10 Ottobre 2024
Controstoria Rivoluzione Storia

FASCISMO E RIVOLUZIONE FRANCESE: NAZIONE E POPOLO ALLA SFIDA DELLA STORIA…la lettura della “Grande Rivoluzione” del 1789 fatta dagli intellettuali fascisti “rivoluzionari” riserva sorprese e sfata convinzioni radicate (parte prima)

di Giacinto Reale
Sfoglio  un libro edito qualche tempo fa e dedicato all’analisi dell’approccio che il mondo culturale e politico italiano ebbe, nel 900, con la Rivoluzione francese: un intero capitolo è dedicato ai rapporti tra l’intellettualità (in specie “eretica” e “rivoluzionaria”) fascista e il mito dell’ 89, con una serie di richiami e citazioni, corposa e nutrita, anche se riferita a sindacalisti, politici e uomini di cultura di diversa –e talora non eccelsa- autorevolezza (1)

 

La tesi di fondo è che il fascismo “intelligente” ebbe univocamente un approccio “critico” alla Grande Rivoluzione, su posizioni, però “di sinistra”,e non “reazionarie” con la denuncia del suo fallimento e del tradimento della borghesia che ne era stata protagonista. Tesi, quindi, che non può non stupire chi, fermandosi alla superficie delle cose, si sia fin qui accontentato della definizione del fascismo come regime reazionario (di massa o oligarchico), alieno da ogni tentazione giacobinista, come starebbe a dimostrare la convivenza con “trono e altare” che, di fatto, caratterizzò la storia italiana tra il 1922 e il 1943
In realtà, come ormai emerge chiaramente, sotto il manto “normalizzato” e normalizzatore del regime, si agitarono, per tutto il ventennio, fermenti culturali e politici che, se pur non sempre arrivarono ad avere dignità diffusa e riconosciuta, rappresentarono certamente il miglior prodotto “ideologico” dell’epoca (2)
Ecco quindi che, come accennato, la critica alla Rivoluzione si venne sviluppando su due piani diversi, anche se spesso convergenti: sotto un profilo più squisitamente storico, gli appartenenti alla corrente corporativistica sottolinearono con chiarezza il fallimento della Rivoluzione per la   “incompletezza” dei suoi principi ispiratori, mentre, da un punto di vista più immediatamente politico, la quasi totalità degli intellettuali che si veniva riconoscendo su posizioni più genericamente antiborghesi e rivoluzionarie, individuò nel tradimento della borghesia la causa scatenante di tale fallimento
Con riferimento ai primi, va innanzitutto rilevato che ogni lettura della Rivoluzione che non fosse di mera critica, ma che –evidenziandone i limiti- ne proponesse piuttosto il “superamento”, doveva fare i conti con i rischi derivanti dalla vicinanza temporale con  un’altra grande mobilitazione di masse che pure a quella esplicitamente si richiamava e come tale era vissuta nell’immaginario collettivo dell’epoca: la rivoluzione della Russia sovietica.Qui il giudizio doveva farsi più cauto, come era logico attendersi dagli eredi di  un movimento che della demonizzazione della rivoluzione leninista aveva fatto uno dei suoi cavalli di battaglia nello scontro per la presa del potere e che continuava a vivere il confronto in termini di sfida (3)
Non a caso “Roma o Mosca ? Una discussione aperta” si sarebbe intitolata la rubrica nella quale, fra l’ottobre e il dicembre del 1931, sarebbero stati ricompresi, su “Critica fascista” una serie di articoli che sostanzialmente, riconosciuto lo sforzo in atto in Russia per creare un nuovo ordinamento, affermavano, però, la superiorità del sistema fascista, che aveva già trovato soluzione ai molti problemi della vita collettiva nel XX secolo
Ed anche per questo, chiunque avesse volut
o dare un giudizio men che negativo sulla Rivoluzione dell’89, doveva preliminarmente tracciarne le differenze proprio rispetto a quella leninista, o, almeno, affermare a gran voce che questa aveva tradito i principi e lo spirito di quella
In tale campo, protagonisti erano, come sopra detto, i “corporativisti”, che avevano in Ugo Spirito il loro esponente di maggior rilievo intellettuale
In lui, il discorso della superiorità “etica” della Rivoluzione fascista, pure in una linea di continuità ideale con i principi dell’89, veniva provato proprio dalla soluzione data ai due problemi affrontati già a Parigi, ma rimasti sostanzialmente insoluti: la “proprietà” e la “libertà”
Per quanto riguarda il primo, la soluzione proposta era quella della “Corporazione proprietaria”, avanzata al Convegno di studi sindacali e corporativi di Ferrara nel 1932, che univa capitale e lavoro, fondendo l’azienda con la Corporazione e realizzando il passaggio del capitale dagli azionisti ai lavoratori (4)
Su questa strada, le tesi di Spirito facevano tesoro dell’esperienza socialista del secolo XIX, utile ed indispensabile anche per affrontare il discorso della “libertà”, solo apparentemente risolto dalla Rivoluzione Francese, che, piuttosto, si era limitata ad ampliarne i confini originariamente a favore di pochi:
“E’ questa libertà, in siffatta maniera menomata, la borghesia si è affannata a proclamare superiore retaggio di tutti, a tutti astrattamente riconoscendo il diritto di discutere, riunirsi, stampare, votare e via dicendo, anche se tale diritto può suonare mostruosa ironia a chi è stato tolto il modo di sfamarsi con un tozzo di pane….. Allora, mentre i borghesi versavano le loro lacrime per la fine dei diritti di libertà, il fascismo proclamava esplicitamente il primo di essi, e del diritto al lavoro  faceva il fondamento dell’ “ordine nuovo” (5)  
Un ragionamento di carattere più generale, “metastorico” vorremmo dire, era quello di quanti piuttosto preferivano sottolineare come la rivoluzione non poteva non fallire proprio per l’origine “borghese” dei suoi principali protagonisti: il tradimento delle istanze popolari e rivoluzionarie rientrava, infatti, nella natura “morale” della borghesia, e il discorso si collegava strettamente a quello più generalmente “antiborghese” che tutto il fascismo, anche se con diverse articolazioni, più o meno “spinte”, andava facendo
E’ evidente, infatti, che, in un movimento che ambiva unificare l’intera Nazione e orgogliosamente rivendicare come collante di tale unità il superamento delle vecchie distinzioni classiste e la recente storia del paese, non vi poteva essere spazio per considerazioni di tipo puramente economicistico, considerato soprattutto che sia il Risorgimento che il fascismo avevano visto la (piccola) borghesia protagonista in primo piano
BIBLIOGRAFIA

  1. Antonino De Francesco, “Mito e storiografia della “Grande Rivoluzione”, la Rivoluzione francese nella cultura politica italiana del 900”, Napoli 2006 
  2. Si vedano, in particolare gli studi di  Paolo Buchignani, “Marcello Gallian, la battaglia antiborghese di un fascista anarchico”, Roma 1984, “Un fascismo impossibile. L’eresia di Berto Ricci nella cultura del ventennio”, Bologna 1994, “La rivoluzione in camicia nera. Dalle origini al 25 luglio 1943”, Milano 2006 
  3. Oltre era andato Berto Ricci, sul “Selvaggio” del 15 dicembre 1927: “L’antiRoma c’è, ma non è Mosca. Contro Roma, città dell’anima, sta Chicago, città del maiale” (articolo intitolato: “Roba da chiodi”) 
  4. La tesi della “Corporazione proprietaria”, peraltro osteggiata dai sindacalisti “puri”, era malvista anche dalle frange rivoluzionarie più intransigenti, che pensavano piuttosto ad una vera espropriazione del capitale a favore dei produttori (vds Buchignani: “Un fascismo impossibile…”cit, pagg 180 e segg)
  5. Ugo Spirito, “Guerra rivoluzionaria”, Roma 1989, pagg 92 e 96 (riprodotto in De Francesco, cit)
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