangue, dall’integrità o meno etnico-razziale; è essa, in definitiva, e non altro che decide se siamo una nazione o se l’Italia è invece, come disse Metternich, “Soltanto un’espressione geografica”, e avendo ben chiaro che IN MEZZO NON C’E’ NIENTE.
La cultura, le tradizioni nell’aspetto di semplice passaggio VERBALE tra le generazioni di conoscenze e valori, la stessa lingua, lo stato, le leggi, quella carta straccia che nell’ipocrisia democratica si chiama costituzione, sono solo la forma vuota che deve contenere e strutturare il Volk inteso come continuità etnica e biologica. In assenza di questo, è come cercare di dissetarsi con una bottiglia vuota.
A suo tempo, vi avevo citato in un articolo pubblicato su “Ereticamente”, una ricerca pubblicata in inglese su “Geocities”, un testo che non mi risulta sia mai stato tradotto in italiano, dove si riassumono i risultati delle ricerche condotte sulla popolazione italiana da Plaza (2003), Romano (2003), Semino (2004), Cruciani (2004), Rosenberg (2005), Di Giacomo (2003), Simoni (1999) e Cavalli-Sforza (1997). Da questi studi si evince che gli Italiani sono una popolazione europide sostanzialmente omogenea. Nel nord si riscontra una certa presenza di geni di origine celtica e nel sud di origine greca, ma non tale da intaccare la sostanziale omogeneità del ceppo italico. I geni di origine non caucasica rientrano nella media delle popolazioni europee (2%), uguali alla percentuale riscontrata ad esempio in Germania, e nettamente inferiori a quelli presenti in Russia (5%).
Gli autori confessavano anche con sorpresa, di essersi aspettati di trovare nell’Italia meridionale un’importante componente di origine mediorientale, che sarebbe potuta risalire all’antica colonizzazione cartaginese e/o alla dominazione araba medioevale della Sicilia, ma di non averne praticamente riscontrata traccia.
Devo dire che già prima di allora ero informato del fatto che le famose invasioni straniere che abbiamo subito nella nostra storia, hanno avuto un impatto demografico molto minore di quel che di solito ci immaginiamo. I Longobardi discesi in Italia sotto la guida di Alboino non erano più di 100.000 persone; i Goti di Teodorico ancora meno, 50-60.000, troppo pochi per sconvolgere la demografia di una nazione la cui popolazione già nell’antichità si misurava in milioni di abitanti.
Gli Italiani ci sono, esistono come popolo, hanno una precisa identità etnica: ci sarebbe stato da aspettarsi che questa sarebbe stata vista almeno negli ambienti “nostri” come una bella notizia, invece l’articolo ricevette una serie di commenti pesantemente critici. Io forse non avevo tenuto conto del fatto che in assenza di uno spirito identitario nazionale, da noi l’identitarismo si è organizzato su base localistica. Io non so se da noi esista, se sia mai esistita una “destra nazionale”, ma la destra antinazionale esiste eccome, anche in conseguenza dell’uso della sinistra – ipocrita in tutto e per tutto – di una simulazione strumentale di patriottismo.
Avevo anche commesso l’errore di inserire la citazione del pezzo di “Geocities” in un articolo “misto”, Italiani e mandei, dove a lato della nostra questione nazionale, ne trattavo un’altra completamente diversa. Che i vangeli non siano in alcun modo dei documenti di valore storico, è stato messo bene in luce dai ricercatori indipendenti che se ne sono occupati (Luigi Cascioli, David Donnini, Giancarlo Tranfo, per nulla dire di Piergiorgio Oddifreddi). Io, senza avere la presunzione di una competenza paragonabile a quella di questi ricercatori, non resistetti alla tentazione di rendervi partecipi di una mia personale scoperta. Un episodio evangelico piuttosto noto, è quello del battesimo di Gesù a opera di Giovanni Battista. Se esso non fosse stato una pura invenzione creata allo scopo di assorbire i seguaci del Battista nel nascente cristianesimo, se le cose si fossero svolte come i vangeli ci raccontano, con Giovanni che dichiara di essere soltanto un annunciatore di Gesù a cui “non è degno di sciogliere i calzari”, non vi sarebbero stati ipso facto più seguaci del Battista, si sarebbero automaticamente trasformati in cristiani; invece, non solo ha continuato a esistere una comunità che identifica il messia in Giovanni e non in Gesù, ma esiste tuttora, anche se probabilmente rappresenta una delle religioni meno diffuse della Terra, si chiamano mandei.
Ora però prescindiamo da questa questione e torniamo a concentraci sul problema italiano.
Giusto pochi mesi fa è andata in onda su Rai 3 una puntata di “Ulisse” di Alberto Angela in cui si è parlato della genetica degli Italiani. Secondo quanto raccontava il conduttore figlio di suo padre, il nostro popolo presenterebbe una totale disomogeneità genetica, un’assenza di caratteristiche specifiche tranne quella di essere rappresentativo un po’ di tutto il mondo. Quello che destituisce di ogni credibilità questi discorsi fritti e rifritti che abbiamo sentito mille volte, è il fatto che si tratta di scoperte perorazioni in favore dell’immigrazione, del mondialismo, del meticciato, perché se davvero fossimo già adesso un’accozzaglia di gente priva di identità etnica, con essi non perderemmo nulla, ma sappiamo bene che non è così. Come tutti quelli che lavorano in Rai, Alberto Angela non è che un servo del potere al servizio del suo sistema propagandistico con il compito ovviamente di sciorinare falsità, e Rai 3 è notoriamente la più a sinistra delle tre reti Rai, quindi ovviamente la più bugiarda.
Che un’identità etnica italiana esista, diamolo per assodato, ma è qualcosa che merita di essere tutelato e salvaguardato? Chi non è mai stato fuori dai nostri confini nazionali, forse non si rende conto di quanto quel famoso detto “Italiani, buona gente” sia citato in maniera ironica e derisoria. Non sono il buonismo, la paciosità, la disponibilità a correre in soccorso dell’intero pianeta, il pacifismo a ogni costo, che ci possono far guadagnare la stima dei forestieri, quando il loro corrispettivo è rappresentato dalla vigliaccheria, dall’opportunismo, l’assenza di virtù belliche e civiche e di un vero senso di appartenenza a una comunità nazionale. Siamo sinceri: nonostante tutto lo sterco che è stato tirato addosso ai Tedeschi dal processo di Norimberga in poi, godono a livello internazionale di una stima molto maggiore della nostra.
Noi stessi diffondiamo nel mondo l’immagine dell’italiano buonista, furbetto e vigliacchetto, che non ci attira considerazione a livello internazionale, ma solo sarcasmo.
La verità è che NOI NON SIAMO COSI’. Questa immagine degli Italiani sostanzialmente falsa, è stata elaborata nelle sacrestie e nelle sedi dei partiti di sinistra, perché è così che ci vogliono e presumono di averci fatti diventare.
Lo studio di “Geocities” sopra ricordato, in effetti, ammetteva che le differenze fra italiani sono state altre volte esagerate per motivi politici. Detto ancor più chiaramente, settant’anni di democrazia hanno spinto gli Italiani a vergognarsi di essere tali e a inventarsi discutibili identità padane e bi-sicule (delle Due Sicilie), ma non è della nostra italianità che dobbiamo provare vergogna e repulsione, bensì piuttosto di questa repubblica democratica, corrotta e sinistrorsa.
Tempo fa, mi è capitato di sentire un noto comico dire in uno sketch televisivo, “Le guerre che amo fatto (è romanesco), l’amo perse tutte”, non con rammarico, ma con una specie di ironico compiacimento.
Non nomino quella persona, perché non mi interessa polemizzare nei sui confronti, non ha fatto che riflettere un “orientamento di pensiero” molto diffuso.
Oh certo, noi abbiamo perso la seconda guerra mondiale, né la potevamo vincere, data la disparità delle forze in campo, ma a El Alamein chi c’era, chi c’era a Nikolajewka? Fantasmi di antichi legionari romani usciti da un sonno millenario o loro tutt’altro che indegni discendenti?
La prima guerra mondiale e le guerre d’indipendenza risorgimentali, le abbiamo pur vinte, e non con la diplomazia, ma col ferro e col sangue!
Parliamo della terza, quella ritenuta la più ingloriosa delle guerre d’indipendenza, quella del 1866, la prima guerra affrontata dallo stato italiano costituito da non più di cinque anni, dove incassammo due dure sconfitte, Custoza sulla terra e Lissa sul mare. Ciò è vero, ma fin troppo spesso ci si dimentica di dire (e se ne dimenticano i libri di storia), che furono i nostri combattenti a dover sopportare tutto il peso dell’esercito austriaco schierato in misura preponderante sul nostro fronte, e fu proprio questo a permettere ai Prussiani la fulminea vittoria di Sadowa. Il Veneto che ottenemmo in seguito a questo conflitto, non ci fu regalato, ma fu guadagnato col sangue dei nostri combattenti che a Custoza, a Lissa, a Bezzecca (che fu una nostra vittoria) tennero testa a quello che allora era uno dei più forti eserciti del mondo.
Uno degli episodi a mio parere non sufficientemente ricordati della prima guerra mondiale è quello di Pozzuolo del Friuli. Qui nell’ottobre 1917 gli squadroni di cavalleria Genova e Novara e la brigata di fanteria Bergamo, dopo lo sfondamento di Caporetto, si sacrificarono fino all’ultimo uomo con un coraggio che trova uguali forse solo negli Spartani delle Termopili, per tenere bloccati gli austriaci e impedire loro di intrappolare l’esercito italiano. La prima guerra mondiale fu vinta allora perché fece fallire il piano austriaco che prevedeva l’annientamento della forza militare italiana. Il nostro esercito poté salvarsi e preparare la rivincita di Vittorio Veneto.
Nelle nostre vene scorre il sangue dei leoni di El Alamein, di Nikolajewka, di Pozzuolo, delle guerre risorgimentali, anche se sono settant’anni che cercano di persuaderci di essere delle pecore.
Nel 2011 sono caduti i centocinquant’anni dell’unità italiana. Il secolo e mezzo di unità nazionale è stato celebrato dalla sinistra con grande enfasi e ipocrisia totale. L’ipocrisia era duplice: da un lato questa celebrazione serviva essenzialmente per dare fastidio alla Lega e provocare atteggiamenti inconsulti che ne avrebbero determinato l’impopolarità, dall’altro per propalare come costituenti della nostra unità nazionale il tricolore, la carta straccia della costituzione repubblicana, persino la bruttura musicale dell’inno di Mameli (c’è veramente da invidiare i Tedeschi che hanno la bella musica di Franz Joseph Haydn già inno del Sacro Romano Impero), cioè tutti gli elementi che costituiscono la BOTTIGLIA VUOTA di cui vi ho detto, bottiglia in questo caso non vuota, ma che si vuole riempire con la lordura dell’immigrazione. Un falso patriottismo che ha come ultimo scopo l’assassinio del nostro popolo.
Io ricordo bene che nel 2004, quando ricorrevano i cinquant’anni del ritorno di Trieste all’Italia, i presidi, tutti rigorosamente di sinistra, delle scuole triestine (la scuola italiana è fatta così; se non sei un “compagno” non diventi preside, e dobbiamo riflettere sulla pericolosità di lasciare l’educazione dei nostri giovani in mano alla canaglia rossa) rifiutarono sdegnosamente di mandare delegazioni delle rispettive scuole alla celebrazione organizzata dall’amministrazione comunale, e il preside di un noto liceo fece bruciare nel cortile della scuola le bandierine e le copie dell’inno di Mameli che il comune aveva inviato per gli studenti. Tra il novembre 2004 e il marzo 2011 passano, se la matematica non è un’opinione, poco più di sei anni; troppo pochi perché un cambiamento così radicale possa essere fatto con sincerità da una (purtroppo) vasta area politica.
E’ sembrato un gioco a parti invertite, con la sinistra che si fingeva patriottica e la destra prevalentemente schierata su posizioni antinazionali. Nominare il risorgimento provocava/provoca “a destra” ululati di risentimento e di indignazione.
E’ un fatto, l’unità italiana fu costruita sulla scia delle rivoluzioni liberali che scardinarono l’ordine tradizionale dell’Europa, e classe dirigente che portò a termine l’unità nazionale era una classe liberal-massonica che tra l’altro trattò malissimo le popolazioni meridionali.
Io l’ho spiegato in un articolo (forse un saggio, perché è un testo di una certa ampiezza) che pubblicai allora sul n. 70 de “L’uomo libero”: dietro a questo termine, “risorgimento”, vi sono due fenomeni molto diversi che sarebbe ora di non confondere: UNO è stato l’emergenza, la ribellione spontanea del nostro popolo contro la tirannia e la dominazione straniera, L’ALTRO, DEL TUTTO DIVERSO è stato un movimento che a un certo punto si è impadronito del primo per finalità del tutto diverse.
Si pensi ad esempio il fatto che la prima ribellione contro lo straniero, testimonianza di un ritrovato orgoglio nazionale fu la rivolta di Verona contro le angherie dell’armata napoleonica, che doveva poi portare alla repressione nota come “pasque veronesi”, quindi una ribellione diretta precisamente contro quelle forze liberal-massoniche che in seguito si impadroniranno del moto risorgimentale.
C’è un punto che bisogna avere chiaro: quello che raccontano i libri di storia e gli insegnanti di ispirazione marxista non sono altro che un mucchio di falsità. Ci raccontano che l’idea stessa di nazione nasce nell’ottocento o nel tardo settecento con il movimento romantico, che l’Europa fin allora conosceva o il Sacro Romano Impero cristiano-universalistico o gli stati a base dinastico-feudale. Vuol dire che Dante con il suo “Ahi serva Italia”, Petrarca con la sua canzone “All’Italia”, Michelangelo con l’ode alla “Notte” da lui scolpita nelle Cappelle Medicee, erano in effetti degli scrittori di fantascienza che avevano intuito una realtà ancora molto al di là da venire.
Un’altra falsità ci vuole dare a intendere che il risorgimento sarebbe stato un fenomeno esclusivamente borghese a cui le classi popolari sarebbero rimaste estranee. Oltre che falso, è ridicolo. Venezia, ribellatasi agli Austriaci nel 1848, resistette per un anno e mezzo alla riconquista, e fu uno degli ultimi focolai in Europa a essere spento, assieme all’Ungheria che fu piegata solo dall’intervento delle truppe zariste. E’ concepibile che ciò possa essere stato opera delle sole classi borghesi senza nessuna partecipazione popolare? Lo stesso discorso vale per Milano che cacciò il presidio austriaco in cinque giorni di lotta per le strade. Lo stesso si può dire ancora per Brescia “la leonessa d’Italia”, che insorse per impedire agli Austriaci di prendere l’esercito piemontese alle spalle, e tenne loro testa per dieci sanguinosissimi giorni. Che dire del paese friulano di Osoppo, che si oppose alla riconquista austriaca per mesi. Naturalmente, a fare ciò furono il notaio del paese, il farmacista e due (diconsi due) proprietari terrieri!
Fu la semi-sconosciuta epopea di questo paese friulano a dare il nome a una brigata di partigiani non comunisti della seconda guerra mondiale, che i comunisti circondarono con l’inganno, disarmarono e poi massacrarono come capretti al macello. Più di una volta mi è venuto da pensare che se i ragazzi della Osoppo, invece di avere la sciagurata idea di dar vita a una brigata partigiana, si fossero arruolati nella RSI, forse ci avrebbero lasciato la pelle lo stesso, ma almeno avrebbero combattuto contro il vero nemico.
Comunque, non vi è dubbio che il risorgimento fu, almeno per un aspetto, lotta di popolo, risveglio e ribellione del Volk italico contro la secolare oppressione straniera. Pensiamo all’impresa garibaldina. Pensate davvero che Garibaldi sarebbe riuscito a conquistare un regno esteso a metà della Penisola italiana con poco più di mille uomini, se non avesse potuto contare su di un fortissimo appoggio delle masse popolari? Che poi di lì a pochi anni, i fratelli minori degli uomini che avevano appoggiato Garibaldi o quegli uomini stessi, parteciperanno alla rivolta anti-unitaria chiamata falsamente brigantaggio, la dice lunga sul fatto che questo movimento di popolo fu manipolato e tradito.
Distinguere ciò che è nazionale e popolare italiano, in una parola Volkisch, da ciò che è liberal-massonico, non è difficile, c’è una semplice cartina di tornasole. Quando gli interessi nazionali italiani e quelli della massoneria erano in conflitto, cosa sceglievano questi “patrioti” liberal-massoni? Regolarmente la loggia, dimostrando così quale fosse la loro vera “patria”. Lo si vide molto bene nel 1870 in occasione del conflitto franco-prussiano. Con la Prussia di Bismarck non avevamo alcun genere di contenzioso, era grazie all’alleanza con essa, che quattro anni prima avevamo avuto il Veneto. Bene, di chi accorrono in aiuto i garibaldini? Della Francia. Si, avete capito bene, proprio di quella Francia che aveva saccheggiato l’Italia durante le campagne napoleoniche e fatto patire a Verona una durissima repressione, di quella Francia che nel 1848 aveva stroncato la Repubblica Romana, di quella Francia che abbandonandoci nel 1859 all’improvviso con l’armistizio di Villafranca, era stata sul punto di vanificare l’intero moto risorgimentale, di quella Francia che al momento presente era l’ostacolo all’annessione di Roma e al completamento dell’unità nazionale.
Ma tutto questo non contava, la causa nazionale italiana veniva molto dopo l’odio ideologico della massoneria, non solo nostrana, ovviamente, verso la Prussia di Bismarck.
Se l’unità nazionale è stata in parte un effetto collaterale, del resto non voluto, dell’azione del movimento liberale-massonico-democratico internazionale (ma è stata soprattutto un risultato conquistato dai nostri antenati con lacrime, sofferenza e sangue), questo non ci obbliga ad alcuna gratitudine verso di esso, soprattutto nel momento in cui le tendenze democratico-massoniche si sono trasformate in mondialismo che mira a distruggere le identità di tutti i popoli europei attraverso l’immigrazione, il meticciato, l’omologazione etnica e culturale.
E’ attorno alla difesa delle identità dei popoli europei, a cominciare dal nostro, che dobbiamo fare quadrato.