(l’etere nascosto nelle pieghe del simbolismo matematico?)
Un esperimento che è impossibile, assolutamente impossibile spiegare in modo classico e che sta al cuore della Meccanica Quantistica. In realtà contiene l’unico mistero. Non possiamo eliminare il mistero raccontando come l’esperimento funziona. Nel raccontarvelo dovremmo raccontarvi le caratteristiche fondamentali di tutta la meccanica quantistica.
Richard Feynman (Premio Nobel per la fisica) da Sei pezzi Facili in riferimento all’esperimento della doppia fenditura di Young e sue varianti.
Sin dai primi contatti con la fisica scolastica ci è stato insegnato che la luce è un’onda che si propaga attraverso il vuoto o altri mezzi ed è costituita da particelle senza massa denominati fotoni.
Non ripercorrerò qui la storia che ha condotto i fisici a dover accettare tale ambiguità, cioè quella corpuscolare e ondulatoria di tutti i fenomeni elettromagnetici.
Chi ammette solo continuità e chi quantizzazione nei fisico-chimici fenomeni in natura, si è dovuto arrendere all’evidenza sperimentale, passata quasi sotto silenzio alcuni anni fa, ma foriera di una rivoluzione del pensiero scientifico del XXI° secolo.
Un team di ricercatori guidati da un nostro scienziato italiano “fuggito” all’estero, Alberto Peruzzo, nel novembre del 2012 è riuscito a dimostrare senza ombra di dubbio che la luce è inscindibilmente un’ onda-particella e non si comporta affatto come si pensava, cioè alternativamente come un’ onda o come una particella se sottoposta a processi di osservazione, e quindi, misurazione.
Afferma infatti il Peruzzo: “L’apparato di misura ha rivelato forte non-località, certificando, nel nostro esperimento, che il fotone si è comportato simultaneamente sia come un’onda che come una particella. Ciò rappresenta una chiara confutazione dei modelli in cui il fotone è alternativamente o un’onda o una particella.”
Questa scoperta non ha avuto la giusta risonanza che meritava, molto meno, per intenderci, di quella associata alla rilevazione presso il CERN della notissima Particella di Dio alias Bosone di Higgs, avvenuta il 4 luglio del medesimo anno, o della recente conferma sperimentale (11 febbraio 2016) dai laboratori LIGO-VIRGO (Washington, Livingston, Macerata) dell’esistenza delle onde gravitazionali ipotizzate da Einstein nel 1916, esattamente un secolo prima.
Il motivo risiede nel fascino delle teorie relativistiche che sono sempre state oggetto di esposizione sensazionalista da parte della stampa; vuoi per l’immagine iconografica (ma non realistica) del tipo d’uomo che le ha elaborate e proposte; vuoi per i paradossi costruiti a doc per impressionare l’Opinione Pubblica e gli scrittori di fantascienza; vuoi per le spinte fortemente razionaliste che, all’inizio del secolo XX°, intendevano abbattere tutto un corpus filosofico, mistico, magico, alchemico (serio o ciarlatanesco) che si era intrecciato e innestato – per tema di essere completamente spazzato via – sugli studi profondi in merito all’elettricità, al magnetismo, all’ottica, alla matematica complessa, alla geometria non euclidea, alla chimica, fin dalla notte dei tempi, mantenendosi, ancora nel primo quarto di secolo del ‘900, grazie anche alla ri-scoperta della civiltà egizia, in uno stato simbiotico ed equilibrato (a parte bui capitoli inquisitori) durante tutto il cammino ontologico ed epistemologico dell’umanità.
Einstein era l’uomo giusto al momento giusto, il nuovo Leonardo che riassumeva in sé la visione salvifica, rinascente, prometeica e aristotelica di un Nuovo Mondo Huxleyano, concepito sull’uso puramente tecnologico della scienza, in opposizione a un Mondo della Tradizione ancora fortemente incardinato sul dualismo anima-corpo e sul sentire creazionista inerente ad ogni pensare l’universo nella sua interezza: terra e vita su di essa, inclusi.
Poi è venuta fuori la MQ a causa della quale mi ritrovo qui davanti a questo schermo a scrivere di una Dea bizzarra senza la quale non ci sarebbero i satelliti che studiano la morfologia del sole, delle stelle, della struttura sottile dell’universo; non avremmo le missioni spaziali voyager, questi caratteri su sfondo bianco, i pixels, la loro connessione cibernetica a un chip miniaturizzato di silicio, una memoria computazionale, una crittografia variabile, il world wide web, il wi-fi, il bluetooth, le stampanti 3d, o l’intricatissimo e intrigante mondo nanoteconologico in parte esplorato e composto attraverso l’uso quasi fantascientifico dei cristalli e dei laser.
Ma occorre da subito compiere una netta distinzione, quella che, appunto, da il titolo a questo mio articolo.
Ciò che della MQ o della Relatività i più pensano di conoscere, è il linguaggio exoterico con il quale entrambe le teorie vengono proposte grazie all’opera “democratica” di divulgazione per i non addetti ai lavori.
Ci sarebbe da scrivere un intero saggio sulla divulgazione e sull’effetto che questa provoca sull’Opinione Pubblica.
Non è questa la sede, non ora, per lo meno.
Il fatto è che la vera semantica e la vera simbologia della MQ, ancor più della Relatività, sono inaccessibili al 99% delle persone dotate o meno di qualità logico-matematiche, includendo in esse scienziati di ogni categoria.
E inoltre, la MQ è una Teoria omnicomprensiva, espressa attraverso il Modello Standard delle particelle, sul come funziona la natura ma non sul perché funzioni così.
Cosa talmente inquietante e sconcertante, al punto da far sostenere al padre della decostruzione concettuale e della dimostrazione grafico-matematica della MQ, sempre il simpatico Feynman – forse l’unico nobel suonatore di bongo in locali di striptease che abbia mai ritirato l’ambito premio per la fisica – : “Credo di poter dire con sicurezza che nessuno capisca la meccanica quantistica e chiunque affermi di capire la teoria dei quanti, mente oppure è pazzo.”
Sta scherzando Mr. Feynman?
Seriamente, ridendoci in faccia, ci avrebbe detto di no, lasciandoci in mezzo al deserto del Nevada dopo una polverosa sgommata con il suo furgoncino, testimone su gomme ancora presente da qualche parte negli USA, targato Quantum, dei suoi famosi diagrammi che spiegano alla perfezione quell’astrusità chiamata ElettroDinamicaQuantistica o QED.
Feynman aveva il raro genio della didattica e della maieutica: sapeva spiegare cose complicatissime in maniera semplice.
Anche se, solo per modellizzare e risolvere matematicamente l’esperimento della doppia fenditura, occorre la lavagna qua sotto.
Veniamo al dunque di questa mia breve disamina sulla MQ.
Pochi sono a conoscenza che l’esperimento della doppia fenditura è il cuore della MQ, come da citazione in testa a questo articolo, perché nessuno, almeno fino al 2011, e anche questa volta il fatto è praticamente passato sotto silenzio mediatico, è riuscito a OSSERVARE come fanno i fotoni, i quanti di luce, a creare le immagini di interferenza quando il loro cammino è ostacolato da una doppia fenditura.
Se si cerca sul web l’esperimento della doppia fenditura, questa è l’immagine classica che si trova ridisegnata in 3D:
La fonte luminosa continua, passando per le due fessure, crea sullo schermo delle bande luminose. La spiegazione implicita del fenomeno, il COME le onde elettromagnetiche producano tali linee verticali, è quella di onde che si formano sull’acqua e interagiscono tra di loro all’uscita delle fenditure.
Stessa cosa avviene se si spara un fotone alla volta attraverso le medesime fessure:
In questo esperimento, però, non vengono raffigurate onde simili a uno stagno, quindi resta in sospeso, e qui c’è il MISTERO, di come le traiettorie di ogni singolo fotone possano unire l’emettitore fotonico G e lo schermo fluorescente in X, per formare nuovamente l’immagine a linee verticali.
Fino al 2011, ripeto, nessuno era in grado di “OSSERVARE” il cammino di un fotone, una volta varcate le due fessure.
L’ipotesi più attendibile era sostenuta dalle equazioni di De Broglie-Bohm (linguaggio esoterico) che ipotizzavano, per risolvere il problema della doppia identità fotonica onda-particella, una traiettoria guidata da un’onda pilota che, per usare un linguaggio exoterico, non formale e impreciso, rappresenta un fotone surfista a cavallo di un’onda o increspatura del vuoto (il mare quanto-meccanico di Dirac) che immediatamente lo precede nel suo muoversi nello spazio-tempo.
L’interpretazione di Bohm a un solo mondo dell’esperimento delle due fenditure riporta per così dire la MQ un po’ più vicino al determinismo classico, ovvero: traiettorie ben definite di proiettili, palle che cadono dalla Torre di Pisa, pianeti che orbitano intorno a una stella, senza rinunciare al principio di non-località che necessita di un altro articolo di spiegazione.
Insomma, questa interpretazione afferma teoricamente l’esistenza di traiettorie reali (mai viste prima del 2011 o impossibili da osservare) nel mondo a quattro dimensioni e non in altre dimensioni o mondi immaginari; come si pensava prima della nascita di una nuova branca della MQ, quella delle Misurazioni Deboli e come ironicamente sosteneva Feyman, quando, non a torto – malgrado i suoi contributi eccezionali sul calcolo dei possibili cammini compiuti dai fotoni dall’emettitore allo schermo attraverso le fenditure, passate alla storia come INTEGRALE SUI CAMMINI (linguaggio esoterico) – dichiarava candidamente che chi capiva la MQ o era bugiardo o era folle.
Sei anni fa, un gruppo di scienziati, pressochè sconosciuti, si mette a “sbirciare”, proprio così, 80 fotoni sparati da un emettitore a uno schermo rilevatore, durante una nuova riproduzione dell’esperimento classico delle due fenditore, rendendolo molto più sofisticato.
Riescono a intravvedere, a calcolare e a disegnare, in base all’interpretazione di De Broglie-Bohm, un grafico che mostra la ricostruzione delle 80 traiettorie REALI (da sinistra a destra), osservate dall’alto, attraverso una tecnica di minimo impatto perturbativo sui singoli fotoni, chiamata appunto “Misura debole”, al passaggio di questi, attraverso le due fenditure.
Questo è il grafico di pubblico dominio – come lo sono quasi tutte le ricerche in ambito fisico, anche quelle in settori avanzati e inesplorati da media e stampa – ma per trovarlo in rete occorre possedere un certo spirito di ricerca e non accontentarsi dei soliti schemi divulgativi che vi ho mostrato sopra:
Gli autori dell’esperimento, inoltre, paragonano tali traiettorie ad un flusso IDRODINAMICO, un fluido che si muove, (linguaggio exoterico) con una linea di simmetria centrale (la divaricazione dei percorsi intorno allo zero sull’asse Y). Le traiettorie che si propagano dalle due fenditure non si intersecano mai, cioè non oltrepassano la linea di simmetria centrale.
Gli stessi fanno altresì notare che le traiettorie dei fotoni si avvicinano molto a quelle teoriche ipotizzate da Bohm, il quale, per spiegare le apparenti anomalie e paradossi dell’esperimento classico delle due fenditure di Young, lo ripeto, considerava la singola particella guidata da un’onda pilota durante il suo intero percorso, dall’emettitore fino al rivelatore, passando per le due fessure, rivelandone appunto un’interferenza simile, ma non identica, a delle onde liquide che si infrangono su una superficie piana.
Successivamente sono letteralmente esplosi esperimenti simili, per mettere alla prova l’interpretazione di Bohm e la Misurazione Debole in MQ.
Altro risultato questa volta compiuto con 100 elettroni:
Measurement in the de Broglie-Bohm interpretation: Double-slit, Stern-Gerlach and EPR-B
Michel Gondran, Alexandre Gondran
Sep 18, 2013 – 16 pages
Phys.Res.Int. 2014 (2014) 605908
L’esperimento di misura debole riproduce graficamente e fotograficamente quello che accade lanciando 100 elettroni attraverso due fessure.
Sono stati lanciati proiettili fino alle masse che per ora dividono il mondo quantistico da quello relativistico attraverso (n) fessure.
Gli atomi più grandi utilizzati sono le molecole di Fullerene, le buckyball costituite da 60/80 atomi di carbonio, ecco il risultato delle misurazioni deboli:
Quindi?
Beh, a ben vedere i grafici, le linee dimostrano l’onda pilota e l’inscindibilità onda-particella dei fotoni quanto degli elettroni, ma questo è valido per qualsiasi particella adottata nell’esperimento fino alla scala del Fullerene.
Inoltre, poichè sembrano cavitare secondo flussi idrodinamici, disegnano o evidenziano qualcosa di sottostante: un mezzo molto simile a un liquido di densità estremamente bassa che richiama, per via esoterica, il pericoloso “etere” che la Relatività e la MQ negano, non per partito preso, ma per sperimentazione attendibile e fino ad ora non confutata. (sull’esperimento Michelson-Morley e varianti occorrerà fare altri tipi di considerazioni)
L’etere è parte integrante di una visione e di una via esoterica espressa storicamente in un corpus filosofico exoterico corredato da una fitta ridda di interpretazioni, in quanto, la sua “reale” presenza non ha uno statuto fondativo e dimostrativo secondo l’esoterismo simbolico matematico.
Questa mia discussione, che si conclude qui, è volta a chiarire l’ impossibilità semantica di interrelare mistica, filosofia, metafisica, scienza teorica e sperimentale, perché ciò significherebbe invertire linguaggi e simboli, trasmutando l’esoterico in exoterico e viceversa.
Un aspetto, quest’ultimo, già ampiamente discusso attraverso un idioma altamente esoterico nell’impareggiabile analisi ermetica della filosofia del linguaggio del Tractatus logico-philosophicus di Wittgeinstein, prodromo dei teoremi dell’incompletezza di Godel, del quale vale la pena citare questa proposizione lapidaria:
“Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.”
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