Potrà sembrare strano che io abbia deciso di riprendere in mano questa rubrica a due anni di distanza, (la ventitreesima parte è apparsa sulle pagine elettroniche di “Ereticamente” nel settembre 2016), tornare a trattare una tematica che sembrava conclusa, soprattutto dopo aver preso la decisione di raccogliere tutto ciò che riguarda l’eredità degli antenati sotto il titolo di Una Ahnenerbe casalinga. (ricordo che Ahnenerbe, termine che diede il nome alla Società del Terzo Reich, e di cui il mio lavoro non è che una modesta continuazione “fatta in casa”, significa appunto “eredità degli antenati”).
Tuttavia, c’è un motivo preciso per questo. Come avrete avuto modo di vedere, e penso senz’altro ricorderete, nei ventitré articoli precedenti (che non sono certo pochi anche per il sottoscritto che ama le trattazioni di ampio respiro), ci siamo soffermati soprattutto sulle acquisizioni materiali della civiltà europea che, sotto ogni riguardo, si è sempre dimostrata più creativa, più originale, molto meno dipendente da influssi orientali di quanto generalmente non si pensi, dai grandi complessi megalitici europei, che precedono di millenni le piramidi egizie e le ziggurat mesopotamiche, alla priorità europea nell’allevamento, nella scoperta dei metalli, nell’invenzione della scrittura, fino alla stampa, la bussola e le armi da fuoco.
Un punto, però, non poco importante, sul quale non ho insistito, è l’originalità del pensiero europeo, Lo spirito dell’Europa nei confronti dell’Oriente, vicino, medio o remoto che sia. E il motivo è semplice, il timore che quanto avevo da dire al riguardo suonasse eccessivamente illuministico.
Per poter affrontare la questione senza incorrere in equivoci o magari in polemiche inutili, era prima necessario mettere dei punti fermi molto chiari, e io ora credo di averlo fatto, in particolare nella sesta parte di Scienza e democrazia, uno scritto che vi invito a tenere sott’occhio.
Riassumendo in rapida sintesi: nei nostri ambienti perlopiù prevale un atteggiamento di anti-scientismo e di anti-razionalismo, perfettamente giustificati alla luce del fatto che “la scienza”, “il pensiero”, “la cultura” democratici, dalla paleoantropologia dell’Out of Africa, all’antropologia culturale di Claude Levi Strauss , alla psicanalisi freudiana, sono altrettante armi puntate contro la nostra visione del mondo.
MA, ed è un ma grosso come una montagna, questa “scienza democratica” non rispetta affatto i principi della ricerca scientifica secondo il metodo galileiano: la teoria sviluppata a partire dall’osservazione e messa alla prova con l’esperimento. Pensiamo alla psicanalisi: niente esperimenti, niente protocolli sperimentali, niente gruppi di controllo, solo la parola indiscussa e indiscutibile del “maestro”, del guru Sigmund Freud. La cosa è talmente evidente da essere stata denunciata anche dagli esponenti della “cultura ufficiale”, si veda Congetture e confutazioni di Karl Popper, e soprattutto l’ottimo Il crepuscolo di un idolo, smascherare le favole freudiane di Michel Onfray. Non parliamo della paleoantropologia dell’Out of Africa. Il genere homo può anche avere remote origini africane come – forse – tutto il ceppo degli ominidi, ma che la specie sapiens alla quale noi apparteniamo, sia nata in Africa poche decine di migliaia di anni fa, è una congettura non supportata da nulla e creata al solo scopo di negare l’esistenza delle razze umane. Non parliamo dell’archeologia, dove gli stessi archeologi che si entusiasmano e annunciano la scoperta di “una nuova civiltà” ogni volta che trovano un coccio di vaso in Medio Oriente, ignorano bellamente i grandi complessi megalitici europei.
Se questa è la situazione della scienza, immaginatevi quale sia quella della filosofia, che allo stato attuale si può considerare una collezione di pregiudizi. Pensiamo alla ricorrente accusa di irrazionalismo contro il grande Friedrich Nietzsche: cosa c’è di irrazionale nell’avere non solo respinto la morale cristiana, ma nell’aver chiaramente dimostrato che essa non è l’unico tipo di morale possibile? O cosa dovremmo pensare di un Julien Benda che mentre denunciava Il tradimento dei chierici, cioè il distacco sempre più marcato fra gli intellettuali e le classi popolari, non si accorgeva che erano proprio gli intellettuali di sinistra, presto seguiti ai rispettivi partiti, a tradire le classi lavoratrici? Cosa dovremmo dire in ultima analisi di un pensiero che è giunto a definirsi da sé pensiero debole?
Occorre poi non dimenticare che esistono anche un anti-scientismo e un irrazionalismo di sinistra, frutto della miscela di umori hippy e paradisi artificiali con l’ammirazione per le culture extraeuropee e tutto ciò che non è europeo e all’Europa può essere contrapposto.
Questo sfondo concettuale va tenuto presente, e avere chiaro che porre nella sua giusta luce la razionalità dell’uomo europeo che deriva alla filosofia greca, non significa fare alcuna concessione a sinistra, e nemmeno all’illuminismo, che non ha dato luogo a una visione del mondo realmente razionale, ma ha sostituito i miti tradizionali europei con favole infondate come il buon selvaggio di rousseauiana memoria, il contratto sociale, l’innata bontà dell’essere umano e soprattutto il cosmopolitismo, come se ogni essere umano non fosse il prodotto di una cultura, di un tempo storico e soprattutto di un’eredità genetica.
Premesso tutto questo, noi davvero non ci dobbiamo stupire di ritrovare in campo spirituale quella stessa volontà di minimizzazione degli apporti che l’Europa ha dato all’incivilimento umano, che abbiamo già visto altrove. Anche qui, forse più qui che in altri campi, pullula una passione per l’esotismo che fa molto comodo a chi vuole addormentare la coscienza degli europei, al punto che possiamo pensare che essa sia in buona parte costruita ad arte.
Cerchiamo di capire bene un concetto fondamentale: credere in qualcosa non perché ci è stato raccontato dai nostri genitori quando eravamo bambini, o ci è stato detto da una fonte ritenuta autorevole o magari perché è scritto in un libro ritenuto sacro, ma perché ha una discreta probabilità di corrispondere alla realtà dei fatti, e prima ancora cercare di stabilire criteri che permettano di distinguere il vero dal falso, sono atteggiamenti talmente connaturati in noi, persone di formazione e cultura europea, che stentiamo a renderci conto del fatto che in culture diverse dalla nostra essi non sono minimamente presenti.
Questo atteggiamento di fondo che caratterizza l’homo europeus ma non gli appartenenti ad altre culture, e che è ciò che nel senso più lato del termine possiamo chiamare filosofia, è un’eredità, e non la parte minore dell’eredità che abbiamo ricevuto dall’antica Grecia.
Naturalmente, e sarebbe strano che così non fosse, i soliti ammiratori dell’Oriente e di tutto ciò che esotico, si sono sforzati di trovare le origini della filosofia nel pensiero orientale. Le argomentazioni di costoro sono state “bruciate” da Giovanni Reale e Dario Antiseri in un bel brano nell’introduzione della loro storia della filosofia. Vale la pena di riportarlo:
“Naturalmente non sono mancati, specialmente presso gli orientalisti, tentativi di far derivare la filosofia dall’Oriente, soprattutto sulla base di generiche analogie constatabili tra le concezioni dei primi filosofi greci e certe idee proprie della sapienza orientale. Tuttavia, nessuno è riuscito in questo intento, e la critica rigorosa, già a partire dalla fine del secolo scorso, ha adunato una serie di prove veramente schiaccianti contro la tesi della derivazione della filosofia dei Greci dall’Oriente.
a) In epoca classica nessuno dei filosofi né degli storici greci fa il ben che minimo accenno ad una presunta derivazione della filosofia dall’Oriente.
b) È storicamente dimostrato che i popoli orientali con i quali i Greci vennero a contatto possedevano, sì, una forma di “sapienza” fatta di convinzioni religiose, miti teologici e “cosmogonici”, ma non una scienza filosofica basata sulla pura ragione (sul logos come dicono i Greci). Possedevano cioè un tipo di sapienza analogo a quello che i Greci stessi possedevano prima di creare la filosofia.
c) In ogni caso, noi non siamo a conoscenza di qualche utilizzazione da parte dei Greci di scritti orientali, né di traduzioni dei medesimi. Prima di Alessandro, non ci risulta che abbiano potuto giungere in Grecia dottrine degli Indiani o di altri popoli dell’Asia, né che all’epoca in cui sorse la filosofia in Grecia esistessero Greci in grado di capire un discorso di un sacerdote egiziano o di tradurre libri egiziani.
d) Posto anche (ma è da dimostrare) che qualche idea dei filosofi greci abbia precisi antecedenti nella sapienza orientale, e che da questa sia potuta derivare, non cambierebbe la sostanza del problema che stiamo discutendo. Infatti, dal momento in cui la filosofia nacque in Grecia, rappresentò una nuova forma di espressione spirituale, tale che, nell’istante stesso in cui accoglieva i frutti di altre forme di vita spirituale, li trasformava strutturalmente, dando loro una forma rigorosamente logica”.
Possiamo osservare che la filosofa nasce nell’angolo orientale dell’ecumene greco, in Asia Minore con la scuola ionia, per poi spostarsi con un curioso movimento pendolare in Italia, nella Magna Grecia coi pitagorici, e solo in un ulteriore momento raggiungere la Grecia vera e propria. Questo, a mio parere, non significa che la filosofia possa derivare da dottrine orientali o estranee al mondo greco, ma il fatto che il contatto con popoli in possesso di dottrine e credenze diverse dalle loro, possa aver stimolato questi pensatore greci a cercare di stabilire delle vie diverse e più oggettive nella ricerca del vero, rendendosi conto che le loro credenze potevano sembrare ad altri popoli estranee e assurde quanto quelle di questi ultimi parevano a loro.
Il pensiero indiano ed estremo orientale (induismo, buddismo, taoismo, confucianesimo), sia pure rispettabilissimo e non privo di motivi di interesse, non può essere considerato filosofia se non impropriamente, mancano sia il senso della ricerca della verità, sia la fiducia nella ragione umana: vi sono piuttosto l’idea di un’illuminazione improvvisa percepita da un essere speciale (buddismo) o quella di una rivelazione primordiale da conservare e trasmettere.
Con tutto ciò, siamo comunque a un livello considerevolmente al disopra della mentalità abramitica mediorientale da cui nascono “le tre grandi” religioni: ebraismo, cristianesimo, islam. Qui siamo nel fideismo puro che è l’esatto contrario della mentalità ellenica e europea. (l’Europa, come sappiamo, per una serie di circostanze storiche disgraziate, è stata “infettata” dal cristianesimo, in cui però è sempre rimasto un fondo mediorientale, non-europeo, che oggi “esplode” in modo evidente con le Chiese cristiane schierate per l’invasione allogena e la sostituzione etnica. Si potrebbe anche ironizzare sul fatto che l’ebraismo con meno di una quindicina di milioni di adepti sia considerato “una grande” religione, mentre l’induismo e il buddismo con rispettivamente oltre un miliardo e mezzo miliardo di seguaci, invece no).
L’unica vera filosofia extraeuropea vera e propria, possiamo dire, è stata la filosofia “araba” medioevale, ed è una storia interessante quanto mal compresa. Durante il periodo califfale, l’impero arabo si espanse sui territori del Vicino Oriente che erano appartenuti a Bisanzio. Qui venne a contatto con la cultura greca. Tradussero Aristotele in arabo e se ne innamorarono. Platone no, fu ignorato e schifato, e anche questo è significativo, nel pensiero del grande discepolo di Socrate ci deve essere qualcosa che proprio con la mentalità islamica non è conciliabile, forse lo stesso concetto di filosofia come lui la definiva, ossia ricerca della sapienza: il buon mussulmano non deve ricercare nulla, deve credere e basta.
Noi abbiamo avuto alcuni filosofi aristotelici “arabi”, i più importanti dei quali sono stati Avicenna e Averroè, ma se andiamo a vedere le loro biografie, scopriamo che si tratta regolarmente di persiani o di spagnoli, il che in pratica significa che la mentalità filosofica, un atteggiamento diverso dal fideismo, rimane estraneo all’arabo “vero”, semita. Dopo la morte di Averroè, le autorità islamiche non ebbero difficoltà a sopprimere la filosofia, da quel corpo estraneo al mondo islamico che essa era.
Per far passare questo concetto, bisogna ignorare deliberatamente parecchie cose, prima di tutto che questa “filosofia araba” era un prestito che veniva all’Europa stessa. Aristotele, fino a prova contraria, era un greco e un europeo, poi l’estrema facilità che hanno avuto gli islamici a sopprimerla una volta scomparso Averroè, dimostrando che era qualcosa che non si era radicato, né – io penso – aveva la possibilità di radicarsi in quel corpo di fideismo monolitico che è l’islam. E che dire “dell’allergia” islamica per Platone, o del fatto che fra questi filosofi “arabi” non si trova un vero arabo a cercarlo col lanternino, ma solo indoeuropei arabizzati?
Io vi ho più volte espresso il concetto che il polo opposto “all’Oriente” da cui non sembra in ultima analisi, che sia venuta una luce di cui avevamo bisogno per illuminarci, non è “l’Occidente”, ma precisamente la nostra Europa, che se per “Occidente” intendiamo gli Stati Uniti e l’egemonia americana sul nostro continente stabilitasi a seguito della seconda guerra mondiale un tempo – forse – giustificata dalla minaccia sovietica, ma oggi non più, questo non rappresenta nulla in cui ci possiamo riconoscere, ma anzi una realtà estranea e nemica. Ricorderete che a questo proposito, anche per fare una sorta di pendant a Ex Oriente lux, ho pubblicato su queste pagine tre articoli dedicati a La malattia Occidente.
In questo, non ritengo di aver fatto nulla di assolutamente originale, ma di essermi inserito in un filone di riflessione da tempo presente nei nostri ambienti, e al riguardo non è possibile non citare una volta di più lo splendido saggio L’incolmabile fossato, pubblicato da Sergio Gozzoli su “L’uomo libero” parecchi anni or sono, ma ancora reperibile in internet.
Bene, allora adesso abbiamo un’occasione ulteriore per verificare se questo fossato incolmabile, questo abisso esiste anche in campo intellettuale. Da questo punto di vista, noi possiamo facilmente vedere che una cosa come la filosofia si può dire che proprio non esista negli Stati Uniti, nella cultura americana, tranne che per un sottilissimo strato acculturato, socialmente “alto” di formazione essenzialmente europea, ma anche qui possiamo vedere che la filosofia dominante è il pragmatismo, che rappresenta l’unica forma di filosofia che gli Stati Uniti abbiano mai prodotto. Cosa vuol dire pragmatismo? In estrema sintesi: “non è vero quel che è vero, ma è vero quel che è utile”.
Noi dobbiamo essere ben consapevoli che difendere l’Europa significa anche difendere un tesoro di cultura, di conoscenza, di saggezza ineguagliato nella storia umana, ma dobbiamo essere altrettanto consapevoli che esso andrà irrimediabilmente perduto se la base etnica della cultura europea – i popoli che l’hanno creata – sarà compromessa.
NOTA: Nell’illustrazione, il celebre affresco La scuola di Atene di Raffaello, ideale rappresentazione della filosofia greca.