All’interno di un cerchio magico, in un cimitero, tra antiche rovine che si stagliano sul cielo di mezzanotte o altri luoghi solenni e malinconici, un mago invoca e interroga gli spiriti infernali; al lume di un cero funebre un cadavere si solleva dal suo giaciglio di morte e parla con voce lugubre… Questo articolo, tratto da An Encyclopaedia of Occultism di Lewis Spence (New York 1920, ora ospitato presso la Harvard University Library), riporta dettagliatamente tecniche e modalità di una pratica divinatoria molto antica, ma il cui significato attuale si forma attraverso i secoli, quando la nigromancia medievale viene associata alla stregoneria e a pratiche di magia nera, fino a sfumare e confondersi, a partire dall’Ottocento al tempo stesso romantico e razionalizzante, nello spiritismo.
La necromanzia è la divinazione per mezzo degli spiriti dei morti; la parola deriva dal greco, nekros e manteia, e indicava la discesa nell’Ade per consultare i defunti o richiamarli di nuovo alla sfera dei viventi.
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Tuttavia corre una differenza sostanziale con lo spiritismo, perché la necromanzia consiste più propriamente nel potere di costringere gli spiriti a manifestarsi, e chi li evoca dovrà quindi essere in grado di difendersi dai pericoli che questa forzatura comporta. Il mago dovrà sempre avere un assistente al suo fianco mentre svolge il rituale e attenersi a delle regole ben precise.
Comandare gli spiriti
Il rito si deve svolgere in un luogo sotterraneo e buio, alla luce di una torcia magica, oppure in mezzo a una fitta foresta, nel deserto o al centro di un ampio spazio vuoto e non frequentato: l’incrocio di grandi strade, tra i ruderi di antiche abbazie, castelli e monasteri, sulle scogliere, nei cimiteri o in altri luoghi evocativi. L’ora adatta è tra la mezzanotte e l’una, con la luna piena oppure nel pieno di un temporale corredato da tuoni e fulmini. In queste condizioni, gli spiriti possono manifestarsi più facilmente agli occhi dei viventi e rimanere visibili più a lungo. Quando tempo e luogo sono stati decisi, il mago e il suo assistente possono tracciare un cerchio magico all’interno del quale si ritireranno, secondo queste modalità: si sceglie un pezzo di terreno di circa due metri quadrati e mezzo e si tracciano linee parallele che formino diverse croci e triangoli; quindi si disegna il primo cerchio esterno e, all’interno, un secondo cerchio dentro il quale si traccia un quadrato che sarà la sede del mago e del suo aiutante. Gli spazi vuoti tra gli angoli e le linee vanno riempiti con i sacri nomi di Dio, di modo che tra essi vi siano croci e triangoli: questi accorgimenti sono necessari in quanto, più porzioni di terreno sono consacrati, maggiore sarà la possibilità di tenere fuori dal cerchio gli spiriti maligni, poiché essi nutrono un odio viscerale contro i simboli sacri. I triangoli, invece, insieme agli altri simboli, servono a costringere lo spirito a non mentire su quanto gli viene chiesto dall’interpellante, mentre il cerchio è il principale strumento di protezione del mago che non ne dovrà mai uscire fino a che gli spiriti non saranno definitivamente congedati ‒ specialmente se si tratta di spiriti infernali.
Un mestiere pericoloso
Sono note le vicende di alcuni necromanti che hanno perso la vita nell’esercizio della loro arte. Chiancungi, famoso veggente egiziano operante a Londra nel XVII secolo, si apprestò un giorno, per una scommessa, a richiamare lo spirito “Bokim”; tracciò un circolo e vi si pose all’interno insieme al suo assistente e a sua sorella Napula; dopo svariati tentativi, esorcismi e formule, nulla accadde, fino a che, spazientito, abbandonò il cerchio. Ma proprio in quel momento si manifestò lo spirito che uccise all’istante i tre partecipanti. Un altro accorgimento che il mago deve rispettare è indossare, al momento della consacrazione del cerchio, un paramento di lino bianco con sopra una tonaca talare ancor meglio se lunga fino ai piedi, con i due simboli della terra tracciati su pergamena vergine da fissare all’altezza del petto, sopra le vesti. Attorno alla vita avrà una larga cintura consacrata con la scritta: “Ya, Ya, ‒ Aie, Aie, ‒ Elibra, ‒ Sadai, ‒ Pah Adonai, ‒ tuo robore, ‒ Cintus sum”. Sulle scarpe deve essere disegnato il Tetragrammaton circondato da croci, sul capo un ampio cappuccio di seta nera; tra le mani deve recare una Bibbia scritta in ebraico.
Lo svolgimento
Così vestito, il mago inizia a formulare gli esorcismi; gli spiriti (si intendono in questo caso esseri extraumani che appartengono a una sfera “demoniaca”) si manifestano con strani e lugubri rumori, urla, lampi di luce, fremiti e terribili grida finché uno di loro, un messaggero, si renda visibile. L’apparizione è terrificante: gli spiriti possono manifestarsi dapprima in forma animale, come tigri o leoni che vomitano fuoco e ringhiano contro il cerchio; ma il mago non se ne spaventerà, perché, se si facesse prendere dal terrore, la sua debolezza gli sarebbe letale. Al contrario deve rimanere fermo e sicuro, continuando a recitare le formule finché lo spirito, sotto l’influenza del triangolo, non sia costretto ad assumere un atteggiamento più trattabile e sottomesso. A questo punto il fantasma abbandona l’aspetto ferino per mostrarsi in forme umane e gentili; ma il mago non deve lasciarsi ingannare perché quest’apparenza può essere un tranello, allo scopo di fargli abbassare le difese e distruggerlo. Dopo averlo interrogato, lo spirito deve essere congedato con la stessa cura con cui è stato richiamato; il mago dovrà attendere con pazienza finché lo spirito non finisca di trasformarsi sotto i suoi occhi assumendo varie forme, ogni urlo taccia, ogni traccia di fuoco sia estinta: solo allora potrà abbandonare con sicurezza il cerchio. Diverso rituale, invece, è previsto per l’evocazione del fantasma di un deceduto. La sua tomba dovrà essere aperta a mezzanotte e la cerimonia si dovrà svolgere sul cadavere che, alla fine, si solleverà rispondendo con voce debole e sepolcrale alle domande che gli vengono poste. Eliphas Levi, nel suo Ritual of Transcendent Magic (London, 1896), ammonisce che le evocazioni necromantiche devono sempre avere uno scopo, altrimenti sono solo attività folli e dannose per la salute fisica e mentale di chi vi si vuole dilettare.
Amore e morte
Tra i motivi principali per cui si ricorre alla divinazione necromantica c’è il desiderio di ricongiungersi, per il tempo concesso dal rituale, alla persona amata. Le evocazioni d’amore sono, del resto, le più semplici e richiedono un apparato cerimoniale meno complesso: per prima cosa, dovremo raccogliere tutto quello che è appartenuto alla persona scomparsa, gli oggetti che ha usato e sui quali sia rimasta una sua traccia. Il rito, inoltre, deve essere svolto presso l’abitazione del defunto, dove vi sia un suo ritratto che verrà coperto con un velo bianco e circondato dai suoi fiori preferiti.
La data deve essere scelta tra quelle più significative per il deceduto, un giorno di cui, ovunque egli sia, la sua anima non abbia perso il ricordo. Una volta fissata la data, la cerimonia sarà preceduta da quattordici giorni in cui il celebrante dovrà astenersi dalle passioni e dagli eccessi, vivere in castità e solitudine, consumare pasti frugali. Ogni sera, alla stessa ora, ci si dovrà recare nella stanza dove si svolgerà il rito e sostare per un’ora in silenzio alla luce di una candela o di un lumino funebre di fronte al ritratto; prima di uscire, la stanza dovrà essere aspersa di incenso. La mattina del giorno dell’evocazione, il celebrante dovrà vestirsi di bianco e accuratamente, come per una festa, e consumare un pasto composto da pane, vino e frutta; quindi dovrà mettere da parte un po’ di pane e versare del vino in un secondo bicchiere, destinato alla persona da richiamare, il tutto eseguito nella stanza dell’evocazione, sempre di fronte al ritratto. Al termine del pasto, dovrà essere pulito e portato via tutto tranne il pane e il bicchiere di vino che saranno posti davanti al ritratto. Di sera, alla stessa ora delle altre volte, ci si recherà nella stanza gettando incenso per sette volte, alla luce di un fuoco di legno di cipresso, pronunciando il nome della persona desiderata. Lasciando che il fuoco si estingua, continuando a spargere i fumi dell’incenso, si pronunceranno preghiere rivolte al dio della religione cui apparteneva il defunto; nel far questo ci si dovrà quanto più possibile immedesimare nella persona da evocare, e dopo un silenzio di quindici minuti si inizierà a parlare con lei, come se fosse presente, con affetto, pregandola di apparire. Si dovrà allora rinnovare mentalmente la preghiera, coprendosi il viso con entrambe le mani, e pronunciare per tre volte il suo nome a voce alta. Ancora con le mani sul volto, con dolcezza, si continua a chiamare il nome per altre tre volte, quindi si aprono piano gli occhi. Se nulla accade, ripetere il rituale l’anno successivo e, se necessario, una terza volta.
«Speak, Marauder!»
Le evocazioni che hanno lo scopo di ricevere informazioni hanno un cerimoniale più complesso e solenne. Se vogliamo, ad esempio, richiamare un personaggio famoso, dobbiamo trascorrere ventuno giorni a studiarne la vita e gli scritti, crearci un’idea del suo aspetto, conversare mentalmente con lui e immaginare le sue risposte. Durante questo periodo si dovrà seguire una dieta vegetariana e uno stretto digiuno gli ultimi sette giorni; si allestirà un oratorio in un luogo scuro ma, se intendiamo compiere l’evocazione durante il giorno, lasceremo uno spiraglio aperto a un raggio di sole, davanti al quale metteremo un prisma triangolare e una sfera di cristallo riempita d’acqua. Se l’operazione viene eseguita di notte, la lanterna dovrà essere posizionata in modo che il suo raggio penetri il fumo dell’altare; lo scopo di questi accorgimenti è predisporre gli agenti magici insieme agli elementi materiali e corporei e allentare il più possibile la tensione immaginativa, che non deve sconfinare nell’illusione della suggestione o del sogno. Il fuoco deve essere posto al centro dell’oratorio con vicino gli incensi; l’operatore dovrà volgersi a est per pregare e a ovest per l’evocazione, dovrà essere solo o aiutato da due persone che osservino il più stretto silenzio. Le sue vesti saranno quelle descritte in precedenza, il capo coronato con oro e verbena e prima del rituale dovrà lavarsi accuratamente. L’evocazione ha inizio con una preghiera adeguata allo spirito che si desidera si manifesti ‒ sarebbe impossibile evocare Voltaire pregando santa Brigida: per i grandi dell’antichità dovremo recitare, ad esempio, gli inni di Orfeo o di Cleate, con la supplica a Venere dei Versi d’oro di Pitagora. Nell’evocazione di Apollonio di Tiana, l’autore dell’Encyclopaedia racconta di essersi servito delle formule magiche di Patrizio, contenenti le dottrine di Zoroastro e di Hermes Trismegisto, a voce alta, quindi di aver recitato il Nuctemeron con la supplica:
“Concedici la tua presenza, o Padre di Tutto, e tu, Tre Volte Grande Hermes, che governi i morti. Asclepio figlio di Efesto [in realtà di Apollo], patrono dell’arte della guarigione; e tu Osiride, Signore del vigore e della forza, possiate voi essere qui tutti presenti. Arnebascenis, patrono della filosofia, e ancora Asclepio, Apollonio, Apollonio, che insegnasti la magia di Zoroastro, figlio di Ormazd; questo è il volere degli dèi”
Per le evocazioni di spiriti che appartenevano alla religione giudaica si dovrà invece usare questa invocazione cabalistica di Salomone in ebraico, o in una lingua conosciuta dalla persona da richiamare:
“Potenze del Regno, siate sotto il mio piede sinistro e nella mia mano destra! Gloria ed Eternità, prendetemi per le spalle e conducetemi lungo i sentieri della vittoria! Pietà, Giustizia, siate il mio equilibrio e lo splendore della mia vita! Intelligenza e Saggezza, incoronatemi! Spiriti di Malchuth, portatemi tra le colonne sulle quali riposa l’edificio del tempio! Angeli di Netsah e Hod, datemi la forza, sulla cubica pietra di Jesod! O Gedulael! O Geburael! O Tiphereth! Binael, sii il mio amore! Ruach Hochmael, sii la mia luce! Sii quello che sei e che sarai, o Ketheriel! Tschim, assistimi nel nome di Saddai! Cherubim, sii la mia forza nel nome di Adonai! Beni-Elohim, sii il mio respiro nel nome del Figlio, e per il potere di Zebaoth! Eloim, compi per me le battaglie nel nome del Tetragrammaton! Malachim, proteggimi nel nome di Jod He Vau He! Seraphim, purifica il mio amore nel nome di Elvoh! Hasmalim, illuminami con lo splendore di Eloi e di Shechinah! Aralim, agisci! Kadosh, Kadosh, Kadosh, Saddai, Adonia, Jotchavah, Eieazereie: Hallelu-jah, Hallelu-jah. Amen”
Per concludere con un aneddoto
Nelle Memoirs of the Counts of Berlin, Dresden, Warsaw and Vienna (London 1800) Wraxall racconta il divertente episodio dell’apparizione del fantasma del Cavaliere di Saxe. Circolavano notizie di grosse somme di denaro e tesori nascosti nel suo palazzo di Dresda; allora il principe Carlo, spinto un po’ da curiosità e un po’ da bramosia, ordinò che si disponesse un rituale necromantico, che fu presieduto da tal mago Schrepfer. L’officiante si ritirò in un angolo buio della sala, in ginocchio, salmodiando arcane formule. A un certo punto, un vociare secco e cupo fu udito provenire dalla finestra, insieme al ticchettio e allo stridere come di tante dita bagnate sul vetro. Il rumore, che presagiva l’apparizione dello spirito, fu seguito da urla disumane. Schrepfer continuava le sue evocazioni, quando la porta della sala si aprì all’improvviso ed entrò rotolando una gran palla nera, avvolta da nubi di fumo, al centro della quale apparve il volto di un uomo. L’immagine, assunte le fattezze del Cavaliere de Saxe, con voce adirata e tonante esclamò in tedesco: Carl, was wollte du mit mich? ‒ Carlo, cosa vuoi da me? A quel punto Schrepfer interruppe le sue formule e l’apparizione svanì ‒ prima, purtroppo, di poter essere interpellato e svelare dove fosse il tesoro. Ma questo bastò: i presenti si dileguarono terrorizzati, e il magus godette per il resto dei suoi giorni la fama di uomo dagli straordinari poteri.
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Questo articolo (qui riveduto e aggiornato) è stato pubblicato a mia firma su “Tales of Safarà”, rivista del Laboratorio di Nuovi studi antropologici, n. 1, marzo-aprile 2006.
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Anna MB