10 Ottobre 2024
in memoriam Julius Evola Punte di Freccia

Evola, Superuomo o anti-uomo??

di Mario M. Merlino
  
Il 10 luglio, per espressa volontà, il suo corpo viene cremato; poi un fidato gruppo di fedelissimi spargerà le ceneri, anche in questo caso seguendo le sue indicazioni, in un crepaccio del ghiacciaio del Lys, sul Monte Rosa, a quattromila metri d’altezza. (Mi torna a mente quanto Nietzsche scrive in  Ecce Homo: ‘A 6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo’. E di questa relazione ebbi idea, trovandomi nella zona di Feltre, risalendo il sentiero che porta all’eremo di Sant’Agapito). Il filosofo Martin Heidegger rileva come ‘è della natura del pensare muoversi nella solitudine’. Ardito etimo: sol et solus si nutrono alla stessa mensa, si abbeverano alla stessa fonte?

Sto facendo riferimento a Julius Evola di cui ricorre, l’11 giugno del 1974, il trentanovesimo anniversario della morte. In piedi, sorretto, per vedere le cime degli alberi del Gianicolo con il vento che gioca fra i rami.
Gli avevo telefonato pochi mesi prima. La voce mi proviene da lontananze che non si rivestono più di sembianza umana. Prossimo il giorno in cui egli vorrà ritrovare quella medesima attitudine alla sfida che l’aveva spinto a percorrere le vie di Vienna, fra le macerie e sotto i bombardamenti, ‘di non schivare, anzi di cercare i pericoli, nel senso di un tacito interrogare la sorte’. E’ come se fosse presago, in tacita attesa di quella che, esplodendo a lui vicino, lo scaraventerà a terra ‘con uno schianto, non con una lagna’ e gli impedirà di conoscere l’avventura del cammino, ma gli concederà la visione dell’Essere… Gli telefono per chiedergli di Carlo Michelstaedter che era divenuto oggetto della mia tesi di laurea, durante la permanenza nel carcere di Regina Coeli.
Da Il Cammino del Cinabro: ‘Il Michelstaedter aveva parlato della ‘via della persuasione’, intesa come quella dell’essere che consiste in sé, che possiede in sé il proprio principio e il proprio valore, che non scarta, che non sfugge alla propria deficienza esistenziale ma l’assume e la risolve. Opposta a tale via era quella della ‘retorica’, cioè di colui che fugge al possesso attuale di sé, che si appoggia ad altro, che cerca l’altro, che si rimette ad altro per ‘persuadersi’ in una fuga dal tempo, secondo una oscura necessità ed un incessante bramare, indefinitamente, il cedimento iniziale escludendo ogni arresto del processo in un possesso’.
Davanti alla libreria Tombolini, via Quattro Novembre, incontro Adriano Romualdi, casualmente e per l’ultima volta. Pochi giorni dopo moriva dissanguato nella macchina, chissà come finita in un fosso, lungo la via Aurelia, alla vigilia di Ferragosto. E’ lui ad avermi procurato un appuntamento a casa di Evola, in Corso Vittorio Emanuele, insieme ad un paio d’altri camerati. Inizio anni ’60. Le nostre vanità la presunzione della giovinezza una certa arroganza nel proporci con il punto esclamativo, mentre il punto interrogativo si necessitava con una buona dose di umiltà intellettuale, il ‘Barone’ seppe tacitarle, renderle nel giusto ambito dell’ironia e del ridicolo… Allora non capimmo, offesi e delusi.
Nessun Maestro, niente discepoli. Che ognuno scopra in sé la misura del proprio itinerario esistenziale e se appartiene o meno a coloro che, avendo scelto di vivere in un mondo altro, sanno discernere vivere assumere in sè ‘la rivolta contro il mondo moderno’. Da un frammento di Eraclito: ‘Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo il suo logos’.
Ne ho fatta di strada, come quel gabbiano di cui cantava Bob Dylan negli anni in cui cercavamo i percorsi del cambiamento… nessuna meta, infine, abbandonando l’illusione del viaggiatore ho scoperto il viandante. Ed ecco perché posso tranquillamente sentirmi distante da Evola, dalle sue opere, dalle sue proposizioni – io, che vado disvelando nel tramontare la nientità del qui ed ora – ed ecco perché, nonostante ciò, non posso non voglio non devo esentarmi dalla sua lezione. In ciò che ho abbandonato sta la dignità di colui che arranca; in ciò che permane la forza del suo insegnamento…

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