In un precedente intervento pubblicato il 16 novembre 2014 su queste colonne parlavamo dello strano e combattuto rapporto tra Fascismo e cartooning disneyano e vedevamo come non ci fosse poi una distanza così grande fra alcuni aspetti della “visione del mondo” dell’Italia Fascista, riguardo per esempio a certe visuali sull’etica e sull’economia, e ciò che traspariva leggendo fra le righe – cum grano salis – il fumetto targato Walt Disney negli anni ’30 e ’40. Fu lo stesso Romano Mussolini – in una storica intervista a “If” ampiamente citata nel pezzo di “EreticaMente” – a sottolineare come lo stesso suo padre (in questo non dissimile, e anzi interprete dei sentimenti dei giovani e non più giovani lettori italiani) fosse un grande ammiratore dell’opera e della prospettiva disneyana.
Quella che vi raccontiamo ora è una storia un po’ paradossale, nel senso stretto dell’espressione. In ogni serio dizionario, come quello della Treccani, leggiamo che il termine “paradosso” viene dal greco παράδοξος (composto di παρα- nel significato di “contro” e δόξα “opinione”) e sta a indicare tutto ciò che in qualche modo va in senso contrario all’idea comune. È una storia che – per quanto riguarda alcune delle sfaccettature più importanti – riprenderemo qui, in uno o più prossimo articoli, per necessari approfondimenti: diciamo che, per parafrasare la manualistica universitaria, qui rimarremo nell’ambito delle “istituzioni”.
Qui comincia l’avventura…
Per addentrarci degnamente nella questione ci siamo soprattutto avvalsi di un fondamentale volume, dato alle stampe non molto tempo fa, e altamente consigliato e raccomandato per chi volesse interessarsi in maniera puntuale e completa alle vicissitudini dell’editoria fumettistica in Italia nell’Era Fascista. Possiamo inoltre garantire che il libro è estremamente obiettivo e corretto. Nell’ottobre 2011, per i tipi della Nicola Pesce Editore (NPE), usciva infatti il precisissimo saggio Eccetto Topolino, scritto a tre mani con piglio da appassionati da esperti toscani del settore, universalmente noti – Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama. Di tale saggio avevamo già accennato nel nostro precedente intervento.
Non abbiamo avuto ancora la fortuna di conoscere personalmente il Gadducci – preparatissimo storico e impeccabile ricercatore d’archivi nel contesto della narrativa per immagini, oltre che direttore di SIGNs, Studies in Graphical Narratives. Conosciamo più che bene, invece, il Gori e il Lama, anche per una lunghissima frequentazione comune negli anni ’90, al tempo stesso professionale e amicale, quando il Club del Collezionista (che pubblicava nella piana alluvionale dell’Arno la fanzine “Collezionare”, una sorta di “antenata” della rivista “Dime Press” dedicata al cosmo della Sergio Bonelli Editore e “progenitrice” del blog “Dime Web”, che già conoscete e sul quale nel 2012 apparve una versione ridotta di questo servizio) si fuse con il GAF fiorentino, un club che fungeva da editore della prestigiosa “Exploit Comics” – che proprio nella coppia di scrittori vedeva due delle colonne. Il “trust di cervelli” (oltre al duo citato, Gori e Lama, e all’umile estensore di questo articolo, ricordiamo in ordine alfabetico per cognome Alberto Becattini, Luca Boschi, Mauro Bruni, Moreno Burattini, Saverio Ceri, Alessandro Monti, Andrea Sani…) che nacque dall’unione di forze delle due associazioni di innocui fanatici e delle due riviste portò alla nascita della nuova serie di “If” – quella con le copertine in nero. Tutta questa gente – allora ragazzi o poco più e ora signori, professionisti nei settori più svariati, padri di famiglia, financo nonni, pur avendo seguito strade diverse, trascinati ognuno dalla propria corrente – ancora oggi si occupa in qualche modo di fumetto. Fu proprio su “If” che venne presentata con il giusto risalto l’intervista al figlio del Duce, riproposta integralmente come necessaria documentazione storica nel volume di Pesce (il titolo fa infatti riferimento ai “privilegi” che si dice fossero stati accordati alle pubblicazioni disneyane da parte di Benito Mussolini, per simpatie personali e anche su pressioni filiali) e da noi in parte ripresa nell’articolo su Fascismo e Disney.
Prima della comparsa in libreria di Eccetto Topolino non avevamo potuto leggere, nell’ormai vasta e tentacolare saggistica italiana sul comic, niente di così profondo, di così documentato e con fondamenta scientifiche e filologiche tanto solide – in abbinamento a un taglio genuinamente romanzesco, capace di condurre per mano il lettore in un’affascinante narrazione, seppur rigorosamente puntuale in quanto a date, dati, uomini e vicende. Sul fronte della saggistica disneyana l’Italia è ai primi posti nel mondo: siamo nel “regno della qualità”, fidatevi, anche se sembra di essere, per numero di opere stampate, nel “regno della quantità”. E non parliamo, per favore, di “sudditanza culturale”, tra l’altro sapendo che la scuola dei Disney Italiani (ovvero di quegli autori nostrani che hanno realizzato storie usando i personaggi della Disney) ha “fatto scuola” anche aldilà dell’Oceano. I nomi sono sempre quelli – e soprattutto Becattini, Boschi, Gori & Sani, rodato quartetto al lavoro insieme ormai dagli anni Ottanta. Aldilà della critica prodotta da queste stesse firme, dobbiamo forse risalire a In trappola col topo di Antonio Faeti (Einaudi, 1986) per trovare nello Stivale, in questa particolare branca dell’editoria, qualcosa di altrettanto coinvolgente alla lettura. E all’estero, per avere la stessa qualità di opera nata dalla ricerca, dobbiamo forse andare a scomodare un Le Monde de Edgar P. Jacobs di Claude Le Gallo (Lombard, 1984); o un Hergé et Tintin Reporters du Petit Vingtieme au Journal Tintin di Philippe Goddin (Lombard, 1986), oppure un Winsor McCay – His Life and Art di John Canemaker (Abbeville Press, 1987)… Titoli del genere, insomma.
Quanto all’editore, il giovane salernitano Nicola Pesce è un sincero studioso ed entusiasta del fumetto; la sua storia professionale – da lui stesso raccontata in Internet nel sito della sua ditta – comincia nel 2002 (quando era ancora minorenne!) con la pubblicazione di una rivista amatoriale (“Underground Press”), fino ad arrivare con gli anni ’10 del XXI secolo, a una notevole e pregiata produzione di saggi, tra i quali, oltre a Eccetto Topolino, ricordiamo I Disney Italiani, e Tex – Fiumi di china italiani nei deserti americani.
Un tuffo nel passato
Contattato per telefono Leonardo Gori – che da anni è anche un eminente giallista (con una spiccata predisposizione verso il thriller di ambientazione storica) presente nel catalogo di grandi editori come Rizzoli e Giunti – ci ha confessato la profonda commozione che lo aveva colto durante le lunghe fasi di realizzazione – oltre un anno di costante e duro impegno – del prezioso saggio. Per Gori lavorare sull’impressionante mole di documentazione inedita (con puntiglio da detective analizzata e fotografata soprattutto grazie agli spostamenti di Gadducci lungo tutta la Penisola e presso la Fondazione Fossati) che è alla base di Eccetto Topolino è stato infatti come salire a bordo di una “macchina del tempo” e andare a parlare direttamente, giorno per giorno, con i protagonisti dell’editoria fumettistica italiana negli anni ’30 e nella prima metà dei ’40, quello che viene comunemente indicato come il glorioso periodo Anteguerra, quando nello Stivale esplose (e poi cominciò a declinare) la comics craze, ovvero l’infatuazione irrefrenabile di un’interaa generazione di adolescenti e giovani (e dei loro padri!) per il fumetto avventuroso americano delle daily strips e delle sunday pages. Il tomo di Gadducci, Gori e Lama è sì la storia dello “scontro culturale tra Fascismo e fumetti”, come recita il necessario (e per alcuni versi fuorviante) sottotitolo, ma è anche la storia del mercato editoriale italiano, per quanto riguarda i giornali creati per i ragazzi ma letti avidamente anche dagli adulti, durante un quindicennio cruciale. Ed è pure la storia dell’infinito rapporto di amore/odio/indifferenza fra America e Italia, la storia di uno scontro/incontro di culture e sensibilità – un incontro e uno scontro fra cultura e incultura e sensibilità e insensibilità – che non si è mai sopito e che (dal ’68, dal ’77, dal “reaganismo”, dai misteri dell’11 settembre… fino al controverso “caso Isis”) ancora oggi periodicamente si riattizza, magari dopo ogni fatidico, quadriennale “primo martedì dopo il primo lunedì di novembre”.
Ma per lo scrivente Eccetto Topolino va principalmente letto in chiave positiva (paradossalmente, appunto), come la storia della genesi più vera del fumetto d’avventura italiano autoctono e di quello che nel Dopoguerra sarà il fumetto popolare, in generale, e il fumetto bonelliano, in particolare.
Uomini & fumetti
Nel libro della NPE tre figure spiccano fra le altre. Guglielmo Emanuel dal 1946 al 1952 sarà direttore del Corriere della Sera e verrà ricordato con parole di elogio, per le sue “qualità umane liberali e borghesi”, anche da un bastian contrario come Indro Montanelli da Fucecchio; nel periodo in esame è però agente in Italia del King Features Syndicate.
Stiamo parlando del potentissimo KFS di William Randolph Hearst (1863 – 1951), il Citizen Kane del giornalismo americano ritratto spietatamente da Orson Welles nell’omonimo film da lui interpretato e diretto (monumento imperituro dell’arte e della tecnica cinematografica). Era lo spregiudicato direttore/editore/scrittore che contribuì – gonfiando gli eventi e ingigantendo la realtà con gli infervorati articoli e le irriverenti vignette sull’affondamento della USS Maine pubblicati sulla sua catena di quotidiani – allo scoppio della guerra ispano-americana del 1898 che defenestrò la Spagna e l’Europa da Cuba; e non a caso, ma come diretto retaggio di quegli accadimenti di fine XIX secolo, ancora oggi gli Americani mantengono in terra castrista la base di Guantanamo Bay. Questo il lato negativo, luciferino di Hearst. Non possiamo però dimenticare che l’uomo contribuì anche alla nascita (negli anni stessi dei primi vagiti del cinema) di un nuovo linguaggio, il fumetto per l’appunto, inteso come sequential art, grazie ai suoi strabilianti inserti domenicali, alle già allora favolose tecniche di stampa in quadricromia (la cui qualità verrà nuovamente eguagliata, ma mai superata, solo 50 anni dopo!) e ai suoi straordinari artisti della china – precursori e pionieri non solo del fumetto moderno, bensì del cartone animato.
Noti sono i rapporti intercorsi fra W. R. Hearst e il Fascismo, per un certo periodo, visto che il magnate pubblicava articoli mussoliniani (anche se si vocifera che furono scritti da Margherita Sarfatti, giornalista e vecchia amica del Duce fin dai tempi del giornale “Avanti!”). Del resto, negli anni Venti e nei primi anni Trenta, sui quotidiani di WRH apparvero addirittura articoli di Adolf Hitler, redatti sotto pseudonimo! Il Führer, grazie ai proventi di quelle collaborazioni, sommati ai diritti d’autore conseguenti alle vendite del Mein Kampf, si dice che avesse acquistato il Berghof, la sua residenza privata sulla montagna bavarese nell’Obersalzberg. Può darsi che queste siano soprattutto dicerie, tarde e inesatte ricostruzioni oppure alterazioni dei fatti… Di sicuro un giornalista americano di origini tedesche, Karl Henry von Wiengand, che scriveva articoli sulla Germania per i quotidiani di Hearst, incontrò più volte Hitler (dopo averlo conosciuto nel 1921) e lo intervistò almeno in un’occasione, in Belgio, il 13 giugno del 1940, presso il Führerhauptquartier Wolfsschlucht 1.
Il titolo con il quale il fondamentale colloquio apparve sui giornali negli USA era oltremodo significativo: L’Europa per gli Europei. E di sicuro questa intervista – nella quale Hitler dichiarava testualmente di non essere interessato agli Stati Uniti e all’Impero Britannico – ebbe una vastissima risonanza, come si può leggere dalle reazioni apparse a partire dal 15 giugno successivo sui vari giornali anglofoni (i concorrenti di Hearst e le testate canadesi, inglesi e australiane), ma non piacque nemmeno un pochino a Roosevelt!
Dai documenti analizzati dagli autori di Eccetto Topolino troviamo legato a doppio filo con Emanuel il vulcanico editore fiorentino Mario Nerbini, camerata e creatore del settimanale “420”, il primo a portare le strisce sindacate (dalla KFS) di Topolino in Italia nel 1932 e poi, con “L’Avventuroso” del 1934, il primo a far affezionare i ragazzi al nuovo codice di comunicazione, alla nuova forma di narrativa per immagini in sequenza che aveva visto la luce (nelle sue forme moderne) e si era sviluppata negli Stati Uniti, con la traduzione delle più straordinarie serie giornaliere e domenicali – Flash Gordon in testa. Apriamo un breve inciso per chiarire un punto riguardante il KFS. Negli USA i fumetti vengono distribuiti storicamente secondo due principali canali: nelle fumetterie, nelle edicole e nelle librerie con albi e volumi di vari formati (come da noi) e sui giornali, attraverso il sistema “sindacato”, con strisce giornaliere (in bianco-e-nero) e tavole domenicali (negli inserti settimanali a colori); in soldoni e in pratica, nel sistema della syndication, gli autori dei fumetti lavorano per un’agenzia legata o meno a una testata madre, ufficio che detiene i diritti e si occupa di distribuire il fumetto ai vari giornali locali della catena, o di più catene, e all’estero.
Pedrocchi, Bonelli e l’alba del fumetto avventuroso tricolore
Dopo Emanuel e Nerbini ecco infine la terza figura, ovvero l’autore Federico Pedrocchi, creatore del giornale “Paperino” per la Mondadori, la casa milanese alla quale il fiorentino di “Topolino” cedette (o fu costretto a cedere…) nel 1935 l’esclusività Disney (l’azienda di Segrate l’avrebbe mantenuta, per oltre mezzo secolo, fino al 1988). Quando, a partire dal 1938, le direttive ministeriali spinsero gli editori ad abbandonare le serie americane (in un primo tempo tutte “eccetto Topolino” – come sembrava avesse voluto il Duce in persona – e poche altre come Popeye; ma poi, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti in seguito allo sganassone giapponese di Pearl Harbor del 1941, anche la produzione di Burbank e le altre strisce pupazzettistiche dovettero far fagotto e tornare aldilà dell’Atlantico), l’impegno artistico e redazionale del vulcanico Pedrocchi porterà, come più o meno volontaria reazione alle circolari ministeriali, alla nascita del primo nucleo di autori, sceneggiatori e disegnatori, di quella che possiamo definire a posteriori un’autonoma scuola italiana del fumetto, d’autore e popolare (intendendo autonoma dai modelli originari a stelle-e-strisce). Singolare che, nonostante i buoni rapporti fra Hearst (e il KFS) e i leader dei socialismi nazionali europei, si sia comunque arrivati a questa rottura… Ma siccome “non tutti i mali vengono per nuocere” l’interrompersi del dialogo culturale tra il fumetto cresciuto all’ombra dello Star Spangled Banner e l’editoria tricolore indusse e stimolò gli autori italiani ad “arrangiarsi” da soli e a crescere artisticamente. Pedrocchi – con opere immortali come Virus – getta financo i semi di quello che sarà il “giornalinismo” tascabile del Dopoguerra, anche e soprattutto bonelliano (pensiamo per esempio allo Zagor di Sergio “Guido Nolitta” Bonelli, vero cultore del personaggio pedrocchiano, da lui trasfuso nella figura dello scienziato folle Hellingen, nemico giurato ed eternamente ricorrente dello Spirito con la Scure nella Foresta di Darkwood – versione italo/americano della Foresta di Sherwood e dei suo nascosti difensori).
Conviene infine sottolineare l’importanza della Arnoldo Mondadori Editore, anche prima dell’intervento dello stesso Pedrocchi, per lo sviluppo di un nostro, originale fumetto d’avventura, moderno e popolare. Era stata infatti la testata “I Tre Porcellini” a pubblicare, per prima e con grande rilevanza e sforzo produttivo, nel 1935 (quando la maggior parte degli editori stampava quasi senza sforzi d’inventiva e quasi esclusivamente materiale tradotto), qualcosa di “indigeno”. Si trattava di Ulceda di Guido Moroni Celsi, il prototipo del western a fumetti tricolore, che influenzerà definitivamente e pesantemente tutti i suoi successori – dal Kit Carson di Rino Albertarelli, fino al Tex di Gian Luigi Bonelli e Aurelio “Galep” Galleppini. E su Ulceda e sulla sua importanza per la nostra storia fumettistica torneremo in questi nostri interventi su “EreticaMente”.
Gian Luigi Bonelli, in questo periodo allo stesso tempo fertile di idee e novità e pericoloso (per la battaglia culturale fomentata dai “benpensanti” non tanto contro il “fumetto del nemico straniero”, quanto piuttosto contro il fumetto stesso, inteso come mezzo di comunicazione capace di influire negativamente sui giovani), lo vediamo inizialmente nello staff del periodico “Il Vittorioso”, emanazione della cattolica AVE, il cui primo numero uscì alla fine del 1936 con data 9 gennaio 1937. Bonelli lasciò una grande impronta al “Vittorioso”. Come si legge su Eccetto Topolino, scopriamo che un netto miglioramento dei contenuti si ha nel 1938, con l’arrivo in redazione di Gian Luigi Bonelli, che recluta disegnatori ai massimi livelli (Kurt Caesar, Raffaele Paparella) e scrive soggetti e sceneggiature di alcune delle più memorabili storie a fumetti. Alla fine del 1940 Bonelli (con il collega Daini) rileva “L’Audace” da Lotario Vecchi della SAEV, settimanale al quale attivamente collaborava. Dal gennaio al settembre 1939 la testata era già stata ceduta alla Mondadori per un tentativo di rilancio, ma poi era tornata a Vecchi, che però intendeva (ormai da tempo, per questioni di concorrenza e problemi politici) ritirarsi dall’editoria italiana a balloon, per concentrarsi sul mercato spagnolo.
Il primo numero del nuovo “Audace”, pubblicato dalla casa editrice IDEA fondata da Bonelli e Daini, è il n. 325 ed è datato 30 novembre 1940: sono passati ben nove mesi dall’ultimo della vecchia gestione (il n. 324 del 28 marzo 1940) e, sfruttando la lacuna temporale e la lunga assenza di uscite, Bonelli può creare qualcosa di veramente nuovo rispetto alla linea passata. Gli autori vengono quasi tutti da Mondadori, e sono nomi eccellenti: Walter Molino, Carlo Cossio, Vittorio Cossio, Aldo Galimberti, Edgardo Dell’Acqua, Pier Lorenzo De Vita, Franco Chiletto… L’esperimento non ha però il successo sperato dai fondatori e il settimanale della IDEA chiude con il n. 330, dopo appena un sestetto di uscite “natalizie”; sei numeri che decenni dopo sarebbero diventati rarissimi ed estremamente quotati sul mercato del collezionismo antiquario.
Il n. 331 del 18 gennaio 1941, gestito dal solo Bonelli con una nuova ragione sociale (la Redazione Audace), cambia completamente impostazione: con il formato più piccolo, con la formula di un’unica serie in posizione preminente (si parte con le imprese di Furio Almirante), con la copertina illustrata senza la pagina a fumetti (che, fin dal “Corriere dei Piccoli” dei primi del ‘900, derivava storicamente dall’impostazione e dall’impaginazione dei supplementi domenicali americani) e con racconti autoconclusivi, “L’Audace” del 1941 e ancor di più “L’Albo Audace” dal 1942 in poi (che accentua le caratteristiche inaugurate con la versione dell’anno precedente) possono davvero considerarsi i precursori editoriali dei moderni albi bonelliani, quelli con il formato e la struttura “alla Tex” per intenderci, aventi un unico personaggio fisso, con cover “muta” e così via. Ed è proprio qui, fra il 1941 e il 1942, che nasce lo spirito vero di quelle che in futuro saranno la CEPIM, la Daim Press e infine la Sergio Bonelli Editore. Come scrivono gli autori di Eccetto Topolino, il nostro baldo G. L. Bonelli sembra fare tutto da solo, per quanto riguarda i testi dei fumetti, i redazionali e persino le lettere al giornale. Grazie a queste ultime, instaura anzi un dialogo diretto e confidenziale con i lettori, destinato a diventare caratteristico delle produzioni della casa e a passare in eredità al figlio Sergio. Nel 1941 Federico Pedrocchi, continuando la sceneggiatura bonelliana per L’inafferrabile, entra fra gli autori del periodico: i creatori del “fumetto popolare” e del “fumetto d’autore” italiano lavorano adesso insieme.
Poi la guerra solvet saeclum in favilla; con le incertezze economiche, sociali, politiche, tattiche e strategiche che, dopo il settembre del 1943, si sommano in special modo al Centro-Nord alla vergogna degli indiscriminati bombardamenti degli Alleati e alle azioni del terrorismo eterodiretto, diventa sempre più difficile, in un clima di totale penuria di materiali, portare avanti le pubblicazioni, per tutti, non solo per Gian Luigi. “L’Audace” bonelliano resiste finché è possibile ma poi chiude, per sempre, con il n. 467 del 10 febbraio 1944; rimarrà solo il nome, come casa editrice, fino al 1960. Questa, però, è un’altra storia…
In realtà, come vedremo qui in un futuro intervento, il fumetto italiano avventuroso (e non solo) “rischiò la pelle” soprattutto nel periodo del primo e del secondo Dopoguerra (almeno fino agli anni Settanta), soprattutto per le iniziative censorie degli ambienti vaticani. E anche questa è un’altra storia!
Francesco G. Manetti