La Massoneria e la caduta del Fascismo
Il Gran Consiglio del Fascismo era diventato organo di rilevanza costituzionale nel 1928, quale coordinamento delle attività di regime. Come è stato chiarito da Costantino Mortati (1), infatti, il PNF era diventato organo costituzionale “in senso materiale” onde il suo organo di coordinamento aveva rilevanza costituzionale indipendentemente dalla collocazione sistematica della sua disciplina normativa. La sempre maggiore preminenza della figura del Duce ne aveva nella prassi esautorato le funzioni (2). Tuttavia, fino alla vigilia della guerra, l’organo si era riunito con una certa regolarità. Dopo quasi quattro anni d’inattività (l’ultima riunione si era tenuta il 7 dicembre 1939), il Gran Consiglio si riunisce alle ore 17 del 24 luglio Al termine di una seduta – fiume, alle ore 2,30 circa del 25 luglio, 19 gerarchi su 27 votano un ordine del giorno presentato da Dino Grandi, che sul presupposto che «è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali», invita il Governo a ripristinare anche di fatto i poteri statutari del re. Mussolini si reca in udienza dal re a Villa Savoia e, all’esito dell’udienza, viene arrestato dai carabinieri. È la fine del regime fascista (3). Quale ruolo gioca la massoneria in questo epilogo del Fascismo regime?
I sostenitori del “complotto massonico”, riprendendo la tesi del Fascismo come creatura della massoneria, non hanno dubbi: come il creatore del Golem la Massoneria, che aveva creato il Fascismo, ora lo distrugge. Ma nel caso del 25 luglio 1943, i “complottisti” sono in buona compagnia. Sia da parte fascista, sia da parte massonica, il tentativo di accreditare il “colpo di mano” del 25 luglio come epilogo di un “complotto massonico” trova ampio consenso. Alcune delle argomentazioni sono davvero deboli: rilevando che dei 19 gerarchi che votano l’o.d.g. Grandi 13 sono massoni (4), il “colpo di mano” della Massoneria sarebbe facile da dimostrare. Dei 13 indicati come massoni, però, solo di alcuni (Bottai, De Marsico, Acerbo, lo stesso Grandi) si ha notizia certa di una pregressa iniziazione, ma non di una loro continuazione dell’azione massonica dopo lo scioglimento delle logge. Evidentemente, da parte fascista (5) si ripesca il vecchio semel abbassemperabbasche aveva caratterizzato il sospetto continuo dei fascisti intransigenti verso i camerati provenienti dalle fila della Massoneria, compresi – a quanto pare – quelli del Duce sul suo avversario interno di sempre, Italo Balbo, che sarebbe stato definito da Mussolini «il porco democratico che fu oratore della Loggia Girolamo Savonarola di Ferrara» (6). Ma, che sia un’operazione semplicistica, è dimostrata dal fatto che vota contro l’ordine del giorno Grandi un altro avversario irriducibile del Duce entro il PNF, l’ex massone Roberto Farinacci (7) che morirà in camicia nera, fucilato dai partigiani, dopo aver aderito alla RSI, così sarà fucilatodai partigiani un altro ex massone, Achille Starace, fedelissimo del Duce dalla prima all’ultima ora e accanto al Duce appeso nella macelleria messicana di piazzale Loreto.
Tuttavia, a sostegno della tesi della congiura massonica alla base del voto del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 esistono altri elementi, di maggior consistenza. Giovanni Preziosi, ossessionato dalla sua tesi del complotto internazionale plutocratico, giudaico e massonico, il 18 luglio 1943 scrive al Duce: «La seduta del Gran Consiglio porterà il suicidio del fascismo» (8). Dopo l’arresto del Duce, vola in Germania, dove alla radio nazionale, in una trasmissione in italiano, accusa la massoneria di essere all’origine della caduta del Fascismo (9). Sono note le convulse vicende successive al voto del Gran Consiglio: Badoglio viene nominato Capo del Governo, il Duce, internato prima a Ponza, poi alla Maddalena, viene infine tenuto prigioniero a Campo Imperatore. Badoglio prepara la resa, nonostante in un proclama letto alla radio alle 22,45 del 25 luglio 1943 dichiari “La guerra continua” (10). L’armistizio, stipulato il 3 settembre a Cassibile, viene reso noto l’8 successivo. Il 13 ottobre il Regno d’Italia dichiara guerra alla Germania. Il Duce, liberato dai tedeschi il 12 settembre 1943, riappare sulla scena politica quando si credeva definitivamente “defunto” (11). annuncia la fondazione di un nuovo stato repubblicano. La prima riunione del consiglio dei ministri della neonata repubblica si tiene il 23 settembre a Roma, ma viene deciso lo spostamento della capitale in Alta Italia (12).
Ma torniamo alla tesi della “congiura massonica”. Il 15 settembre 1943, su “Vita Italiana”, Preziosi rincara la dose: riprende il Times del 20 agosto 1939 (13), sul colloquio tra il Gran Maestro delle United Grand Lodge of England,“infiora” il racconto con particolari del tutto inventati (14). E fa scaturire da questo racconto la prova inconfutabile che la Massoneria da sempre trama contro l’Italia fascista. In Germania, Preziosi continua nella sua fervida pubblicistica, a cui aggiunge memoriali consegnati ai gerarchi nazionalsocialisti. Utilizza radio Monaco (propagata anche in Italia) per denunziare quelle che egli ritiene infiltrazioni massoniche presenti nella RSI (15). Tornato in Italia, Preziosi redige un Memoriale che invia a Mussolini a fine gennaio 1944 (16). Il Memoriale è incentrato, soprattutto, sulla figura di Badoglio, «il centro della massoneria nell’esercito» (17), che avrebbe costruito la sua carriera militare utilizzando l’appartenenza alla massoneria (18), che avrebbe la responsabilità della sconfitta di Caporetto (19), rovesciando, grazie all’appoggio della Massoneria, la responsabilità sul generale Capello; che avrebbe manovrato per l’insuccesso della manovra dell’Asse in Grecia (20). L’azione massonica avrebbe cagionato la caduta del Fascismo, all’azione sabotatrice della Massoneria sarebbero dovute le sconfitte militari dell’Asse. E nella RSI sono facilmente individuabili le infiltrazioni massoniche, a cominciare dal Segretario del PFR Alessandro Pavolini (21). Nonostante qualche storico affermi «Nessuno prende sul serio un paranoico» (22), Preziosi viene preso in seria considerazione dai tedeschi, tanto che Göbbels, a cui Preziosi consegna un memoriale già nel novembre 1943 commenta amaramente: «… mi sono stati consegnati memoriali intorno al Duce ed al suo entourage scritti dal prof. Preziosi. Sono molto scoraggianti. A dispetto dei disastri subiti, il Duce non ha appreso nulla Si circonda ancora di traditori, antichi massoni e filogiudei» (23). Ma la tesi della “congiura massonica” all’origine del colpo di Stato del 25 luglio serpeggia anche nella RSI. Assodato, dunque, che sia i fascisti, sia i massoni, attribuiscono la caduta del Fascismo ad un complotto di massoni, cerchiamo di capire la fondatezza di questa tesi. Il voto del Gran Consiglio non giunge certo come un fulmine a ciel sereno.
Durante le operazioni belliche, non era mai cessata l’attività diplomatica delle Cancellerie, non solo delle potenze belligeranti, ma anche di Paesi terzi. Particolarmente attiva la diplomazia vaticana (24). Dopo la morte di Pio XI, il papa del Concordato, mentre già si agitano i venti di guerra, ascende al soglio di Pietro il cardinale Eugenio Maria Giuseppe Pacelli, che assume il nome di Pio XII. È subito chiaro che la politica estera del Vaticano sarebbe stata nelle mani di Luigi Maglione, già Prefetto della Congregazione per il concilio, Domenico Tardini e Giovanni Battista Montini, questi ultimi già collaboratori di Pacelli quando era Segretario di Stato (25). Ma è subito chiaro che a tenere veramente le redini della diplomazia della Chiesa è Montini (26). Montini ritiene sbagliata la scelta di Benedetto XV nel 1917, della “Lettera del Santo Padre Benedetto XV ai capi dei popoli belligeranti” della I guerra mondiale (27), che aveva sortito l’effetto propagandistico opposto a quello propostosi dal Papa, in quanto ogni paese belligerante aveva interpretato la lettera come adesione alle tesi dello schieramento avverso (28). Sceglie, invece, un’altra strada: quella delle trattative segrete con tutte le parti belligeranti (29). Ad avviso della storiografia “orientata” di parte cattolica (30) la scelta diplomatica fu indirizzata prima ad evitare che la guerra scoppiasse e poi a renderla il più possibile “umana”, rifuggendo dalle offerte degli Alleati in senso antifascista e dell’Asse in senso anticomunista. In più, la qualcuno trova un presupposto “ideologico” a tale indirizzo della diplomazia vaticana: l’opera di uno dei fondatori di “Civiltà Cattolica”, il gesuita Prospero (in religione Luigi) Taparellidi Montanera e d’Azeglio (31), considerato uno dei principali teorici di un’organizzazione internazionale per la composizione dei conflitti tra Stati. Riteniamo di non aderire a tale tesi.
Montini aveva già al suo attivo delle operazioni contro il regime fascista. Fu incaricato nel 1931 di portare in gran segreto alle nunziature di Monaco e Berna l’Enciclica di Pio XI “Non abbiamo bisogno”, emanata dopo lo scioglimento delle Associazioni Cattoliche da parte del Regime Fascista. L’operazione era finalizzata a disseminare per tutta Europa l’enciclica, in attuazione di quello che Achille Ratti sosteneva in essa: «Noi e questa Santa Sede, per mezzo dei Nostri rappresentanti, dei Nostri Fratelli di Episcopato, veniamo dicendo e rimostrando dovunque gli interessi della Religione lo richiedono, e nella misura che giudichiamo richiedersi, massime dove la Chiesa è realmente perseguitata» (32). D’altronde, la formazione culturale di Montini è chiaramente antifascista. Lo scioglimento delle Associazioni cattoliche da parte del regime era stato determinato soprattutto dall’indirizzo impresso da Montini alla FUCI, l’associazione degli studenti universitari cattolici, e già il 4 novembre 1926 aveva scritto ai familiari: «I governi precedenti avevano la paura del coraggio; questo ha il coraggio di mostrarsi pauroso; è la propaganda del sospetto; è la smania d’individuare avversari; è la logica della rivoluzione. Il fascismo morirà d’indigestione, se così continuerà, e sarà vinto dalla propria prepotenza. Quello che è doloroso è che il popolo italiano venga così a ricevere la esiziale educazione della volubilità e dell’avventura e che sia continuamente eccitato non a contenersi nell’ambito del diritto ma a sfrenarsi nella brutalità improvvisa degli odi di parte» (33). Lo stesso Pacelli, germanofilo e fine conoscitore della lingua e cultura germanica, aveva assunto posizioni acerrimamente antinaziste (34), nonostante fosse il firmatario del Concordato tra Germania e Chiesa Cattolica del 20 luglio 1933 ed è considerato l’ispiratore della durissima enciclica di Pio XI contro il governo nazionalsocialista, redatta in tedesco il 14 marzo 1937: “Mitbrennender Sorge” (“Con bruciante inquietudine”) (35), ritenuta dal responsabile tedesco per gli Affari Religiosi, l’Obersturmbannführer Albert Hartl, una sorta di incitamento alla rivolta mondiale contro il Terzo Reich (36). Il filogermanesimo culturale di Pacelli trae in inganno Hitler e Mussolini al momento della morte di Pio XI. Essi, infatti, desiderano l’elezione al soglio di Pietro di un elemento filotedesco, attese le posizioni anti hitleriane del papa defunto. Le Cancellerie di Francia e Gran Bretagna tessono la loro tela in favore di Pacelli, mentre il controspionaggio Vaticano riesce a neutralizzare il tentativo di Hartl di condizionare il conclave verso Maurilio Fossati, di Torino, ed Elia dalla Costa, di Firenze, a quanto pare anche ricorrendo alla corruzione (37). Pacelli, alla fine, viene eletto perché gradito alle Cancellerie “democratiche” e non sgradito al Terzo Reich. Scoppiata la guerra, dunque, Pacelli e Montini sanno da che parte stare (38).
Figura chiave dell’azione spionistica vaticana verso il Terzo Reich è un avvocato monacense, Joseph Müller, detto «Ochsensepp» (“Peppe il bue”). Di stazza fisica notevole (donde il soprannome), è un leader politico cattolico che sbaraglia le sinistre in Baviera. Alla nomina di Hitler come Cancelliere, organizza un’opposizione al nazionalsocialismo. Nel 1934 è sottoposto da Himmler in persona a pressante interrogatorio, all’esito del quale è invitato ad arruolarsi nelle SS. Al suo netto rifiuto, Himmler, ammirato da tanto coraggio, lo lascia libero. Il suo collegamento con i servizi segreti vaticani è pressoché immediato. Riceve delle confidenze dal capo del Reichssicherheitsdienst (il servizio di sicurezza dei gerarchi della NSDAP), Johann “Hans” Rattenhuber, circa le intenzioni del Regime riguardo alla Chiesa, si mette in contatto con l’arcivescovo di Monaco, MichaelFaulhaber, e con lui organizza una rete vaticana di spionaggio, le cui fila sono rette, da Roma, dallo stesso Pacelli, all’epoca Segretario di Stato (39). Quando scoppia la guerra, Ochsenseppè nel pieno della sua attività spionistica. Viene convocato dall’Ammiraglio Wilhelm Franz Canaris, comandante dell’Abwehr, il servizio segreto del Reich. Lì viene interrogato dal capo della Sezione Z dell’Abwehr, il colonnello Hans Oster,che gli propone di utilizzare i suoi buoni uffici con Pacelli al fine di una captatio benevolentiæ nei confronti del Vaticano. Al suo netto rifiuto, capisce di aver davanti un uomo risoluto e fiero nemico del Führer, e lo mette a parte dell’esistenza di un complotto dell’esercito per rovesciare Hitler, fino all’omicidio. Müller si precipita a Roma, dove si decide la politica estera del Vaticano circa la guerra appena scoppiata. Il piccolo stato – enclave in uno Stato fascista, sarà il terreno neutro dove tessere le fila per preparare la sconfitta del Reich (40).
La Spagna, uscita da una devastante guerra civile, si trova in un crocevia. Da un lato, le potenze dell’Asse sono state alleate dei falangisti, vincitori della guerra civile. Dall’altra, si avverte la necessità di un periodo duraturo di pace perché si sanino le ferite di una lotta fratricida che ha lasciato il Paese in ginocchio. La Falange è per l’entrata in guerra a fianco dell’Asse, l’Esercito per la neutralità. Franco si schiera con l’esercito, decisione a cui non è certamente estranea la pressione esercitata dalle alte gerarchie vaticane sul clero spagnolo (41). Tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943, le sorti della guerra subiscono quella che Liddell Hart definisce «the turn of the tide» («giravolta della marea») (42) e sembrano ormai irreversibilmente pendere in favore degli Alleati in tutti i teatri di guerra: Midway, Guadalcanal, El Alamein, Stalingrado segnano tappe decisive per l’esito finale, donde il timore di Franco di essere considerato vicino all’Asse e – dunque – esposto ad azioni militari ostili da parte degli Alleati (43). Le Diplomazie dei Paesi Alleati esercitano pressioni asfissianti sui Paesi neutrali, al fine di convincerli a scendere in campo a fianco delle “Nazioni Unite” (44). In conseguenza di ciò, Franco, che già a settembre aveva rimosso dalla carica di Ministro degli Esteri il cognato Ramon Serrano Súñer, fautore dell’invio della Division Azul inquadrate nella Wehrmacht sul fronte russo (45), chiede assicurazioni a Roosevelt circa il rispetto della integrità territoriale spagnola da parte degli Alleati (46), forma con il dittatore portoghese Salazar il “Bloque Ibérico”, «per rafforzare la neutralità delle due nazioni latine e iniziava una cauta ma irreversibile manovra di sganciamento dall’orbita nazista» (47). La neutralità dei due Paesi iberici è un punto di approdo di un’intensa attività diplomatica dei servizi britannici ed americani, condotta fin dal 1939 (anche nei confronti di Irlanda, Svezia e Turchia), per portare nell’orbita delle “Nazioni Unite” o, quanto meno, evitare che possano allearsi con le forze dell’Asse dei Paesi di capitale importanza strategica per il controllo delle rotte (48). Inoltre, lo sganciamento dall’Asse dei paesi iberici, nazioni cattoliche a stragrande maggioranza, libera definitivamente le mani alla diplomazia vaticana, che si orienta in modo definitivo verso gli Alleati (49).
Nel frattempo, è iniziata, da parte del Vaticano e delle Cancellerie dei paesi belligeranti, un’opera di persuasione nei confronti di politici e militari italiani affinché si pervenga ad uno sganciamento dell’Italia dall’Asse e ad una pace separata tra l’Italia e le Nazioni Unite. Si muove anche la Massoneria. «Il 16 marzo del 1943 la real ambasciata d’Italia a Madrid avvertì il Ministero degli Interni e il Comando Supremo che, da informazioni del Ministro degli Esteri Jordana, risultava che l’AMI avesse dato alle varie organizzazioni massoniche l’ordine d’infiltrarsi, sia in Italia che negli altri paesi europei, nei Ministeri degli Esteri, Interni, Giustizia e Lavoro allo scopo d’incrementare il movimento anglo-americano controllandolo fino a quando non fosse convenuto alla Massoneria che scoppiassero le rivolte degli operai nelle piazze» (50). In realtà, più che di “infiltrazioni”, si tratta di recupero discreto dei vecchi massoni che, dopo lo scioglimento delle logge, avevano continuato l’attività esoterica nella clandestinità, sia pure sospendendo qualunque attività massonica “esterna”, a volte anche collaborando con il regime. È il caso dei Marescialli d’Italia Ugo Cavallero e Giovanni Messe, dell’ambasciatore a Madrid Giacomo Paolucci de’ Calboli, è il caso di Arturo Reghini, di figure cariche di gloria, ma anche di anni, come il Grande Ammiraglio Paolo Thaon de Revel “Duca del Mare” ed il marchese Guglielmo Imperiali di Francavilla,diplomatico di lungo corso, è il caso, soprattutto, di Domenico Maiocco, sul quale torneremo (51).
L’offensiva diplomatica delle Cancellerie e del Vaticano, l’opera di “convincimento” della Massoneria, trovano terreno fertile nelle Forze Armate ormai demoralizzate dall’andamento delle operazioni belliche. Badoglio, esautorato dalla carica di capo di stato maggiore generale dopo la disastrosa campagna di Grecia (52), cova da allora uno spirito di rivincita nei confronti del Duce (53). Viene informato, alla fine del 1942, che il Vaticano ed il Podestà di Milano, a sua volta pressato dagli industriali lombardi, farebbero pressioni sul re affinché, appropriandosi dei poteri statutari, cambi il governo, nominando lo stesso Badoglio a sostituire il Duce, ed immediatamente chiede lumi a Maglione, con una lettera del 21 dicembre 1942. Maglione, a stretto giro, smentisce (54). Badoglio non si arrende: un rapporto dello Special Operations Executive britannico (55) informa dell’esistenza di una cospirazione militare contro il Duce preparata all’inizio del 1943 con a capo Badoglio ed il generale Gustavo Pesenti, quest’ultimo pronto a prendere le armi a fianco degli Alleati già nel 1941 (56). Nel maggio 1943, Badoglio capeggia un gruppo di collari dell’Annunziata (gli altri sono il Maresciallo Caviglia, il Grande Ammiraglio Thaon di Revel, ed il Marchese Imperiali di Francavilla) che chiede udienza al Quirinale assieme a Vittorio Emanuele Orlando ed Ivanoe Bonomi per sollecitare un cambio di governo. Bonomi, Capo del Governo in pectore in caso di disponibilità del sovrano. Fallito il tentativo, per dissidi interni al gruppo (57) Bonomi, che sostiene di essere a capo di una coalizione di oppositori del regime, dichiara di rinunciare a qualunque tentativo di associare i monarchici al suo progetto (58). Per raggiungere il fine della pace separata, i servizi britannici ed il Vaticano puntano soprattutto su Galeazzo Ciano, genero del Duce (ne ha sposato la figlia prediletta Edda) e Ministro degli Esteri. Già nel 1939/40, il Vaticano punta su Ciano, dapprima perché l’Italia eserciti un’azione moderatrice sulla Germania per la questione di Danzica (59), e poi per creare una corrente contraria all’intervento in guerra dell’Italia (60).
Ora, dopo il “cambio della marea” e la conseguente fronda che emerge sempre più, si punta di nuovo sul genero del Duce (61). Mussolini, il 5 febbraio 1943, rimuove Ciano da Ministro degli Esteri, assumendone la carica in prima persona. I servizi segreti alleati interpretano tale mossa per quella che è: rimuovere la punta di diamante del partito della pace separata (62). Ipotesi confermata da una fonte anonima che, da Ankara, informa il Foreing Office sull’esistenza di un complotto di Grandi e Ciano per deporre il Duce, complotto di cui è a conoscenza il Principe di Piemonte (63). Su richiesta dello stesso Ciano (64), il Duce lo nomina Ambasciatore presso la Santa Sede. Il Re, tramite Acquarone, comunica a Ciano di essere felice della sua nuova destinazione (65). Il 24 febbraio 1943, il maestro di Camera di Pio XII, mons. Arborio Mella di S. Elia, informa di un incontro confidenziale avuto il 19 precedente con il Colonnello Bertone, segretario di Ettore Bastico, governatore della Libia. In tale colloquio, egli chiede udienza al Papa, per esporgli la necessità di accentuare le pressioni Vaticane sul Re perché si giunga ad una pace separata dell’Italia con gli Alleati, ritenendo ormai l’Italia al collasso militare (66). Il 12 maggio 1943, è Pio XII in persona a scrivere a Mussolini perché cessino le ostilità. La lettera viene mostrata a Ciano, che l’approva totalmente, anche se sostiene che il Duce non sia nelle condizioni psicologiche per comprenderla. Il Duce risponde il giorno successivo con un garbato rifiuto, ricordando le diverse funzioni dello Stato e della Chiesa, chiaramente trattando la lettera di Pacelli come intervento pastorale e non di diplomazia internazionale In realtà, confida Ciano a Maglione, Mussolini è piuttosto contrariato da quella che ritiene un’interferenza negli affari italiani di una potenza straniera formalmente neutrale (67). Con la presa di Pantelleria e delle Pelagie da parte degli alleati, la situazione subisce una brusca accelerazione. Si arriva, quindi, alla vigilia degli eventi, con il partito della “pace separata” che conta sempre più adepti, soprattutto nell’esercito e dilaga dopo lo sbarco in Sicilia degli Alleati agli inizi di luglio 1943. In realtà, sul piano delle iniziative diplomatiche, vi è un incessante tentativo, da parte giapponese, con forte appoggio da parte italiana, di giungere ad una pace separata con l’URSS, in modo da liberare le forze del Tripartito dall’impegno nei confronti dell’Armata Rossa, e concentrare gli sforzi bellici nell’Europa Occidentale, in Nordafrica e nel Sud Pacifico. I tentativi sono ben documentati, anche se «Gran parte della storiografia nel nostro paese, nonostante l’importante, seppur non conclusivo, contributo offerto da William Deakin e Renzo De Felice, ha però sostanzialmente sminuito l’importanza di questa iniziativa politica, dimostrando un’irriducibile tendenza a concentrarsi, unicamente, sui peace feelers italiani con Londra e Washington» (68).
Nella citata monografia sulla seduta del Gran Consiglio, Emilio Gentile motivatamente esclude che al voto si giunga per l’emergere del “dissenso interno” maturato in precedenza, come soprattutto Grandi vorrebbe far credere (69). Analizzando il comportamento dei gerarchi nel tempo, dimostra che essi non manifestarono mai alcun dissenso prima del “cambio della marea” nelle vicende belliche. Motivatamente esclude un ruolo attivo della Monarchia, né nella persona del Re, né in quella del Principe del Piemonte. Quest’ultima ipotesi negativa di Emilio Gentile va – però –corretta alla luce di ricerche pubblicate successivamente, che fanno vedere sotto altra luce alcune trame della Principessa di Piemonte Maria José (70). Vittorio Emanuele resta attendista, non si fida di Badoglio ed esita ad entrare in azione. Ma altri membri della famiglia reale, a cominciare da Amedeo d’Aosta, intessono le loro trame con la complicità dei vertici militari, la stessa Maria José «con Badoglio, Maglione, Montini, la vecchia guardia liberale e gli esponenti dell’antifascismo militante (comunisti compresi), riuscì anch’essa, senza però raggiungere nessun risultato, a persuadere Salazar a intraprendere, a suo nome, sondaggi di pace verso il Regno Unito» (71). Dunque, in questo vortice di trame comprendenti ambienti militari, Vaticano, Servizi Stranieri, i gerarchi sono mossi da loro motivazioni, che sono diverse le une dalle altre, tanto è vero che ognuno di loro darà una versione diversa perfino sullo svolgimento della seduta (72). Si è visto, comunque, che vi sono fin dall’inizio della guerra manovre per arrivare ad un cambio di regime, accentuatesi dall’autunno 1942, facendo leva sul timore di una disfatta in seguito al “cambio della marea” vedono protagonisti i servizi delle Cancellerie delle Nazioni Unite e dei Paesi neutrali, soprattutto il Vaticano. Quale il ruolo della Massoneria, dopo l’ordine dell’AMI?
Sul punto, la documentazione è piuttosto scarsa. Abbiamo una lettera di Badoglio datata 8 settembre 1943, in cui si direbbe: «In ogni modo, nel caso che i tedeschi estendano la loro occupazione militare, resta fissata la realizzazione delle ultime direttive del grande Oriente di Londra» (73). La lettera viene mostrata a Mussolini a riprova del “complotto massonico”. Riteniamo di seguire Mola (74): la lettera è un falso smaccato. Per il semplice motivo che non esiste un “Grande Oriente di Londra”. La principale obbedienza della Massoneria inglese non ha mai assunto questa denominazione. Dal 1813, ha assunto l’attuale denominazione di United Grand Lodge of England. Il dato più serio è un appunto sul diario di Ivanoe Bonomi, datato 24 luglio 1943: «Oggi alle 17 viene da me un noto antifascista, il dottor Domenico Maiocco piemontese, che è in molta intimità con il quadrumviro De Vecchi. Egli mi conferma che il Gran Consiglio del Fascismo si convoca proprio nell’ora in cui egli mi parla, e che le deliberazioni dell’assemblea saranno di eccezionale importanza. Il De Vecchi gli avrebbe detto che nella mattinata Grandi e Federzoni lo avevano persuaso a firmare un ordine del giorno inteso a restituire al Re tutte le sue prerogative, invitandolo nel preconizzato, come conseguenza del voto, il ritiro di Mussolini e l’incarico ai presentatori dell’ordine del giorno di costituire un Governo nuovo. Naturalmente – così egli avrebbe detto al mio informatore – il nuovo Governo avrebbe fatto appello alla concordia nazionale, invitando i maggiori uomini della opposizione a dare la loro collaborazione. Il De Vecchi non si sarebbe fatta alcuna illusione sulla mia risposta, pure desiderava di farmi sapere preventivamente che mi si sarebbe rivolto un invito amichevole» (75).
Domenico Maiocco è un vecchio massone che dopo lo scioglimento delle logge ha continuato l’attività massonica, soprattutto tenendo i contatti con i fratelli, sia quelli rimasti in Italia nella clandestinità, sia con i fuorusciti, sia – soprattutto con l’AMI e con le Fratellanze degli altri Paesi, soprattutto oltreoceano (76). Nella preparazione del voto al Gran Consiglio del 25 luglio, si avvale della sua antica amicizia con Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, onde svolge opera di collegamento tra i gerarchi e tra questi e la corona (77). Abbiamo più volte detto che l’opera “del” massone non può di per sé riferirsi alla “Massoneria” come istituzione. Ma, nel caso di specie, riteniamo che l’opera di Maiocco sia riferibile alla Istituzione. Subito dopo l’arresto di Mussolini, il 26 luglio 1943, viene convocata una riunione del “Governo dell’ordine massonico italiano” con l’obiettivo di riattivare le logge sciolte da Torreggiani con la balaustra del 22 novembre 1925 e con un programma politico preciso, di perseguire «il principio democraticonell’ordine sociale e politico», e di lottare «senza tregua controtutti i dispotismi politici, le intolleranze religiose e i privilegidi qualunque genere» (78), segno che la “rinascita” delle logge è un piano preparato da tempo, che ha come presupposto indefettibile la caduta del Regime, a cui – dunque – Maiocco collabora perché venga rimosso l’ostacolo alla ricostruzione del Tempio. Pur non essendo – dunque – decisiva, l’opera della Massoneria nella caduta del Regime ha in ogni caso la sua incidenza. Paradossalmente, però, è molto più incisiva in questo intento, condiviso con la Fratellanza, l’azione continua della sua secolare nemica: la Chiesa Cattolica.
Note:
1 – “La costituzione in senso materiale” Giuffrè, Milano 1940.
2 – cfr. Gentile, “25 luglio 1943”, Laterza, Bari-Roma 2018, pp. 59 ss.; sullo stesso argomento, De Felice, “Mussolini, il Duce. 2. Lo stato totalitario”, Einaudi, Torino 1981; Alberto Acquarone, “L’organizzazione dello stato totalitario”, Einaudi, Tonino 1965.
3 – Gentile, op. ult. cit., p. 7.
4 – Luigi Pareti, “Passato e presente d’Italia”, Casa editrice delle edizioni popolari, Venezia 1944, p. 329; il dato in sé è ritenuto attendibile senza verifica elle fonti da Francesco Leoni, “Storia dei partiti politici italiani”, Alfredo Guida Editore, Napoli 2001, p. 466.
5 – Pareti è uno storico dell’antichità che aveva aderito con entusiasmo alla RSI, ed aveva sposato le tesi di Preziosi sul “complotto massonico”. È curioso constatare come la tesi della congiura massonica che avrebbe determinato la caduta del Fascismo trovi i suoi fautori soprattutto tra i fascisti ed i massoni, come si vedrà infra.
6 – Diario di Galeazzo Ciano, nota del 21 marzo 1939, Milano, Rizzoli, 1950.
7 – Anche contro Farinacci non mancarono gli strali degli irriducibili, sulla base della sua pregressa iniziazione. Addirittura, all’epoca della Segreteria Farinacci del PNF (15 febbraio 1925 – 30 marzo 1926), sorse l’Ordine dei soldati per la buona guerra, con l’intento di contrastare la minaccia di “infiltrazione massonica” che sarebbe stata capeggiata dal ras cremonese.
8 – Stefano Fiorucci, “Giovanni Preziosi (1881-1945). L’antisemitismo nei suoi articoli su «La Vita Italiana» 1919-1943” – tesi di laurea – 2005 con appendice 2007; Clemente Galligani, L’Europa e il mondo nella tormenta, guerra, nazifascismo, collaborazionismo, Resistenza, Armando Editore, Roma 202,p. 202, che data erroneamente la lettera al 1° luglio.
9 – La prolusione di Preziosi viene assunta a prova della congiura massonica dalla anonima voce “Massoneria” nella prima appendice postbellica all’Enciclopedia Italiana pubblicata nel 1948. L’articolo sulla “Treccani” viene poi ripreso dal GOI a riprova delle sue benemerenze antifasciste nel 1960, in un opuscolo intitolato “L’Azione della Massoneria italiana (palazzo Giustiniani) in difesa della libertà e delle libere istituzioni contro il fascismo e le sue reviviscenze”, a cura del Gran Maestro dell’epoca, Umberto Cipollone – pp. 17-18.
10 – Gentile, op. ult. cit., p. 30.
11 – De Felice, “Mussolini, l’alleato – 2. la guerra civile”, Einaudi, Torino 1997, ristampa a cura della biblioteca storica “Il Giornale”, Milano 2015, pp. 55 ss.
12 – Il verbale è pubblicato, tra l’altro, in appendice a Renzo De Felice, op. ult. cit., pp. 604 s.
13 – v. supra, nota 146.
14 – Sostiene, tra l’altro, che il Gran Maestro uscente sarebbe stato il Re. Il precedente Gran Maestro era – invece – il principe Arthur di Connaught and Strathearn, che era succeduto nella carica a Edoardo VII, Gran Maestro quando era principe di Galles, ma dimessosi dalla carica dopo l’ascesa al trono. Preziosi nell’articolo sostiene che i Re d’Inghilterra avrebbero ininterrottamente ricoperto la carica di Gran Maestro fino al 1939. In realtà,nessun sovrano ha mai ricoperto tale carica.
15 – De Felice, op. ult. cit., pp. 513 ss.
16 – Michele Sarfatti (a cura di), “La Repubblica sociale italiana a Desenzano, Giovanni Preziosi e l’Ispettorato generale per la razza”, Giuntina, Firenze 2008, p. 85.
17 – Sarfatti (a cura di), op. cit., p. 88.
18 – Questa tesi ritorna periodicamente, ma senza citare alcuna fonte attendibile. Aldo A. Mola, 2018 p. 646; “Storia della Massoneria Italiana dalle origini ai giorni nostri”, Bompiani, Milano 1992 (d’ora in avanti, Mola 1992), p. 650, la liquida come “chiacchiera”, ma circola da sempre. Lo stesso Maresciallo Graziani, nelle immediatezze dell’armistizio, attribuisce la decisione di Badoglio alle pressioni massoniche in un colloquio con mons. Marchioni, Segretario della Nunziatura apostolica in Italia – “Actes et Documentsdu Saint Siègerelatifs à la seconde Guerre Mondiale. Le Saint Siège et la Guerre mondiale, novembre 1942 – décembre 1943” Libreria Editrice Vaticana, 1973 (in seguito, Actes 7.). L’affiliazione massonica di Badoglio è data come certa da Rivista Massonica (rivista del GOI) – numero di aprile 1976, p. 247.
19 – Questa tesi è abbastanza condivisa nella storiografia. Da ultimo, cfr. Di Rienzo, “Caporetto, la «strana disfatta», in Nuova Rivista Storica, 91, 2007, 3, pp. 661-672”; id. “Caporetto come «problema storiografico»”, Saggio introduttivo alla ristampa di Gioacchino Volpe, “Da Caporetto a Vittorio Veneto”, Rubettino, Soveria Mannelli 2018.
20 – Questa tesi ha un suo fondamento. Badoglio, contrario all’intervento in Grecia, si adopera perché non vengano inviati a Visconti Prasca i rinforzi da lui richiesti. Sul punto, tra gli altri, cfr. De Felice, “Mussolini, l’Alleato. 1. L’Italia in guerra”, Einaudi, Torino 1990, pp. 197 ss.
21 – Sarfatti (a cura di), op. cit., p. 85.
22 – Galligani, op. cit., p. 203.
23 – Joseph Paul Göbbels, “Diario intimo”, Mondadori, Milano 1948, p. 688.
24 – Paul Duclos, “Le Vatican et la Seconde Guerre Mondiale: action doctrinale et diplomatique en faveur de la paix”, Pédone, Paris 1955; Giorgio Andreozzi Gariboldi, “Pio XII, Hitler e Mussolini”, Mursia, Milano 1988; id., “Il Vaticano durante la Seconda Guerra Mondiale”, Mursia, Milano 1992; Owen Chadwick, “Britain and the Vatican during the Second World War”, Cambridge University Press, 1986 – questo lavoro è basato sulla traduzione italiana di Gloria Romagnoli, “Gran Bretagna e Vaticano durante la Seconda Guerra Mondiale”, San Paolo, Torino 2007; Matteo Luigi Napolitano, “Pio XII tra guerra e pace: profezia e diplomazia di un papa (1939-1945)”; Mark Riebling, “Church of Spies. The Pope’s Secret War Against Hitler”, Basic Book, New York 2015 – questo lavoro si basa sulla traduzione in francese di Johan-FrédérikHelGuedj– “Le Vatican desespions: La guerresecrète de Pie XII contre Hitler”ÉditionsTallandier, Paris 2016.
25 – Juan María Laboa, “La chiesa e la modernità, Volume 2, I papi del Novecento” – Jaka Book, Milano 2001, p. 157.
26 – Napolitano, op. cit., p. 252; Mark Riebling, op. cit., cap. 8, “Sécretabsolu”.
27 – AAS IX (1917) pp.421-423.Il testo integrale in italiano è consultabile sulla rete all’indirizzo http://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/letters/1917/documents/hf_ben-xv_let_19170801_popoli-belligeranti.html
28 – John Francis Pollard, “Una «inutile strage». Benedetto XV e la Prima guerra mondiale”, in Concilium 3/2014, p. 170; id., “Il papa sconosciuto”, San Paolo, Torino 2001, pp. 109 ss.
29 – In realtà, il Vaticano non avrebbe potuto, per espressa previsione dell’art. 24 dei Patti Lateranensi, prendere posizione sulle vexatæ quæstiones sottese alla guerra, quindi la scelta di non “manifestarsi” era dovuta. Pio XII violerà permanentemente la norma concordataria durante tutto il conflitto.
30 – Soprattutto Duclos e Napolitano, op. cit.
31 – Duclos, op. cit.,pp. 204 ss.
32 – Il testo italiano dell’enciclica è consultabile sulla rete all’indirizzo http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19310629_non-abbiamo-bisogno.html
33 – Giovanni Maria Vian, voce “Paolo VI”, in Enciclopedia del Papi, a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
34 – Riebling, op. cit., cap. 1., “Ténèbres sur la Terre ».
35 – testo italiano reperibile sulla rete all’indirizzo http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_14031937_mit-brennender-sorge.html
36 – Mark Riebling, op. e loc. ult. cit.; sull’enciclica, cfr.HubertWolf, “Il papa e il diavolo: il Vaticano e il Terzo Reich”, tad. Paolo Scotini, Donzelli 2008, p. 217.
37 – David Álvarez – Robert A. Graham, “Nothing Sacred: Nazi Espionage Against the Vatican, 1939-1945”, New York, Irish Academic Press, 1998
38 – Napolitano, op. cit., pp. 134 ss.
39 – Riebling, op. cit., cap. 3., “Jo le bœuf.
40 – In “Actes et Documents duSaint Siège relatifs à la seconde Guerre Mondiale. Le Saint Siège et la Guerre mondiale, mars 1939 – août 1940”, Libreria Editrice Vaticana, 1970 (in seguito, Actes 1.), p. 436 n,, Müller è definito “l’agent ordinaireentre le Vatican et lesgénérauxhostilesaurégime naziste” (l’agente ordinario tra il Vaticano ed i generali ostili al regime nazista) – cfr. Napolitano, op. cit., p. 100.
41 – Duclos, op. cit., p. 117 – l’A. propone una mera ipotesi, non essendo ancora noti i documenti custoditi nell’Archivo Vaticano, ma verrà successivamente confermata dai documenti: cfr. la nota del nunzio apostolico in Spagna, mons. Cicognani, al Segretario di Stato mons. Maglione il 13 maggio 1940, in “Actes 1. ”, cit., p. 452.
42 – Liddell Hart, History of the Second World War, New York, Exeter Books 1980, pp. 353 ss.
43 – Enrique Moradiellos, “La España de Franco (1939-1975). Política y sociedad”,Madrid:Síntesis 2000, p. 67.
44 – Di Rienzo – Gin, op. e loc. ult. cit.; Wayne H. Bowles, op. cit., p. 88.
45 – Lúis Suárez Fernández, “Franco. Los añosdecisivos. 1931-1945”. Barcelona: Ariel 2011, pp. 201 ss.
46 – ibidem, p. 227.
47 – Di Rienzo – Gin, op. cit., p. 35;
48 – Álvarez – Graham, op. cit.; Di Rienzo – Gin, op. cit., p. 37.
49 – Wayne H. Bowles. “Spain during Worls War II”, University of Missouri, 2006, p. 50; siveda la nota a mons. Maglione di mons. Cicognani, Nunzio Apostolico a Madrid, del 17 dicembre 1942 (Actes 1., p. 142), in cui si parla di un’iniziativa iberico-Vaticana per la cessazione delle ostilità.
50 – Vantina Marica Melfa, “Massoneria e Fascismo: Dall’interventismo alla lotta partigiana” Mondi Velati Editore, Chivasso 2013, pos. Kindle 1797 ss.
51 – Mola 2018, pp. 583 ss.
52 – Sul piano formale si era dimesso, ma erano state dimissioni forzate, dopo le dure critiche allo Stato maggiore, soprattutto da parte di Farinacci, ed il rifiuto del Duce di far cessare tali attacchi: cfr. Galeazzo Ciano, “Diario”, cit., nota 25 novembre 1940; De Felice, “Mussolini, l’Alleato, l’Italia in guerra”, vol. I, parte 1., Einaudi tascabili, Torino 1990, pp. 343 ss.; Gian Carlo Fusco, “Guerra d’Albania”, Sellerio, Palermo 2001, p. 91; Matteo Di Figlia, “Farinacci: il radicalismo fascista al potere”, Donzelli, Milano 2007, p. 241.
53 – Marco Patricelli, “Settembre 1943: i giorni della vergogna”, Laterza, Bari/Roma 2010, p. 21. Secondo HelGuedj, op. cit., cap. 19. “Prisonnierdu Vatican”, le manovre di Badoglio erano accelerate da una voce, diffusa in ambienti Vaticani, secondo cui il Duce avrebbe avuto l’intenzione di deferirlo ad una “Corte marziale” (recte, ad un Tribunale militare di guerra).
54 – “Actes 7.”, cit., pp 155 s.
55 – Dipartimento speciale dei Servizi britannici alle dirette dipendenze di Churchill dal 1940.
56 – Di Rienzo – Gin, op. cit., p. 38.
57 – Si veda la nota del Conte Della Torre (Direttore dell’Osservatore Romano) al cardinale Maglione del 12 maggio 1943, in Actes 7., pp. 333 ss.
58 – cfr. la lettera del Conte della Torre a mons. Maglione del 20 maggio 1943, in “Actes 7.”, p. 354.
59 – Si vedano la lettera dell’Ambasciatore di Polonia al cardinale Maglione del 9 maggio 1939, in “Actes 1.”, pp. 135 ss., la nota dello stesso Maglione della stessa data ibidem, p. 138, ma, soprattutto il resoconto del Nunzio d’Italia Borgongini Duca al cardinal Maglione in data 14 giugno 1939, circa un colloquio con Ciano del giorno prima – ibidem, pp. 177 ss. – Ciano rassicura il Nunzio: la Germania non ha intenzione di invadere la Polonia. Questa “rassicurazione”, tramite il Vaticano, fa il giro delle Ambasciate d’Europa. Ciano si reca a Salisburgo per dissuadere i tedeschi da intenzioni bellicose verso la Polonia. Regno Unito e Vaticano sono immediatamente informati dell’insuccesso della missione – ibidem, pp. 221 ss.; illuminante la nota di mons. Tardini del 26 agosto 1939. « … il Ministro degli Esteri fa del tutto per influire su Mussolini affinché faccia capire a Hitler le difficoltà di seguirlo in una guerra» – ibidem, p. 247. Ciano fa di tutto per dissuadere la Germania dalle sue pretese per Danzica, cerca di coinvolgere in questo tentativo il governo e ne informa passo passo i britannici ed il Vaticano. Annota nel suo Diario il 30 agosto 1939: «Continuo e moltiplico i miei contatti con gli inglesi: Percy Loraine è venuto questa notte a casa e durante il giorno telefona continuamente».
60 – Nella nota 5-6 settembre 1939, Montiniscrive: «La notizia dei primi successi della Germania contro la Polonia ha ridestato gli spiriti bellicosi del Duce, che a stento è trattenuto dal Ministro Ciano»; in seguito a tale nota, Pio XII invia Padre Tacchi Venturi a Palazzo Venezia per fare pressioni su Mussolini affinché conservi la neutralità (Actes 1., p. 294) – il gesuita Pietro Tacchi Venturi, grande negoziatore tra Vaticano e regime fin dall’ascesa al potere, era stato messo da parte subito dopo l’elezione di Pio XII, che – evidentemente – lo rispolvera sperando nelle sue doti di mediatore e nei suoi rapporti con il Duce; dal diario di Ciano sappiamo che il colloquio si svolge il 6 settembre; Tacchi Venturi, con nota del 7 settembre (ibidem), comunica che ci sono buone speranze perché l’Italia rimanga neutrale fino alla fine del conflitto e che il partito della neutralità ha in Ciano il suo perno. Continuando le operazioni belliche, svariate note vaticane esprimono “gratitudine” a Ciano per i suoi “sforzi per la pace”; il 21 dicembre 1939, Ciano, durante un’udienza di Pio XII con il Re, dice a mons. Tardini: «… ho potuto salvare la pace d’Italia ma non ho potuto salvare la pace dell’Europa» (ibidem, p. 347); nella nota del 17 febbraio 1940 (ibidem, pp. 373 ss.), il cardinale Maglione riferisce un colloquio privato con Ciano, il quale lo avrebbe rassicurato circa il perdurare nella neutralità italiana, illustrando i motivi per i quali non sarebbe entrata in guerra. Il colloquio avviene dopo un incontro di Ciano con Percy, annotato nel suo Diario del 17 febbraio 1940. I rapporti di Ciano con la diplomazia vaticana sono intensissimi, e sono diligentemente riportati nei documenti di fonte pietrina, spesso secretati. Da questi, si evince con la massima chiarezza che Ciano intende accreditarsi con il Vaticano quale perno della fazione fascista favorevole alla continuazione della neutralità. E, diligentemente, tiene informati i diplomatici del Papa circa l’evoluzione della situazione. Quando, il 18 marzo 1940, Mussolini si incontra al Brennero con Hitler, Ciano sul suo diario annota: «Per quanto ci riguarda, l’incontro non ha sostanzialmente alterato la nostra posizione», e lo comunica al Vaticano, agli SUA ed al Regno Unito (Diario del 19 marzo 1940) ma, successivamente (una parte del colloquio non aveva avuto testimoni), ha l’impressione che il suocero si sia ormai “compromesso” con l’alleato tedesco, e si precipita ad informarne il Nunzio apostolico in Italia, Borgognoni Duca, come apprendiamo dalla nota 27 marzo 1940 di quest’ultimo al cardinale Maglione (ibidem p. 412). L’11 maggio 1940, Ciano informa il Nunzio di aver ormai perso le speranze di mantenere la neutralità, come apprendiamo dalla missiva di Borgognoni Duca a mons. Maglione (ibidem, p. 450). La realtà è che, nel periodo immediatamente antecedente all’entrata in guerra dell’Italia, tra Mussolini e Ciano s’instaura un vero e proprio “gioco delle parti”. Il Duce è ben consapevole della impreparazione dell’Italia alla guerra, ma, dovendo fronteggiare gli impazienti (Starace, Farinacci, Alfieri), lascia a Ciano la recita della parte del “moderato”. Ciano ne approfitta per accreditarsi come tale agli occhi delle diplomazie degli Alleati e del Vaticano. Ciò fin dall’immediatezza delle operazioni belliche, che vedono Daladier e Chamberlain premere sull’Italia perché resti neutrale. Che Ciano menta al Vaticano riguardo ai suoi presunti conflitti con il suocero, si evince da una nota di Bocchini (capo della Polizia) del 30 agosto 1939, in cui confida a Padre Tacchi Venturi (su cui, v. infra), che il Duce non ha alcuna intenzione di entrare in guerra a fianco della Germania. L’intento di Ciano di accreditarsi come “moderatore” rispetto al suocero, lo porterà a “falsificare” i suoi Diari, inserendo note a suffragare tale immagine (cfr., sul punto, Di Rienzo, “Ciano”, cit.).
61 – Si veda la lettera datata 13 febbraio 1943 di Harold Tittmann (ambasciatore S.U.A. in Vaticano) al Segretario di Stato Cordell Hull: «Ciano a causa della sua nota propensione pro alleati, era adatto ad agire attraverso il Vaticano, nella sua nuova funzione di ambasciatore italiano, sui rappresentanti delle Nazioni Unite nella Città del Vaticano favore di una pace di compromesso sostenendo con loro il pericolo russo» – la lettera è pubblicata in Ennio Di Nolfo “Vaticano e Stati Uniti. Dalle carte di Myron C. Taylor”, Franco Angeli, Milano 1978, p. 234.
62 – Di Rienzo – Gin, op. cit., p. 41.
63 – Di Rienzo, “Ciano”, cit., pos. Kindle 9053 ss.
64 – Diario, 5 e 6 febbraio 1943.
65 – ibidem
66 – Actes 7., pp. 240 s.
67 – Il succedersi degli eventi è riportato in Actes 7., pp. 330 ss. L’irritazione del Duce per le interferenze vaticane comincia già con le pressioni del Papato per impedire l’entrata in guerra dell’Italia, e prosegue per tutto il corso della guerra: sul punto, v. Napolitano, op. cit.
68 – Di Rienzo – Gin, “Quella Mattina del 25 luglio 1943. Mussolini, ShinrokuroHidaka e il progetto di pace separata con l’URSS”, in NRS, XCV, 1, 2011, p. 31; id., op. cit., p. 198. Gi AA. fanno riferimento a Renzo De Felice, “Mussolini, l’alleato. I. L’Italia in guerra, 1940-1943”, cit., pp. 1278 ss. e Frederick WilliamDeakin, “Storia della Repubblica di Salò”, Einaudi, Torino 1962, pp. 88 ss.
69 – Dino Grandi, “Il mio paese: ricordi autobiografici”, a cura di Renzo De Felice, Il Mulino, Bologna 1985.
70 – Dai diari di Joseph Müller, apprendiamo che la principessa del Piemonte, pur non rivestendo un ruolo attivo nella vicenda, il 24 novembre 1942, su incarico di Badoglio, incontra Montini per discutere delle conseguenze di un eventuale mutamento di regime – cfr. HelGuedj, op. e loc. ult. cit.
71 – Di Rienzo, “Ciano”, cit., pos. Kindle 9024.
72 – In modo immaginifico, Emilio Gentile titola il prologo della monografia “Rashōmon a Palazzo Venezia”, con riferimento al film di Kurosawa in cui ognuno dei testimoni oculari di un delitto dà una versione diversa dello svolgimento dei fatti.
73 – Melfa, op. cit., pos. Kindle 1803.
74 – Mola 1992, p. 650.
75 – Ivanoe Bonomi, “Diario di un anno”, prima edizione 1946 – edizione digitale, con introduzione di Umberto Gentiloni Silveri, Castelvecchi, Roma 2017, p. 56.
76 – Alberto Cesare Ambesi, “Storia della massoneria”, De Vecchi, Milano 1971, p. 209; Massimo Della Campa – Giorgio Galli, “La massoneria italiana”, Franco Angeli, 1998, p. 77; Mola, 1992, p. 622.
77 – Per una completa ricostruzione della figura di Maiocco, cfr. Zarcone, op. cit.; Mola 2018, pp. 586 ss., riprende adesivamente gli studi di Zarcone, mentre nelle precedenti edizioni dell’opera non rileva questo ruolo svolto dal Maiocco nella preparazione della “notte del Gran Consiglio”, definendo il personaggio «ex socialista, ex antifascista, poi nuovamente antifascista». riportando il parere diffidente di Giuseppe Romita e mostrando di condividerlo (Mola 1992, p. 622). Evidentemente, il révirement di Mola è determinato dagli studi di Zarcone
78 – Conti, “Massoneria, politica e questione cattolica in Italia tra fascismo e Repubblica”, in “Religione e politica in Italia – Dal Risorgimento al Concilio Vaticano II” – Nino Aragno Editore, Torino 2013, p. 313.
(continua…)
Luigi Morrone per la Redazione di Ereticamente