Devo dirvi in premessa che, considerata la massa di trentacinque articoli che precedono lo scritto presente, avendo sviscerato come più a fondo di così, penso sia obiettivamente difficile, il tema dello strabismo orientale che ci costringe ad avere una visione distorta delle nostre origini e della nostra storia più remota, non pensavo di tornare più sull’argomento a meno che non si verificassero scoperte eclatanti.
Scoperte eclatanti non se ne sono verificate, ma ci siamo imbattuti in tanti tasselli che tutti insieme ci permettono di comporre un quadro delle nostre origini inedito e molto differente da quello che ci presenta la narrazione della storia convenzionale, quella che viene impartita nelle scuole ed è alla base della maggior parte delle opere di divulgazione.
Una riflessione preliminare: da dove viene questo mito fasullo che ci porta a deformare il modo in cui concepiamo le nostre origini? Forse ricorderete che al riguardo ho avuto un’amichevole e rispettosa polemica con Silvano Lorenzoni, che rimane, oltre che un amico, uno degli intellettuali “nostri” più interessanti.
Lorenzoni identifica l’ex Oriente lux semplicemente con il cristianesimo, ma io, pur avendo della religione del Discorso della Montagna un’opinione non differente dalla sua, cioè pessima, gli ho fatto notare che la questione è più complessa e il problema è più antico e più vasto. Noi, infatti, possiamo notare che già prima della cristianizzazione forzata imposta dall’imperatore Teodosio con un’indicibile violenza su cui la maggior parte degli storici sorvola alla grande, nel tardo impero romano si erano diffusi culti di origine orientale che al cristianesimo, che inizialmente non era altro che uno di essi, hanno spianato la strada, i culti di Iside, di Mitra, di Cibele. Soprattutto quest’ultimo, praticato da sacerdoti eunuchi, appare in totale contrasto con l’autentico spirito romano. (Potremmo persino pensare che un’eco di ciò si trovi nell’obbligo della castità imposto ai sacerdoti cattolici).
Precisato ciò, seppure non si possa certo disconoscere che il cristianesimo, con al centro della sua predicazione un libro mediorientale presentato come “la parola di Dio” abbia avuto un peso non indifferente nel radicare la convinzione che “la luce” venisse da un luogo estraneo all’Europa, il problema rimane.
Io, personalmente, sono giunto a darmi questa spiegazione. Noi sappiamo che quella che chiamiamo cultura classica deriva dall’innesto della cultura greca nel mondo romano, avvenuto a partire dalla conquista romana della Grecia stessa, che fu promosso soprattutto dal circolo degli Scipioni, provocando la reazione indignata dei Romani più tradizionalisti come Catone il Censore. Noi abbiamo la tendenza a percepire la classicità come qualcosa di omogeneo, ma non è così. Basti pensare ad esempio che a una divinità centrale nel pantheon greco come Apollo non si trovò neppure un dio romano i cui attributi potessero essere corrispondenti.
La grecità con cui Roma venne a contatto, non era quella dell’età classica, ma quella del periodo ellenistico, nata dalle conquiste di Alessandro Magno, in cui avevano iniziato a infiltrarsi sempre di più elementi orientali, e i Romani stessi non erano in grado di percepire che se ciò che era propriamente ellenico rientrava pienamente nel mondo europeo ed indoeuropeo cui loro stessi appartenevano, procedendo verso oriente si varcava un limite finendo per assimilare qualcosa di totalmente estraneo allo spirito romano.
Si considerino ad esempio le evoluzioni più tarde della filosofia negli ultimi secoli dell’età antica: Apollonio di Tiana, Ermete Trismegisto, le ultime evoluzioni misticheggianti dell’Accademia platonica, siamo miglia e miglia lontani dalla razionalità apollinea della grecità classica.
Ma i Romani, abbacinati dal fascino perverso di tutto ciò che veniva da oriente, non erano in grado di avvedersene. Erano arrivati perfino, credendo così di nobilitarsi, di inventarsi senza nessunissima base storica, di discendere dai profughi della guerra di Troia. Possiamo apprezzare l’Eneide virgiliana come opera letteraria, ma dal punto di vista storico è una panzana.
I linguisti tedeschi del XIX secolo hanno avuto un merito enorme scoprendo che il greco, il latino, i linguaggi celtici, germanici, slavi, iranici, indiani hanno un’unica origine, appartengono a un comune ceppo indoeuropeo, rispetto al quale l’ebraico della bibbia rimane estraneo. E’ grazie al loro lavoro che una concezione della storia e una visione del mondo non bibliocentriche hanno cominciato a venire in essere.
Tuttavia costoro commisero un grosso errore, considerando l’India come luogo d’origine di queste popolazioni che avevano denominato indoeuropee. Furono certamente sviati dal fatto che il sanscrito, la lingua dei Veda, i testi sacri induisti, è la più antica lingua indoeuropea di cui abbiamo testimonianza scritta, ma l’errore, o quanto meno il salto logico indebito è evidente. Il fatto che esso sia stato la prima lingua indoeuropea a essere messa per iscritto, non significa necessariamente che esso sia stato la prima lingua indoeuropea a essere parlata.
Ma, al di là degli aspetti tecnici della ricerca linguistica, era il solito pregiudizio, lo strabismo orientale che riprendeva vita in una forma diversa, cacciato dalla porta, si ripresentava dalla finestra.
Se noi guardiamo una carta geografica, ci rendiamo conto che l’India, nella sua pur notevole estensione, è proprio un’area marginale verso sud-est dell’ecumene che è stato deciso di definire come indoeuropeo. Inoltre, prima dell’arrivo degli ariani (usando questo termine esclusivamente nel senso delle popolazioni di etnia caucasica stabilitesi in India), il subcontinente era fittamente abitato da una popolazione “scura”, i Dravidi, e tutto il sistema delle caste, tipico dell’induismo e in esso centrale, appare finalizzato al preciso scopo di tenere separate le due popolazioni. Infine non esiste nessuna traccia di migrazioni dall’India verso il sud-est del continente europeo, mentre tutti gli indizi (ci torno fra poco) suggeriscono una migrazione in senso contrario. L’India non è stata certamente l’Urheimat, la patria ancestrale delle genti indoeuropee. Lo stesso termine indoeuropeo è scelto male ed è fuorviante. Euro-indiano o Euro-indo-iranico sarebbe stato più rispondente alla realtà, anche se comunque nel prosieguo mi atterrò all’uso invalso.
Vi cito un estratto dell’articolo comparso sul sito russo Sibdepo.ru, la cui traduzione in lingua italiana si deve a Olga Samarina, che sintetizza le ricerche condotte dai genetisti dell’Università di Harvard guidati da David Reich (pare che su questi argomenti nella Russia del “tiranno” Putin vi sia molta maggiore libertà d’informazione che nell’Occidente sedicente democratico):
“Gli ariani erano venuti in India dalla Siberia. Questa è la conclusione di una ricerca condotta da un gruppo di scienziati di diversi paesi (Russia, Usa, India, Pakistan, Afganistan, Inghilterra, Canada, Italia, Portogallo ed altri) con a capo il genetista David Reich (Harvard). Il risultato dello studio dei 524 campioni DNA degli antichi resti umani è stato pubblicato nella rivista “Science” con il titolo “La formazione delle popolazioni umane nell’Asia Centrale e Meridionale”.
In base a questa analisi è confermata la teoria delle migrazioni dei portatori delle lingue indo-ariane dall’Eurasia verso l’India.
“La comparsa degli antichi indoariani sul territorio dell’India nel II millennio a.C. è legata alle migrazioni dalle zone delle steppe dell’Eurasia, compresa la Siberia occidentale (la cultura di Andronov)”.
La gente venuta dalle steppe è diventata l’élite: tra i bramini la percentuale del “geni della steppa” è maggiore rispetto ad altri gruppi”.
I linguaggi indoeuropei si dividono in due grandi rami, occidentale e orientale, che sono detti dai linguisti del centum e del satem, secondo la forma tipica che vi assume il numerale cento. Al primo gruppo appartengono il greco, il latino e le lingue neolatine, i linguaggi celtici e quelli germanici. Del secondo fanno parte le lingue slave e quelle indo-iraniche.
Alla luce di quanto detto più sopra, è facile comprendere come si spieghi questa affinità tra slavi e indo-iranici, per il fatto che l’altopiano iranico e poi l’India sono stati colonizzati da popolazioni affini agli Slavi provenienti dall’angolo sud-orientale del nostro continente, ma voi non vi stupirete di sapere che, abbacinati come al solito dal mito fasullo dell’Ex Oriente lux, strabici come al solito verso oriente, i rappresentanti della cultura ufficiale hanno letto la cosa nel senso esattamente opposto.
Se voi andate a consultare il grande oracolo dei nostri tempi, Wikipedia, vedete che le popolazioni precorritrici degli Slavi (con ogni verosimiglianza loro antenate, dubito che essi siano comparsi magicamente dal nulla nel medioevo) come Sarmati e Sciti, sono indicate come “di stirpe indo-iranica”, il che fa supporre una – mai avvenuta – migrazione dall’India e dall’altopiano iranico a colonizzare l’Europa orientale, è sempre il pregiudizio dell’Ex Oriente lux che rispunta a deformare la comprensione delle nostre origini.
Wikipedia è una grande raccolta del sapere, ma anche dei pregiudizi e delle sciocchezze che dominano la nostra cultura.
Vi dicevo all’inizio, tanti tasselli che ricomposti insieme tracciano un quadro delle origini indoeuropee piuttosto diverso da quello al quale siamo perlopiù abitati. Quando poi succede che questi tasselli si dispongono in modo convergente in una direzione precisa, allora non possiamo non pensare di aver scoperto qualcosa di fondamentale.
Cominciamo con un semplice esercizio, oggi sempre meno diffuso nell’epoca dei GPS, quello di osservare una carta geografica.
Tra Romania, Ucraina e Russia meridionale troviamo la cultura Yamna o Yamnaia, che è considerata la più antica cultura indoeuropea conosciuta.
Non distante, fino alle sponde del Dnestr troviamo la cultura calcolitica di Cocuteni-Trypillia che pare sia stata maestra nell’agricoltura e nello sfruttamento razionale dei suoli.
Ci spostiamo poco più a sud, in Bulgaria e troviamo la cultura di Varna nota per la sua sontuosa oreficeria. Un uomo inumato in una delle tombe di Varna, “l’uomo di Varna”, appunto, è stato sepolto con un corredo funerario tanto ricco da essere considerato “il Tutankhamon europeo”.
Sempre in Bulgaria, nel 2021 è venuto alla luce l’insediamento preistorico di Tell Yunasite che sembra essere stato la città più antica del mondo, più antico e considerevolmente più esteso della mediorientale Gerico cui si è voluto attribuire tale primato.
Un po’ più a ovest troviamo la cultura del Danubio, quella a cui si deve l’invenzione delle scrittura, rappresentata dalle tavolette di Tartaria, di almeno mille anni più antica dei più antichi pittogrammi sumerici.
A oriente di questo complesso di culture troviamo le culture della Siberia meridionale, di insospettata complessità e raffinatezza (Afanasevo, Andronovo, Karasuk) e i misteriosi monumenti funerari che punteggiano la steppa, i kurgan (È quasi superfluo dire che, mentre i kurgan più recenti contengono sepolture di tipo mongolico, quelli più antichi hanno restituito i resti di uomini di tipo caucasico).
Tutto sembra ruotare attorno alle sponde del Mar Nero, e qui si situa l’aspetto meno conosciuto e più interessante della nostra storia. Secondo l’ipotesi formulata dai geologi William Ryan e Walter Pitman della Columbia University nel 1997 e oggi generalmente accettata dalla comunità scientifica internazionale, fino a 8.000 anni fa, il Mar Nero era un lago di acqua dolce molto meno esteso del mare attuale, e che avrebbe raggiunto l’assetto odierno in seguito a una catastrofica inondazione delle acque del Mediterraneo dovuta al crollo del ponte di terra che si trovava dove oggi c’è lo stretto del Bosforo. Ryan e Pitman avrebbero identificato le tracce di antichi insediamenti su quelle che un tempo erano le sponde del lago e che oggi si trovano nel fondale marino.
Non si fa molta fatica a supporre che le culture che ho menzionato più sopra siano state create dai superstiti di questa alluvione che avrebbe sommerso quella che potrebbe essere la civiltà più antica del nostro pianeta. Noi sappiamo che nel tempo, senza mai prove convincenti, sono state proposte varie localizzazioni per l’Urheimat, la patria ancestrale indoeuropea. E se fosse così difficile da trovare perché oggi si trova sommersa sotto le acque del Mar Nero?
Una conferma la potremmo trovare sulla sponda meridionale, in Anatolia. Qui, come probabilmente sapete già, è stato scoperto un vasto complesso templare, Gobeckli Tepe, che ha sconvolto gli archeologi, perché risale a circa 12.000 anni fa, un’epoca che è considerata paleolitica.
Edgar Allan Poe diceva che, una volta tolto di mezzo l’impossibile, quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere vero.
E’ impossibile che bande di cacciatori nomadi possano aver costruito Gobeckli Tepe. La loro popolazione è troppo esigua, impegnata del tutto nel procacciarsi il minimo per sopravvivere, e per di più costretta a spostarsi continuamente dopo aver esaurito le risorse di una zona. Quindi gli archeologi non hanno che un’unica soluzione, retrodatare perlomeno all’epoca di Gobeckli Tepe il neolitico, la scoperta dell’agricoltura e la nascita di comunità umane stabili. Notiamo anche che Gobeckli Tepe non è un unicum e che recentemente è stato individuato un sito simile, forse più antico, Karan Tepe.
Poiché all’epoca il Mar Nero non esisteva, non ha molto senso considerare la regione anatolica Asia piuttosto che Europa, ma quello che si può dire con certezza, è che sono state trovate statuine raffiguranti gli abitanti di Gobeckli Tepe, hanno lineamenti europidi e pietruzze azzurre nelle orbite oculari.
Siamo dunque sulle orme di una storia molto diversa da quella che ci viene comunemente raccontata, e sono qui per riferirvela, senza nessuna paura di essere eretico.
NOTA: Questa illustrazione è un’immagine composita per rappresentare la varietà del mondo indoeuropeo. In alto, a sinistra il muro oplitico greco, al centro, guerriero celta, a destra i tre Bogatyr, eroi mitici russi per rappresentare i popoli slavi. In basso, a sinistra legionari romani in marcia, al centro guerrieri longobardi medioevali con le armi espanse rappresentano i popoli germanici, a destra, arazzo ritrovato nel kurgan di Pazyrik rappresenta il ramo più orientale degli indoeuropei.
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