12 Ottobre 2024
Religione

Ex Oriente lux, ma sarà poi vero? Ventesima parte – Fabio Calabrese

Questa volta, per introdurre adeguatamente il nostro argomento, sarà bene fare per prima cosa un passo indietro. Come sapete, io ritengo la tematica delle origini assolutamente essenziale ai fini di un discorso che non è soltanto culturale, ma politico. Occorre essere pienamente consapevoli del fatto che questo tipo umano, l’uomo europeo che oggi il potere mondialista vorrebbe spazzare via tramite l’immigrazione e il meticciato per lasciare il posto a un mondo piramidale di padroni circoncisi e schiavi meticci, rappresenta un unicum cui è strettamente connessa la presenza sul nostro pianeta e tra la nostra specie, di ciò che possiamo chiamare civiltà, e per la cui preservazione siamo oggi chiamati a batterci in ogni modo. Questo è un punto assolutamente non negoziabile, non condividerlo significa essere fuori dalla nostra Weltanschauung.

Nella mia collaborazione, ormai protratta nel tempo, con “Ereticamente”, ho esplorato questa tematica sotto una varietà di angolature e aspetti. Ricordo articoli o, più spesso, saggi suddivisi in varie parti (certe tematiche non sembra mai di averle abbastanza approfondite, anche perché qui occorre “smontare” i dogmi imposti da una “cultura” dominante che è pura mistificazione) Alla ricerca delle origini, Le origini dell’Europa, eccetera.

Naturalmente, il discorso Ex Oriente lux rientra in pieno in questa falsariga. Una leggenda disastrosa che occorre sfatare, è infatti che la civiltà europea sarebbe per intero tributaria di influssi orientali e mediorientali, idea molto di moda fra coloro che hanno il gusto dell’esotico, ma probabilmente incoraggiata da chi vuole creare in noi un senso di inferiorità allo scopo di renderci docili e manovrabili, e decidere del nostro destino senza che noi possiamo opporci o cerchiamo di farlo.

Sarà forse bene che vi sveli un particolare del quale non mi pare di avervi ancora resi edotti. Per me, la riscoperta dell’originalità e unicità della civiltà europea partì dalla riscoperta del mondo celtico, una delle culture più interessanti e originali dell’Europa antica, ingiustamente misconosciuta dagli storici convenzionali perché non riconducibile a influenze orientali e mediorientali, quella specie di passaparola con cui si suppone sarebbe arrivata la civiltà nel nostro continente, partendo dagli Egizi, attraverso i Mesopotamici, gli Ebrei, i Fenici, i Persiani, infine i Greci e i Romani, una concezione che continua a essere presentata come “la verità storica” dai libri di testo, ma che traballa immediatamente quando ci accorgiamo che i monumenti megalitici di Stonehenge e della piana di Salisbury, ma anche quelli dell’arcipelago maltese, sono più antichi delle piramidi.

Un “celtismo”, il mio, privo di elementi di rifiuto verso la tradizione classica. Noi siamo eredi del mondo ellenico e di Roma, della cultura celtica ma anche di quella germanica medioevale. Le nostre radici sono queste, nessun settarismo, ma una visione europea a tutto tondo.

Anni fa, mi colpì molto, e in maniera assolutamente non positiva, il fatto che a un festival celtico fosse presentata una serie di conferenze più o meno tutte centrate sul concetto di “quel che dobbiamo all’Oriente, cioè praticamente tutto”. Scrissi agli organizzatori una lettera indignata, proponendomi come contraddittorio, che ovviamente non fu presa in considerazione. I Celti sono stati a mio parere proprio quelli maggiormente bistrattati dalla concezione “orientalista” della storia. Che i vangeli non abbiano nessuna reale base storica, questo lo sappiamo, ma se a dire questo fosse il prete dall’altare, sono sicuro che percepiremmo la cosa come una stranezza. Durante la seconda guerra mondiale, i partigiani erano perlopiù delinquenti e feroci assassini. Lo sappiamo benissimo, ma non ci aspettiamo un comunicato dell’ANPI in tal senso.

A un certo punto, per semplificare la vita innanzi tutto a voi, poi a me, ho deciso di concentrare la tematica delle origini sotto un unico titolo, di una serie di articoli che doveva assumere l’aspetto di qualcosa di molto simile a una rubrica, Una Ahnenherbe casalinga; in fondo, quel che mi proponevo e mi propongo, su scala modesta, individuale, casalinga appunto, one man’s band, era precisamente lo stesso obiettivo che si era riproposta la Ahnenerbe nazionalsocialista, cioè identificare, chiarire, divulgare l’eredità degli antenati (questo è il significato letterale del termine).

Bene, l’uomo propone e Dio, o gli dei, o il fato, dispongono. Da parte vostra, sia tramite la redazione di “Ereticamente”, sia attraverso comunicazioni private, mi sono giunte sollecitazioni a non lasciar cadere Ex Oriente lux, pare che gli articoli di questa serie abbiamo ottenuto un particolare gradimento. In più, ho preso (volentieri) atto del sollecito in questo senso venutomi da un lettore di eccezione: Ernesto Roli, che è stato amico e collaboratore, e poi continuatore dell’opera del grande Adriano Romualdi, che mi scrisse:

“Certe scoperte (…) non sono mai state prese in considerazione dagli archeologi. Ciò in quanto molto antiche, certamente più antiche delle così dette civiltà orientali; quasi a voler ignorare una possibile Civiltà Europea risalente a diversi millenni avanti Cristo. Secondo una certa “vulgata” archeologica, non può esistere una Civiltà Europea più antica di quelle orientali, altrimenti crollerebbe il castello dei luoghi comuni, come ad esempio Ex oriente lux”.

Tanto per ricordarmi e ricordarci come certe tematiche non abbiano mai perso di attualità.

Senza venire meno al proposito di concentrare in Una Ahnenerbe casalinga le tematiche  archeologiche e non creare doppioni, la questione della presunta “luce da oriente” potrebbe essere interpretata anche in un altro senso, ossia la luce dell’intelletto. Negli Stati Uniti, dove da circa un secolo sono largamente diffusi i test di Q. I. per la misurazione dell’intelligenza, si è constatato che gli studenti di origine asiatica (mongolica), cinese e giapponese, ottengono punteggi significativamente, anche se di poco, più alti rispetto ai bianchi anglosassoni, anche se ENTRAMBI ottengono risultati nettamente superiori agli afroamericani. Questo ha generato la leggenda che gli orientali di stirpe mongolica siano più intelligenti delle persone di origine caucasica, a prescindere ovviamente dal fatto che possiamo anche pensare che gli yankee anglosassoni non siano precisamente il meglio, quanto a vividezza intellettuale, che possono esprimere i popoli caucasici. Tra “i bianchi”, poi, in genere, quelli ritenuti più intelligenti sono gli ebrei, non in base a rilevamenti statistici (ho il vago sospetto che non ci permetteranno mai di farne), ma al peso che costoro hanno assunto nella nostra cultura; basta snocciolare la litania di nomi come Marx, Freud, Einstein, Levi Strauss, eccetera, eccetera.

Non esiste un modo per sottoporre a un test di Q. I. tutti i sette miliardi di abitanti del nostro pianeta, ma forse c’è un modo più semplice per risolvere la questione, esaminare i contributi che gli uni e gli altri, mongolici ed ebrei, hanno dato alla civiltà umana, e vedere in che rapporto stanno con quelli portati dall’uomo caucasico.

Ho pensato che ne poteva venire un buon articolo, e alla fine ne sono usciti cinque, alla cui lettura vi rimando (le parti dalla quindicesima alla diciannovesima).

A questo punto, mi sembrava di dover davvero tirare i remi in barca e che su queste tematiche non vi fosse praticamente più nulla da dire, ma mi sono ricordato, (mi è stato ricordato, in realtà) di aver trascurato quello che è forse proprio l’aspetto più ovvio di tutta la questione: quell’orientalismo volgarizzato, a volte estremamente volgarizzato, mescolato con gli elementi di pensiero più ibridi, come quella religione inventata da un’attrice hollywoodiana che è la New Age, che da qualche anno è diffuso nell’ “Occidente” (termine estremamente ambiguo) e in Europa.

Negli anni ’70 eravamo un po’ tutti “orientaleggianti” magari su piani e con sensibilità diverse: chi leggeva La dottrina del risveglio, e chi si sentiva attratto da Sai Baba, Osho e altri guru da supermercato. Poi “la moda” è passata, ma per qualcuno, e forse nemmeno tanto pochi, si è sedimentata in una serie di convincimenti stabili.

Recentemente (28 dicembre 2015), il nostro Luigi Leonini ha segnalato un articolo apparso su “Sentieri di luce” il 26 dicembre dedicato a uno dei più longevi e immarcescibili di questi guru da supermercato, Osho, “I lati oscuri del pensiero positivo”.

Questa terminologia, “Pensiero positivo” con cui costui indica la propria “dottrina”, non deve generare confusione. Questo termine ha, nella storia della filosofia, un uso abbastanza ben definito: per i romantici significava la concretezza storica (famoso l’esempio di Schlegel che si convertì al cattolicesimo perché “più positivo” del protestantesimo). Per i positivisti significava la conoscenza concreta, cioè scientifica del reale. Per entrambi, sia pure con accezioni diverse, significa qualcosa di reale, concreto. Nel “pensiero” di Osho, esso significa tutt’altro, un ottimismo alla Pollyanna, voler vedere sempre e comunque il bicchiere mezzo pieno, nella convinzione che ciò che noi siamo è in ogni caso il prodotto della nostra mente, e non di una situazione reale di cui ci tocca prendere atto. In questo, tali fanciullaggini si avvicinano molto alle bambinesche elucubrazioni di un’altra famigerata setta, la cosiddetta Christian Science, famosa per aver provocato il decesso di molti suoi membri inducendoli a rifiutare le cure mediche con la convinzione di poter “superare” ogni malattia con la pura forza del pensiero.

Veramente, se non sapessimo quanto la gente è oggi ignorante, ci sarebbe da chiedersi come, con alle spalle tre secoli di ricerca scientifica e venticinque secoli di pensiero filosofico da Talete in poi, si possa credere a simili puerilità.

Quella che sotto un determinato angolo visuale è la grandezza dell’uomo europeo, sotto un altro è anche la sua fragilità, la tendenza ad andare “più oltre”, a sperimentare innovazioni, che contrasta con la vischiosità, la staticità di altre culture. Questa tendenza può, ad esempio, facilmente trasformarsi in suggestione per l’esotismo. Mi è venuto spesso da pensare, ad esempio, che una delle ragioni che hanno facilitato la penetrazione del cristianesimo nel mondo romano, sia stato il fascino dei culti esotici; prima del cristianesimo, grazie a esso, a Roma erano penetrati l’orfismo, il culto di Mitra e quello di Iside; sono che una volta che il cristianesimo ebbe messo piede, fu tutto un altro affare.

L’esotismo è una strana malattia di cui lo spirito europeo a volte si lascia contagiare. Un tempo, si attribuivano proprietà magiche alla mandragola, una pianta le cui radici hanno una rozza somiglianza con una figura umana. Oggi non crediamo più ai poteri della mandragola, ma molti fra noi sono disposti a credere alle proprietà miracolose del ginseng che in Asia è ritenuto una pianta magica per lo stesso motivo. Il fascino dell’esotico, la convinzione che gli orientali, solo perché tali, siano depositari di una conoscenza superiore, fanno velo alla razionalità.

Un personaggio di cui vi ho già parlato in questa serie di articoli, lo scrittore di fantascienza ebreo-russo-americano Isaac Asimov ironizzava sul concetto di “civiltà occidentale”, definendola “fondata su un vecchio libro orientale”, la bibbia. Bene, in questo caso, possiamo dire che avesse pienamente ragione, tranne per un particolare che sarà bene sottolineare una volta di più: “l’Occidente” NON E’ l’Europa. Questo termine che un tempo indicava l’Europa più le propaggini europee formatesi in seguito all’espansione coloniale dei secoli dal XVI al XIX, ha cambiato di significato a partire dalla seconda guerra mondiale, nel momento in cui nel contesto “occidentale” l’Europa è venuta a trovarsi in una posizione subordinata rispetto all’egemonia statunitense, e oggi implica né più né meno che il vassallaggio del nostro continente a qualcosa che le è estraneo.

Sarà il caso di richiamare lo splendido saggio di Sergio Gozzoli L’incolmabile fossato, pubblicato parecchi anni fa dalla rivista “L’uomo libero” ma ancora oggi facilmente reperibile in internet. È proprio ciò che apparentemente unisce i due mondi, dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico, ciò che più profondamente li divide, la “cultura” statunitense deriva da quella europea, ma gli USA hanno fondato la loro identità proprio su tutto ciò che l’Europa scartava per l’incompatibilità con la sua anima più profonda.

Sono concetti che oggi è più che mai necessario richiamare, poiché vediamo che ancora oggi, a più di un quarto di secolo, quasi trent’anni dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, della minaccia comunista dall’est, in una parte non piccola degli ambienti sedicenti “nostri” continua a persistere un atteggiamento “occidentalista” filo-americano che arriva a mostrare persino inconsulte simpatie per il sionismo.

È proprio Asimov a spiegarcelo: questo “occidentalismo” non è che l’altra faccia dell’orientalismo, una concretizzazione dello spirito anti-europeo.

Io vi avevo già spiegato, ma sarà bene tornarci sopra, cosa si nasconde dietro una terminologia che oggi sta disgraziatamente prendendo sempre più piede anche fra i nostri giovani, participi apparentemente innocui come “vincente” e “perdente”; l’idea che nella vita si vince o si perde, non per la combinazione di valore personale e circostanze esterne, ma per una sorta di destino intrinseco, che è in sostanza l’idea calvinista della predestinazione che informa la mentalità americana. Per essa, l’ammirazione o il rispetto per il valore sfortunato, dalle Termopili a El Alamein, l’idea che è proprio nelle circostanze tragiche che l’uomo dà la miglior prova di sé, sono qualcosa di incomprensibile. È il successo che giustifica A POSTERIORI la bontà della causa.

Questo è in tutto e per tutto un calco della mentalità ebraica: è il fatto che l’inganno riesce, che dimostra la liceità morale dell’ingannare, derubare, uccidere quegli stupidi gojm, che ciò è giusto e gradito “a Dio”.

Con la cristianizzazione, si è avviata un’ebraizzazione dell’Europa. Questo processo, bloccato nell’Europa medioevale soprattutto dallo spirito cavalleresco nel mondo germanico e dalla persistenza dell’eredità culturale romana in quello latino, è ri-esploso con la Riforma, soprattutto con il calvinismo, e un calvinista, faceva notare Silvano Lorenzoni, è un ebreo in tutto fuorché nel nome.

È l’anti-Europa che ci guarda con lo stesso ghigno minaccioso sia dalla sponda opposta del Mediterraneo, sia dall’altra sponda dell’Atlantico.

I recenti fatti di politica internazionale lo confermano nella maniera più tragica. Quanto meno l’intervento militare russo in Siria la scoperchiato il nido di serpi della serie di connivenze che esistono fra “l’Occidente” a guida USA e il fondamentalismo islamico, l’appoggio NATO ai terroristi dell’ISIS attraverso la Turchia è emerso sotto gli occhi di tutti. A qualcuno dovrebbe risvegliarsi la memoria, e ricordare ad esempio i legami tra Al Qaeda, la casa regnante saudita e gli USA, o il fatto che Saddam Hussein sia stato eliminato da quegli stessi che l’avevano “creato” in funzione anti-iraniana.

Fra tutti i “ricordi scomodi” che la propaganda mediatica cerca di rimuovere per avallare la bufala dello “scontro di civiltà” fra un “Occidente” a guida americana e sionista, e un mondo islamico di cui il primo ha attizzato il fondamentalismo, c’è proprio l’evento che ha costituito l’incipit della crisi internazionale contemporanea, ossia il conflitto nella ex Jugoslavia, che ha visto la coalizione fra NATO e islamici aggredire la Serbia; un attacco contro l’Europa che ha aperto le porte a un’islamizzazione dei Balcani quale non si era vista nemmeno sotto la dominazione ottomana.

Giusto per ricordarci questa drammatica realtà, è arrivato il 28 dicembre 2015 sul “Corriere della sera” un reportage di Andrea Pasqualetto dal titolo quanto mai eloquente: I villaggi della Sharia alle porte dell’Italia (e nel cuore dell’Europa). Non c’è soltanto l’islamizzazione di regioni come il Kossovo, con la cacciata della componente serba cristiana ortodossa, ma il fatto che all’interno della realtà islamica balcanica, un tempo relativamente moderata, oggi prevalgono le tendenze fondamentaliste, grazie anche all’infusione di grosse quantità di capitali ai gruppi estremisti da parte degli stati arabi, e questo porta la minaccia jihadista sempre più vicino alle nostre gole, alle nostre e di tutti gli Europei.

Contro questa minaccia, le attestazioni di superiorità morale, “non avrete il mio odio”, lasciano esattamente il tempo che trovano. L’Europa dovrebbe provvedere alla propria difesa, e per farlo dovrebbe prima di tutto liberarsi dalla dipendenza dagli Stati Uniti, che ci ha portati sull’orlo del suicidio aprendo le porte all’islamizzazione del nostro continente e prosegue l’opera di distruzione della nostra cultura attraverso il veleno mediatico hollywoodiano.

6 Comments

  • Daniele Bettini 20 Febbraio 2016

    ……della nostra razza non cultura!!!

    Segnalo anche questo ottimo sito di antropologia e archeologia controcorrente ad opera di un Russo, difatti è scritto in cirillico.

    http://www.dopotopa.com/pochemy_obitateli_zolotogo_veka_zhili_100_tysjach_let.html

    Perché gli abitanti della “età dell’oro” vivevano centomila anni?
    Longevità e Immortalità
    Home Site
    Contento di annunci di
    notizie e aggiornamenti
    In questo articolo voglio affrontare la questione, che provoca un crescente interesse in quasi tutti i lettori. Questa è – una durata incredibilmente lunga della vita degli abitanti della “età dell’oro” ( e qui ) – così grande che a malapena suscettibili alla nostra percezione.

    Secondo il sistema vedico, la durata della vita umana si riduce da 100.000 anni nel Satya-yuga a 10.000 anni nel Treta -yugu, 1.000 anni nel Dvapara-yuga, e infine 100 anni del Kali Yuga.

    Leggere circa la lunghezza del sud nella sezione ” la storia si oltre 150 milioni di ripetizioni. anni. sulle epoche mondo conformità e sud, e l’esistenza di vita intelligente nel carbone, Ordoviciano e altri periodi ‘

    Perché gli abitanti della “età dell’oro” vivevano centomila anni?

  • Daniele Bettini 20 Febbraio 2016

    ……della nostra razza non cultura!!!

    Segnalo anche questo ottimo sito di antropologia e archeologia controcorrente ad opera di un Russo, difatti è scritto in cirillico.

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    Secondo il sistema vedico, la durata della vita umana si riduce da 100.000 anni nel Satya-yuga a 10.000 anni nel Treta -yugu, 1.000 anni nel Dvapara-yuga, e infine 100 anni del Kali Yuga.

    Leggere circa la lunghezza del sud nella sezione ” la storia si oltre 150 milioni di ripetizioni. anni. sulle epoche mondo conformità e sud, e l’esistenza di vita intelligente nel carbone, Ordoviciano e altri periodi ‘

    Perché gli abitanti della “età dell’oro” vivevano centomila anni?

  • nota1488 21 Febbraio 2016

    Al contrario, è “l’Oriente” che deve tutto ai Celti, e anche i Latini, come tutti gli Italici, erano una popolazione celtica dell’Europa centrale. I Fenici erano anch’essi di origine celtica, ma per convenienze “commerciali” adottarono una lingua semitica. Analisi del DNA di alcune mummie dell’aristocrazia egizia hanno rivelato un aplogruppo tipico occidentale R1b. I Sumeri adoravano il sole; si dice che gli Sciti avessero molte somiglianze con i Celti. I Germani stessi erano quasi indistinguibili da loro se non per la sponda del Reno che abitavano. I Berberi presentano chiari elementi razziali e culturali “atlantici”.
    Quelli che oggi conosciamo come “Celti”storicamente definiti, ovvero tutte quelle tribù frammentate spezzate da Cesare, sono solo un barlume ultimo di quella che fu la Civiltà Celtica, unica erede diretta delle Età precedenti. Ultimamente è stata messa in dubbio persino l’origine indoeuropea delle lingue celtiche, che potrebbero aver ricevuto qull’influsso in seguito al contatto con tribù indoeuropee molto più recenti.
    Indagare seriamente sul retaggio celtico di tutta la civiltà dell’Europa e del bacino del mediterraneo andrebbe chiaramente a intaccare le bugie mondialiste sull’inesistenza delle razze, e anche la storia comunemente accettata delle “Civiltà Indo-europee”, quindi fa molto più comodo il “celtismo” di tipo new age e wiccan.

  • nota1488 21 Febbraio 2016

    Al contrario, è “l’Oriente” che deve tutto ai Celti, e anche i Latini, come tutti gli Italici, erano una popolazione celtica dell’Europa centrale. I Fenici erano anch’essi di origine celtica, ma per convenienze “commerciali” adottarono una lingua semitica. Analisi del DNA di alcune mummie dell’aristocrazia egizia hanno rivelato un aplogruppo tipico occidentale R1b. I Sumeri adoravano il sole; si dice che gli Sciti avessero molte somiglianze con i Celti. I Germani stessi erano quasi indistinguibili da loro se non per la sponda del Reno che abitavano. I Berberi presentano chiari elementi razziali e culturali “atlantici”.
    Quelli che oggi conosciamo come “Celti”storicamente definiti, ovvero tutte quelle tribù frammentate spezzate da Cesare, sono solo un barlume ultimo di quella che fu la Civiltà Celtica, unica erede diretta delle Età precedenti. Ultimamente è stata messa in dubbio persino l’origine indoeuropea delle lingue celtiche, che potrebbero aver ricevuto qull’influsso in seguito al contatto con tribù indoeuropee molto più recenti.
    Indagare seriamente sul retaggio celtico di tutta la civiltà dell’Europa e del bacino del mediterraneo andrebbe chiaramente a intaccare le bugie mondialiste sull’inesistenza delle razze, e anche la storia comunemente accettata delle “Civiltà Indo-europee”, quindi fa molto più comodo il “celtismo” di tipo new age e wiccan.

  • Fabio Calabrese 29 Febbraio 2016

    Nota 1488: Dici cose sulle quali concordo largamente. Indagare seriamente sul nostro antico retaggio, è precisamente ciò che mi sono proposto di fare nei miei articoli, in particolare “Ex Oriente lux” e “Una Ahnenerbe casalinga” e, guarda un po’, cadono in pezzi tutte le bugie mondialiste sull’inesistenza delle razze e sulla non centralità dell’Europa e dell’uomo indoeuropeo nella civiltà umana.

  • Fabio Calabrese 29 Febbraio 2016

    Nota 1488: Dici cose sulle quali concordo largamente. Indagare seriamente sul nostro antico retaggio, è precisamente ciò che mi sono proposto di fare nei miei articoli, in particolare “Ex Oriente lux” e “Una Ahnenerbe casalinga” e, guarda un po’, cadono in pezzi tutte le bugie mondialiste sull’inesistenza delle razze e sulla non centralità dell’Europa e dell’uomo indoeuropeo nella civiltà umana.

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