Fra tutte le serie di articoli che in questi anni ho pubblicato su “Ereticamente”, certamente Ex Oriente lux è la più folta e longeva dopo Una Ahnenerbe casalinga/L’eredità degli antenati, e di certo il motivo di ciò non è difficile da comprendere: raccontare la realtà del nostro passato senza paraocchi significa prima di tutto scoprire la grandezza della civiltà europea che non deve all’oriente medio o prossimo praticamente nulla se non i guasti prodotti da una religione estranea venuta a infettare le nostre radici e ad estinguere le nostre tradizioni ancestrali.
Nel corso di questi anni, gli articoli di questa serie hanno trattato una varietà di tematiche e assunto diverse forme. La presunta luce da oriente è una mistificazione che, per quanto riportata da tutti i libri, scolastici, di testo e divulgativi, che trattano la storia antica, non è troppo difficile rendersi conto che non si tratta altro che di una panzana. Basti pensare al fatto che per tenerla in piedi, storici e archeologi sono costretti a ignorare, fare finta che non esistano i grandi complessi megalitici europei: da Stonehenge in Inghilterra a Gosek in Germania, allo sterminato campo di menhir di Carnac in Bretagna, ai templi megalitici maltesi.
Col tempo, questa serie di articoli ha assunto una serie di significati diversi: consegnata a Una Ahnenerbe casalinga/L’eredità degli antenati tutta la parte propriamente archeologica ho cercato di rispondere all’interrogativo se davvero, come talvolta si dice in giro, gli orientali siano intellettualmente superiori a noi europei, e di fare i conti con i vari guru che talvolta hanno la pretesa di insegnarci una presunta saggezza. Tra la ventitreesima e la ventiquattresima parte c’è stato un “buco” di oltre due anni, non perché pensassi di aver sviscerato ogni aspetto della questione, ma perché la critica al misticismo orientale in nome della razionalità europea, che era la grossa questione rimasta sul tavolo, sarebbe probabilmente sembrata a molti “troppo illuminista”. Un argomento che mi sono sentito di riprendere dopo la serie dei sei articoli Scienza e democrazia, dopo aver chiarito innanzi tutto a me stesso e poi a voi che il razionalismo di matrice illuminista è altra cosa dalla razionalità, intriso di suggestioni e leggende, dal buon selvaggio rousseauiano al contratto sociale, e soprattutto da una fiducia immotivata nella natura umana, mentre una volta rimosse le sovrastrutture sociali e culturali, soprattutto il comunismo, partorito dal cervello di Karl Marx, forse l’erede più diretto dell’utopia rousseauiana si è incaricato di dimostrare che una volta rimosso tutto ciò che la civiltà ha costruito intorno all’uomo, una volta ridotto quest’ultimo alla sua sola natura biologica, quel che emerge, non è nient’altro che la belva, come hanno dovuto ad esempio constatare le popolazioni italiane sulla sponda orientale dell’Adriatico che nel 1943-45 hanno dovuto subire la ferocia slavo-comunista.
Un discorso che a questo punto mi pareva completato e chiuso, se non che il nostro Silvano Lorenzoni, che io ritengo uno dei pensatori più lucidi presenti oggi nei nostri ambienti, mi ha fatto omaggio di uno dei suoi libri più interessanti, Mondo aurorale. Qui il nostro autore usa il concetto di “ex Oriente lux” in un’accezione un po’ diversa da quella impiegata da me. Per Lorenzoni esso coincide soprattutto con il cristianesimo, questa vera e propria infezione mediorientale che due millenni or sono sradicò le tradizioni native europee e da allora ci ha assicurato duemila anni di disgrazie, compreso l’avvento del marxismo che non ne è altro che una versione laicizzata.
Un discorso fondamentalmente giusto, tranne forse per il fatto che la passione per l’orientalismo e l’esotismo in genere è una debolezza dello spirito europeo presente da sempre. Ho ricordato ad esempio che poco prima dell’avvento del cristianesimo si diffusero a Roma i culti di Iside e di Mitra. Quella che è la forza dell’animo europeo, lo spirito critico, il non essere ingabbiato in modi di pensare che non sono null’altro che il frutto dell’abitudine, è anche la sua debolezza.
Non ho allora parlato del fenomeno megalitico dell’area triveneta, non perché esso sia scarso o privo di motivi di interesse, ma al contrario perché essendo esso ricco, interessante e in gran parte sconosciuto al grosso pubblico, esso è stato nel 2020 l’oggetto di una trattazione a parte, anche perché in particolare il Friuli Venezia Giulia è la regione dove sono nato e vivo.
Veramente, considerando l’enorme quantità di materiale emerso da queste ricerche, l’ampiezza, l’estensione, la complessità del fenomeno megalitico nel nostro continente, Stonehenge, Newgrange, il cuore neolitico delle Orcadi, l’immenso campo di menhir di Carnac, l’antichissimo cerchio megalitico tedesco di Gosek, o perché no, la Stonehenge valdostana di Saint Martin de Corleans, c’è veramente da chiedersi come sarebbe possibile al riguardo la cecità degli archeologi ufficiali, quelli che ignorano tutto questo ma si esaltano per due cocci di vaso trovati in Medio Oriente, e continuano a raccontarci la solita favola della Mezzaluna fertile a base di Egizi, Sumeri e Babilonesi, se questa cecità non fosse voluta e coltivata.
Io penso sia giusto sfruttare con il massimo impegno tutti gli spazi disponibili: seminare quanto possibile, qualcosa germoglierà, però voi certamente capite che una conferenza all’anno in uno spazio limitato stretto tra un concerto di cornamuse e una degustazione di salsicce e crauti, non è proprio il massimo, e ovviamente non c’è la possibilità di aggiornamenti e approfondimenti, ma poiché vi ho sempre presentato sulle pagine di “Ereticamente” i testi di queste conferenze, non sarà privo d’interesse presentare qualche aggiornamento/approfondimento qui.
Naturalmente, voi capite che parlare di aggiornamenti quando queste conferenze hanno una tempistica annuale, non ha molto significato, ma occorre tenere conto del fatto che “la rete”, le ricerche attraverso la quale diventano il principale strumento di lavoro quando non si ha la possibilità di recarsi direttamente sul posto, è un mare magnum e qualcosa può sempre sfuggire per quanta accuratezza si usi nel prepararsi all’appuntamento annuale.
Occorre però dire in premessa che la leggenda dell’origine mediorientale della civiltà che continua a inquinare e falsare tutto l’insegnamento che ci viene impartito della storia antica, non manca di avere presa anche là dove meno ce l’aspetteremmo. A suo tempo, vi feci un esempio che a me sembra molto chiaro: fra tutte le culture europee, quella celtica è forse quella che è stata maggiormente penalizzata dallo “strabismo mediorientale” dei ricercatori e dei testi scolastici e divulgativi per la colpa di essere una cultura prettamente autoctona dell’Europa, posta nella parte occidentale del nostro continente e non a stretto contatto con il mondo mediterraneo da cui si poteva presupporre la provenienza di un influsso civilizzatore da oriente. Ci aspetteremmo quindi che gli esperti di cultura celtica o presunti tali, siano i meno affetti dallo strabismo mediorientale, eppure spesso non è così.
Se vi ricordate, ve ne avevo già parlato sulle nostre pagine. Anni fa, leggendo il programma di un festival celtico che si sarebbe tenuto da lì a qualche mese, vidi che fra le conferenze previste ce n’era una intitolata, se non ricordo male, Tutto ciò che dobbiamo all’Oriente, cioè quasi tutto. Scrissi agli organizzatori proponendomi per un dibattito in contraddittorio con il relatore di questa conferenza, nell’intento di chiarire che Tutto ciò che dobbiamo all’Oriente è quasi nulla, naturalmente non ebbi risposta.
Non mi pare però di avervi menzionato un caso ancora più grave, perché non riguarda l’ambito ristretto dei festival celtici, ma quello dei giornali ad ampia tiratura, almeno a livello locale.
Nel gennaio 2006 i giornali “Il Piccolo” di Trieste e “Il Messaggero Veneto” di Udine iniziarono la pubblicazione dei volumi di un’enciclopedia tematica del Friuli Venezia Giulia redatta in collaborazione con il Touring Club Italiano. Quello che ci interessa in particolare è il secondo volume dedicato alla storia della regione. A pagina 42 leggiamo:
“In questo periodo, come già sottolineato, la regione che si estende dal fiume Livenza alle Alpi Carniche era occupata stabilmente dai Celti, popolazione nomade di probabile origine mesopotamica”.
Ohibò, e da dove salta fuori una castroneria del genere? I Celti erano (e sono) fuori da ogni possibile dubbio una popolazione europea: le lingue celtiche fanno parte del ceppo occidentale delle lingue indoeuropee (ceppo del “centum), assieme alle lingue germaniche e romanze, al latino ed al greco; le loro più antiche sedi conosciute si trovano nella Gallia (odierna Francia), nelle Isole Britanniche e in Germania, e nulla, assolutamente nulla li ricollega alla Mesopotamia od al Medio Oriente.
Probabilmente, anche dietro questo errore così marchiano come dietro a tanti altri, c’è, almeno indirettamente, l’influenza del cristianesimo e della bibbia che hanno prodotto nella cultura europea un’enorme sopravvalutazione dell’importanza storica di tutto ciò che è mediorientale. Sarebbe ora di lasciar perdere simili chimere e di capire una buona volta che l’uomo europeo, della sua grande forza civilizzatrice non è debitore ad altri se non a sé stesso.
Tuttavia, il discorso a questo punto è ancora incompleto. A cosa si deve la sopravvivenza di questa visione tutto sommato anacronistica oltre che obiettivamente falsa della nostra storia antica tutta incentrata sul Medio Oriente, quando da secoli Copernico e Galileo ci hanno dimostrato che la bibbia non può essere considerata un testo scientifico?
Questo non è un caso, perché oltre all’Out Africa, la favola secondo la quale discenderemmo dai neri, la “luce da Oriente”, la negazione della centralità europea nelle origini della civiltà, complici sia il fascino malsano dell’esotismo, sia la persistenza della “tradizione” biblica, costituisce l’altra grande menzogna della democrazia circa la nostra storia più remota, menzogna che, come la prima, ha lo scopo di diminuire le resistenze psicologiche alla sostituzione etnica.
En passant sarà bene ricordare alcuni concetti che io ritengo fondamentali: quello che penso vada ritenuto il polo opposto all’orientalismo che ci viene tante volte propinato, non è “l’Occidente” americaneggiante e fracassone quanto vuoto di principi e di contenuti, che purtroppo oggi ha influssi devastanti sull’Europa, ma l’Europa stessa, appunto. Qualcuno ha detto, e lo trovo ineccepibile, che gli USA presentano il raro caso di una “cultura” che è passata dalla barbarie alla decadenza senza conoscere lo stadio intermedio della civiltà. Ricorderei anche che ho dedicato alcuni articoli su “Ereticamente” a esaminare La malattia Occidente.
L’Europa poi, sia ben chiaro, non va assolutamente confusa con la sedicente Unione Europea che non è altro che la confisca delle sovranità nazionali degli stati del nostro continente da parte di un’oligarchia finanziaria e parassita che è la sponda sul nostro suolo del dominio planetario occidental-mondialista, inteso a distruggere popoli, etnie e culture, ed in ultima analisi è l’Europa tanto quanto un tumore è l’uomo che ne è affetto. “Europa” dovrebbe significare la nostra grande cultura, la nostra tradizione storica, basarsi sui principi imprescindibili di sangue, spirito e suolo.
Rivendicare la nostra appartenenza europea, però, non deve necessariamente significare il disprezzo verso le altre culture. “L’Oriente”, l’abbiamo visto, non è un blocco unico. Le culture indiana ed estremo-orientale hanno rispetto a noi un’alterità che non va sottovalutata e rende sconsigliabili gli approcci superficiali sul tipo del movimento hippy degli anni ’70 imbevuto di cascami di induismo. Questo non toglie tuttavia il fatto che queste culture abbiano aspetti degni di considerazione e di rispetto.
Un discorso del tutto diverso andrebbe fatto per il Medio Oriente semitico, da esso nel corso dei secoli sono venuti all’Europa soltanto fattori di inquinamento culturale e di decadenza, compreso, anzi a cominciare proprio dal cristianesimo, e una delle ragioni della fragilità della cultura europea è proprio rappresentata dal fatto che la religione più diffusa in essa è qualcosa di sostanzialmente estraneo alle sue radici più profonde. Questo tuttavia a mio parere non è un motivo per abbracciare la sorella minore del cristianesimo, ancor più rozza e marcatamente non-europea, l’islam, anzi, vale esattamente il contrario.
Premesso tutto ciò, ci dedicheremo all’aggiornamento delle scoperte sul mondo megalitico che è stato l’oggetto delle conferenze da me tenute al Triskell triestino, e di cui vi ho poi presentato i testi su “Ereticamente”.
E’ un andare fuori tema? Direi proprio di no. I complessi megalitici come il “magico” triplice circolo inglese di Stonehenge o la tomba irlandese di Newgrange, più antichi di ottocento-novecento anni delle piramidi egizie di Giza, ma anche il poco conosciuto megalitismo dell’Europa continentale e quello ancor meno conosciuto e studiato che troviamo nella nostra Italia, costituiscono una delle prove più lampanti della priorità della civiltà europea, e francamente è difficile capire come mai gli archeologi pronti a entusiasmarsi per ogni coccio di vaso ritrovato fra le sabbie mediorientali, ignorino o considerino questi complessi monumentali con totale indifferenza, a meno che non si tratti di una scelta politica: gli Europei non devono ricordare la loro passata grandezza, in modo da subire più facilmente le vessazioni del presente, a cominciare dalla sostituzione etnica. In questa chiave, con la consapevolezza di fare un lavoro culturale ma anche politico, continuiamo il nostro compito di aggiornamento sul fenomeno megalitico ma anche su ogni altro aspetto rilevante della remota storia europea.
NOTA: Nell’illustrazione, un’immagine del lago Sadeosero nella penisola di Kola, non distante dalle note piramidi “Iperboree”, è forse stato questo lo sfondo delle vicende dei nostri più remoti antenati.
Foto copertina: web
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