In occasione della prematura scomparsa dello storico delle religioni Giuseppe Acerbi, il prof. Ezio Albrile (di cui il lettore troverà un ricordo al termine di questo saggio), suo amico fraterno, ci ha trasmesso questa sua pubblicazione inedita. Che l’anima dello scomparso possa riposare in pace. La Redazione.
I.
Evola cita Crowley con evidente ammirazione nei due capitoli finali del pur bellissimo, per altro verso, ‘Metafisica del sesso’. Ma purtroppo mostra di confondere l’iniziazione col sabba. Anche per il fatto della paralisi la versione ufficiale è quella del bombardamento, mentre si trovava in Austria [nell’originale, sbagliando, dicevo Germania]. In questo caso credo che la versione ufficiale sia quella giusta, altro non saprei. Mi risulta che Evola fosse comunque impegnato con giovani fanciulle [lo afferma persino un personaggio femminile d
Evola è conosciuto come il tradizionalista per eccellenza in Italia, ma non era un tradizionalisa ortodosso. In effetti, nel mondo luciferiano il culto della Tradizione – intesa quale semplice trasmissione dei miti e dei riti del passato, senza l’essenziale aggiornamento spirituale – ha sempre avuto un particolare seguito, come dimostra quel che sappiamo della Skulls and Bones statunitense. La Tradizione vera tuttavia è altra cosa, è legata a catene iniziatiche che vanno molto addietro nel tempo, fino ai primi uomini. A meno d’intendere per Tradizione il Satanismo, che è effettivamente ricollegato anch’esso ad antichi cerimoniali, ma in modo distorto e malefico. Vi è poi l’Occultismo, che è ancora altra cosa. Una contraffazione bella e buona, senza neppure quella patente di seriosità che ha il Satanismo. Sbaglia profondamente chi afferma che tutte le iniziazioni hanno un carattere deviato. Quella che io ho personalmente ricevuto da un guru indiano non è assolutamente deviata, ha un carattere invece genuino. Il fatto semmai è che quasi tutto, a mio parere tutto, in Occidente oggigiorno è deviato in tal campo.
II.
La lotta di classe è il sottoprodotto della società moderna in disfacimento. L’idea che tutte le classi debbano trasformarsi in una sola è aberrante. Ciascuna ha le sue caratteristiche proprie. La suddivisione in Varna (‘Colori’, il termine ‘Caste essendo un termine improprio d’origine latino-portoghese) non dipende dal dominio e dalla sopraffazione cui Tu ed altri sembrate alludere, si basa sul fattore astrologico: Aria, Fuoco, Acqua, Terra. Questi sono i Varna venerati dagli Indoiranici e dai… Greci. Non altro. Rispetto ai 4 Elementi è possibile teorizzare una Supercasta originaria, quella sì realmente unica, donde tutte le altre sono originate. Secondo il mito palingenetico il ritorno imminente del ‘Nuovo Apollo’ (“iam redit et Virgo”, diceva Virgilio, in senso astrale) cui alludeva la IV Ecloga, avrebbe determinato la ricostituzione di un novello Eden. Colla conseguente formazione di un’unica supercasta dai tratti eterici e quintessenziali. Marx, da buon sionista (in senso modernistico) non era anche lui che un satanista. Infatti ha distorto tale principio a livello demonico e lo ha tramutato nella “società finale senza classi”. Ma, come ripeto, è la distorsione di un vero mito tradizionale. La Tradizione in ogni caso appartiene a tutti gli uomini, non ai ceti più abbienti. Come costoro fanno credere, ingannando. La Tradizione è la trasmissione umana della Rivelazione concessa ad Adamo nei primordi e Adamo significa ‘Uomo’. Non la lotta di classe serve, bensì la solidarietà verso tutte le classi sociali. Come insegnava Menenio Agrippa a Roma. Il vero conformismo è ripetere le cose dette da altri senza capirle sino in fondo.
L’oligarchia era considerata da Platone una tirannide e Platone faceva testo per tutti i Greci. Attribuire delle motivazioni economiche a tutti i fatti umani è errato. La società muta perché cambiano le idee. Persino il marxismo fa fede nel mutamento di idee, pur blaterando che è stata l’industrializzazione a cambiare volto al mondo. I paletnologi d’impostazione marxiana d’altronde, come… G.Childe, attribuiscono al Neolitico la formazione delle Caste. Cosa del tutto falsa. La verità, testimoniata dai miti e dalle leggende tradizionali, è che le Caste alludono al mutamento costante cui è stata sottoposta l’umanità in tutta la sua storia. Vale a dire, se ne è formata una alla volta. Prima la supercasta, poi il clero (versato nello sciamanismo), indi la nobiltà; in seguito è nata la borghesia ed, alfine, la servitù. Secondo un processo ciclico, dovuto sia a cause storiche sia a cause superstoriche. È vero che dei diversi mezzi di produzione economica hanno accompagnato codeste fasi umane, ma se ciò è avvenuto è stato solamente come sviluppo di date potenzialità insite nell’orda originaria, non come fattore trainante.
Sì, effettivamente, persino la nomenclatura divina e l’ordine gerarchico dei numi ha a che fare coi mezzi di produzione (dei oceanici dei pescatori, dei agrari degli orticoltori, dei delle piogge degli orticoltori avanzati ecc.), ma è sempre stata la cultura in senso spirituale – non antropologico – il veicolo determinante dello sviluppo umano. Ecco perché il sacerdozio ha sempre dominato, in quanto deteneva la cultura. E non lo faceva opportunisticamente quale instrumentum regni, come talvolta ha fatto in passato il clero cristiano. Lo faceva magistralmente, come i brahmani indiani o i sacerdoti toltechi. L’idea di veder dappertutto e in ogni tempo uno sfruttamento sociale dei miseri, delle donne, dei popoli inferiori è un‘idea peregrina di stampo modernistico. Non corrisponde alla realtà, se applicata all’Antichità. Le distanze sociali erano minime rispetto ad oggi. Faccio un esempio. Fra i Pellerossa quali erano le caste dominanti? E’ molto difficile stabilire delle differenze. E se differenze vi erano, erano più o meno quelle idealmente stabilite da Platone nella ‘Repubblica’, modello di tutte le utopie successive. Platone stabiliva 4 Classi, che altro non sono che i Quattro Stati feudali o le Quattro Caste indù. Le differenze non sono destinate a durare in eterno. Oggi non è più tempo di caste e in questo erra la Destra, senza per questo dover ammettere la teoria marxista. Tutte le classi sociali sono destinate ad essere riassorbite in una nuova umanità senza classi, per superamento verso l’alto delle stesse, non per defezione ed annichilimento delle classi superiori.
Giuseppe Acerbi
Ricordo di Giuseppe Acerbi
(17 gennaio 1951- 6 giugno 2019)
Un corpo dimenticato in una casa dove abbondano gatti e qualche cane, ritrovato dopo quasi un mese dal trapasso. Non siamo in una anonima metropoli da un milione di abitanti ma in un minuscolo paesino da un centinaio di anime: nessuno si è accorro di nulla, in morte come in vita. Nessuno si era accorto di chi realmente fosse Giuseppe («Pino» per gli amici) Acerbi, geniale orientalista, scrittore – e in gioventù anche esordiente regista -, ma per i compaesani solo una presenza «strana», marginale, se vogliamo servirci di questo termine pur non avendone ancora valutato appieno la portata.
Al Liceo, Giuseppe Acerbi è già un ribelle; siamo negli anni ’70, quelli della contestazione, le sue provocazioni sono raccolte da un importante e allora esordiente giornalista musicale, Mario Luzzatto Fegiz. A queste prime esperienze faranno seguito tra il 1971 e il 1977 i classici viaggi in Oriente (India e Iran) e in Africa, e l’autoproduzione di un film in 16mm ispirato al mito anatolico (ittita) di Kessi. Il film, originariamente girato in b/n (negli anni ’90 rielaborato anche in una versione ricolorata) verrà presentato in diversi festival, senza purtroppo ricevere l’attenzione che merita.
Gli anni che vanno dal 1978 al 1984 vedono l’Acerbi impegnato ad approfondire le tematiche legate alle religioni e alle filosofie orientali. Si laurea all’Università di Venezia Ca’ Foscari in Indologia con il prof. Gian Giuseppe Filippi, con una monumentale tesi sulle origini indiane (principalmente il Mahābhārata) del Kālacakra. Una tematica legata all’avvicendarsi dei cicli cosmici, che segnerà in maniera profonda gli studi a venire. Dopo una breve collaborazione con il Dipartimento di Lingue e Letterature Orientali sempre dell’Università di Venezia, Acerbi inizierà una intensa attività pubblicistica che non sempre avrà riscontri positivi da parte degli editori.
Acerbi studia le fonti mitologiche del Medio ed Estremo Oriente con l’intento di svelare relazioni e analogie con l’epica del Medioevo romanzo. Una dimensione «comparativa» nella quale gli avvicinamenti e i paralleli assumono un significato completamente nuovo. Si pensi ad esempio ai cicli leggendari hindu e buddhisti legati alla versione orientale del Castello del Graal, cioè il Monte Meru. Collocato al centro del mondo, il Meru viene talora raffigurato a gradini e circondato dall’acqua; intorno vi ruotano il Sole e la Luna. Su di esso è intronizzato il Buddha con i suoi Bodhisattva, mentre la Fenice vaga sotto gli alberi. In un altro mito c’imbattiamo nella figura del Pescatore associato al Monte, al modo che il «Re Pescatore» lo è al Castello del Graal. È un motivo che l’Acerbi ha studiato esaustivamente in tante pubblicazioni. Basti ancora ricordare l’iconografia del Monte Meru circondato dalle acque dell’Oceano, sulle quali il Pescatore naviga nella sua Barca: un’epifania del dio Brahmā, un «Pescatore di Luce» talora duplicato nell’Avatāra del dio Viṣṇu noto come il «Pesce d’Oro», funzione in origine rivestita da Brahmā. È il custode della Montagna Sacra, nonché il suo gnomone o dominatore. Tutti questi esempi esprimono coerentemente un simbolismo unico: il «ricordo» di una forma ideale di esistenza e il «ritorno» a una condizione di perfezione interiore.
Il luogo della libertà è ben diverso dalla semplice opposizione, e non si trova neppure mediante la fuga. La vicenda di Giuseppe Acerbi, ribelle alla filologia ingessata e alla storia delle religioni incardinata su forme avulse del sentire, è emblematica per chi da un punto di vista «illuminato» ha tentato di creare una nuova ortodossia, questa volta fondata su norme editoriali e diacritici. Acerbi non ha mai accettato tutto questo, anche se i suoi lavori esprimono una acribia e una precisione infinite.
Se è vero, come pensavano Buddha, Platone e Shakespeare, che l’universo è un gioco di illusioni, e noi ne siamo le infime ombre teatrali, allora ogni evento si dissolve nella propria vacuità. Ma gli umani fantasticano, delirano, giocano senza sapere cosa stanno realmente facendo, esibiscono il gigantesco ego, ripongono la loro fiducia nel progresso, si credono immortali. Nell’agosto del 2007, l’Ufficio statale cinese per gli affari religiosi approvò l’«ordinanza numero cinque», una legge che doveva entrare in vigore il mese successivo e che regolava «le misure di gestione della reincarnazione di Buddha viventi nel buddhismo tibetano». Questo «importante passo per istituzionalizzare la gestione della reincarnazione» stabiliva le procedure attraverso le quali si compiva la reincarnazione – in breve, proibiva ai monaci buddhisti di reincarnarsi senza permesso governativo: nessuno fuori della Cina poteva influenzare il processo di reincarnazione, e solo i monasteri in Cina potevano fare domanda per averne il permesso.
Ezio Albrile
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