Facciamo il consueto punto di quello che abbiamo visto fin qui nelle tre precedenti soste del nostro fantascientifico viaggio interplanetario a fumetti. Abbiamo compilato le schede biografiche degli autori; ci siamo soffermati sull’impalcatura di questa complessa epopea per immagini e parole; abbiamo sviscerato i “segreti” del primo capitolo (dal quale l’intera opera prende il nome) e dei successivi due. Arrivati alla quarta parte ci occupiamo dei capitoli quattro e cinque. L’excursus nel capolavoro di Zavattini, Pedrocchi e Scolari si concluderà con il prossimo appuntamento – il quinto – nel quale affronteremo gli ultimi due capitoli e tenteremo un‘analisi generale del disegno e della sceneggiatura. Ricordiamo che il poliedrico Cesare Zavattini, firma celeberrima del cinema italiano, collaborò esclusivamente alla realizzazione del primo episodio; dal secondo in poi i testi vanno attribuiti interamente ed esclusivamente al geniale sceneggiatore Federico Pedrocchi.
Da un punto di vista editoriale, come vi avevamo anticipato nel nostro primo intervento, la vicenda della quarta avventura, L’ombra di Rebo, fu piuttosto “travagliata”. Ed è oggi arduo districarsi in tal “ginepraio” – non disponendo per questi articoli delle rare e costosissime pubblicazioni originali o anastatiche, ma “solo” della ristampa in volume della Milano Libri (1968) – anche perché certe cronologie pubblicate su carta e in Rete, pur autorevoli, contengono alcune inesattezze; a tal proposito ci venne a suo tempo in prezioso soccorso il gentilissimo Carlo Pedrocchi, fumettista d’eccezione classe 1939 e figlio di Federico. La storia, iniziata regolarmente su “Topolino” n. 295 del 18 agosto 1938, arrivò fino al n. 307 del 10 novembre e qui si interruppe per oltre un anno. Il motivo? Forse (sottolineiamo il “forse”) il notevole carico di lavoro sugli autori… C’è da dire infatti che in quel fascicolo del prestigioso settimanale vediamo Pedrocchi firmare i testi di addirittura cinque titoli in contemporanea: L’ombra di Rebo, Pino il mozzo, Saturnino Farandola, I conquistatori del cielo e Un gentiluomo di sedici anni. Il disegnatore Scolari, dal canto suo, lavorava anche all’opera L’aquila fulva di Boccardi. La saga di “Saturno” avrebbe dunque ripreso soltanto su “Paperino e altre avventure” n. 122 del 25 aprile 1940, con un titolo “intermedio”, La nube di gelo. Ed ecco che ora spieghiamo l’insistito “forse” riguardo all’ipotesi dei troppi impegni da parte degli artisti per giustificare la lunga assenza di “Saturno” dalle testate mondadoriane – un’ipotesi un po’ debole, perché anche su “Paperino” n. 122 la firma del grande sceneggiatore lombardo appare ben cinque volte (La nube di gelo, Paperino chiromante, Il diamante azzurro, Capitan l’Audace e L’amazzone bianca)! Comunque sia, il quarto “Saturno” termina su “Paperino” n. 142 del 7 settembre 1940, a guerra ormai dichiarata dall’Italia.
In quanto a vicissitudini editoriali pure il quinto episodio, Le sorgenti di fuoco, non scherza; ma qui, perlomeno, le cronologie concordano… L’avventura inizia su “Paperino” n. 143 del 14 settembre 1940; va avanti per sette numeri fino a al n. 149 del 26 ottobre 1940 (ovvero l’ultimo in assoluto di questo periodico); riparte non su “Topolino” n. 411 del 29 ottobre 1940 come aveva annunciato una didascalia sul “Paperino” n. 149, bensì su “Topolino” n. 468 del 2 dicembre 1941 (ovvero oltre un anno dopo l’improvvisa interruzione, proprio nei giorni di Pearl Harbor); e termina sulla stessa testata, con il n. 489 del 28 aprile 1942.
Due anni dopo…
L’ombra di Rebo, nella finzione narrativa, riprende due anni dopo le incredibili vicende raccontate nella storia La guerra dei pianeti. Pedrocchi decide che stavolta i protagonisti devono essere i pittoreschi Saturniani e non i Terrestri, che vediamo infatti quasi esclusivamente come vittime di spaventosi attacchi, entrando attivamente in scena nell’episodio solo nell’ultimo terzo.
Al centro della nuova avventura ci sarà dunque la rinascita del fiero popolo guerriero del pianeta con gli anelli, squassato però da lotte intestine, da contrasti fra i vari comandanti e dittatori che sorgono e tramontano in pochi mesi, da estenuanti dibattiti politici e militari… Un’allegoria, una parodia, una satira della Terra stessa di quell’epoca? Lo scrittore scrive una lunga introduzione ambientata sul mondo nativo degli invasori alieni i quali, momentaneamente orfani di Rebo (si era schiantato sulla Terra con il suo razzo), si dividono in due fazioni: i riflessivi Rebiani, che sperano in un ritorno del loro Capo e si affidano al sapere dottorale di Netro, e gli impazienti Darfiani, che investono il generale Darfo di poteri assoluti per un immediato tentativo di riconquista terrestre.
Netro, coi suoi fedelissimi, fugge “in esilio” sulla nostra Luna, per mettere in atto elaboratissimi piani di riscossa… Intanto l’assalto di Darfo viene prontamente respinto dai “raggi stratosferici” azionati da Marcus e Ciro (i due eroi iniziali della che adesso rivestono un ruolo tutto sommato marginale), e sarà il gallonato Berco a prendere le redini della seconda flotta d’invasione.
Il nuovo capo avrà maggior fortuna: penetrerà l’atmosfera terrestre e scatenerà sulle più grandi capitali – come Mosca – un esercito di scimmie del Mato Grosso, rese intelligenti e asservite ai Saturniani grazie a tutta una serie di radiazioni.
L’idea di creare terrore muovendo feroci primati per le vie cittadine reca l’impronta originaria dell’americano Edgar Allan Poe, con il suo racconto I delitti della Rue Morgue del 1841; impossibile però non pensare, spostandoci nel futuro rispetto a “Saturno”, anche al romanzo francese del 1963, “Il pianeta delle scimmie” di Pierre Boulle, che ha dato vita a una pluridecennale epopea, grazie ai numerosi adattamenti e rifacimenti cinematografici partiti nel 1968; Boulle si era tra l’altro ispirato a uno dei maestri classici del weird, L. Sprague de Camp (noto anche come uno dei primi studiosi di H. P. Lovecraft), che nel 1944 aveva pubblicato a puntate il romanzo Gorilla sapiens. Ma sulla testa di Berco non pende la spada della minaccia terrestre: il vero nemico ha il suo stesso sangue e si annida sulla Luna!
Tutti contro tutti
Strabilianti dunque, come al solito, le innovative idee scientifiche che lo sceneggiatore mette in testa ai suoi personaggi, sui quali spicca stavolta il “cervellone” Netro, ometto fisicamente stortignaccolo, ma gigante del pensiero.
Prima di dover scappare da Saturno, braccato dagli sgherri di Darfo, catturando dallo spazio grazie a potenti “teleriflettori” i fotoni vaganti (si parla di “vapori”, ma la sostanza è questa), lo studioso era riuscito a impressionare speciali lastre fotografiche (che vengono chiamate “plastici”) e a vedere la fine di Rebo e del suo vettore.
E siccome aveva avuto successo nel richiamare dal passato gli ultimi momenti di vita del Capo, era sicuro di poterne radunare gli atomi volatilizzati e le molecole disperse per rimetterlo insieme e riaverlo al comando, vivo e vegeto. Quella di ricreare un corpo umano intero partendo da una struttura disintegrata è la stessa che sta alla base di una delle idee più stimolanti dell’immaginario fantascientifico: pensiamo per esempio alla serie televisiva e cinematografica cinquantennale di “Star Trek” (1966 – 2016) e all’uso che lì viene fatto del teletrasporto, vero e proprio deus ex machina (è davvero il caso di dirlo!), generatore e risolutore di numerosi intrecci narrativi. Il teletrasporto, ormai da diversi anni, è uscito dal regno della fantasia e viene sperimentato nella realtà (anche se attualmente si tratta soltanto di trasferimento a distanza di informazioni sugli stati di particelle subatomiche sfruttando la “strana” proprietà dell’entanglement quantistico – o poco più).
Ecco dunque che ancora una volta certi passaggi del capolavoro di Pedrocchi hanno un gustoso sapore di anticipo sui tempi! Ma la scienza del domani padroneggiata da Netro ha anche qualcosa di ancestrale: vapori, fumi, soluzioni e liquidi dalla “tinta nerissima” rimandano alle più antiche tradizioni. Giunto sulla Luna della Terra con un razzo cristallino, con immense pompe lo studioso estrae la preistorica atmosfera dal sottosuolo lunare e rende il satellite fertile e adatto alla vita. Il procedimento della “terraformazione” è ben noto agli appassionati di letteratura fantastica: è uno degli espedienti grazie al quale pianeti ostili vengono resi accoglienti dagli esploratori spaziali per futuri coloni. Il primo scrittore a descrivere uno di questi processi di radicale trasformazione planetaria fu il britannico Olaf Stapledon (1886 – 1950) nel suo romanzo Infinito del 1930.
Come dicevamo sopra, non mancano i momenti mistici. Per riesumare l’atmosfera dalle viscere del satellite, Netro caccia via gli spiriti lunari che abitavano da eoni quei freddo budelli.
Questi eterei esseri senzienti si muovono liberamente nello spazio (raffigurati da Scolari come i turbini delle anime perse dei lussuriosi che affollano i cieli infernali nella Divina Commedia illustrata da Doré) e hanno il potere di congelare tutto quello che toccano.
Scatenati sulla Terra ricoprono tutto di un manto bianco e vetroso, fermando ogni vita in un eterno attimo. Viene così rievocato uno fra i più antichi miti sulla fine del mondo, il Fimbulvetr, l’inverno assoluto che precede il Ragnarok nelle profezie norrene. Un inverno, questo, che ricorda (o anticipa?) il temibile “inverno nucleare” che potrebbe devastare il pianeta in seguito a una guerra atomica globale. Rebo, reintegrato sulla Luna grazie alla “magia scientifica” di Netro, può combattere da una postazione sicura il suo rivale Berco, prima di sferrare il colpo finale contro la Terra. Marcus riesce a invertire gli effetti della glaciazione “spiritica” e Netro dovrà passare al contrattacco.
L’asso nella manica dei saturniani incistati sulle lande lunari è un’altra meraviglia: una radiazione capace di provocare l’invecchiamento precoce di tutti gli esseri viventi della Terra. In un solo colpo vengono così sbaragliati sia i potentati terrestri, sia le armate di Berco.
La soluzione di Pedrocchi viene direttamente dalla favolistica, introducendo nel contempo un nuovo ben delineato personaggio nella saga: Erzio, un uomo che stava prendendo parte a un audace esperimento del prof. Marcus, è l’unico a rimanere immune alla terribile arma che ha reso tutti decrepiti.
Lo ha protetto la teca di cristallo nella quale riposava e nella quale avrebbe dovuto risvegliarsi solo 50 anni dopo, giovane come quando ci era entrato. Si tratta dell’intuizione del “viaggio nel tempo” soggettivo grazie all’animazione sospesa (o all’ibernazione), un’idea che gli scrittori di fantascienza hanno più volte sfruttato associandola ai lunghi viaggi spaziali su astronavi non dotate di motori capaci di curvare o forare lo spaziotempo per poter superare velocemente distanze galattiche; solo grazie a questo speciale “sonno profondo”, che quasi azzerra il metabolismo umano, gli equipaggi delle navi spaziali più “lente” possono viaggiare su lunghi tragitti senza invecchiare.
Celebre la sequenza della “rianimazione” del personale della Nostromo in Alien. In anni più recenti il mago americano della nuova animazione televisiva, Matt Groening, ideatore della serie “The Simpsons”, ha ripreso questo trucco narrativo in “Futurama”: nel primo episodio il protagonista viene casualmente ibernato l’ultimo dell’anno del 1999 per risvegliarsi il 31 dicembre 2999, come se non fosse passato nemmeno un secondo!
La capostipite di tutte le storie del genere è la sequenza finale della favola germanica Biancaneve dei Grimm (1812-1854), con la giovane protagonista che viene messa a riposare in una bara di vetro dopo essere caduta in catalessi in seguito all’ingestione di un boccone di mela avvelenata (le modalità del risveglio nel racconto originale sono molto diverse da quelle che tutti noi conosciamo dalla trasposizione disneyana del 1937).
Erzio spia le mosse dei saturniani in virtù dei potenti televisori di Marcus. Si tratta proprio di televisori moderni, con funzionamento a valvole e visore circolare a tubo catodico (i primi esemplari commerciali furono prodotti da Telefunken nel 1934). Grazie a un altro dei prodigiosi apparati di Marcus, l’impavido Erzio costringe Rebo e Netro a risvegliare la popolazione della Terra.
Le ultime fasi della vicenda sono molto concitate e il lettore, in un vorticoso climax, assiste a parecchi cambiamenti di campo e colpi di scena. Berco si allea tatticamente con i Terrestri per contrastare Rebo e la sua nuova apparecchiatura: una trivella capace di forare il mantello del pianeta e scatenare le più devastanti eruzioni vulcaniche (qualcosa di simile lo ritroveremo addirittura nel 2016, inel film Independece Day: Rigenerazione); la Terra reagisce con macchine che generano possenti e distruttive trombe d’aria artificiali; sconfitto momentaneamente Rebo, il vorace Berco si schiera di nuovo contro i Terrestri; appare però il figlio segreto di Rebo, il giovane Tundro, appoggiato da una fazione che chiede il ritorno su Saturno per evitare altre inutili morti; Berco rifiuta la fuga lo fa imprigionare; Rebo, pur di veder volare sano e salvo verso casa il figlio, si arrende ai Terrestri; Berco intercetta il razzo di Tundro e lo abbatte sotto gli occhi del padre; Marcus distrugge in aria la flotta di Berco; Rebo langue triste in una cella terrestre.
Come avete visto, il lettore è spinto rapido verso il finale da un velocissimo rincorrersi di avvenimenti ricchi di pathos!
L’ora di Netro
Il quinto capitolo di “Saturno contro la Terra”, intitolato Le sorgenti di fuoco, inizia con la notizia di Tundro miracolosamente salvatosi dal fuoco di Berco e lesto a tornare sul pianeta natale insieme al sopravvissuto Netro. Una curiosità a margine: nel nuovo episodio il “delfino” di Rebo viene chiamato Tundo, senza la “r”…
Il piano studiato dai due per liberare il padre prigioniero sulla Terra ha dell’incredibile.
Il brevilineo scienziato studia un gas (anzi, un “microgas”!) atto a condensarsi progressivamente intorno al pianeta fino a creare una sfera solida capace di non far passare più i raggi solari – dando vita a glaciazioni globali e a un’immane siccità causata dalla mancata evaporazione del mare (il fenomeno va infatti a interrompere il vitale ciclo dell’acqua). Si tratta di un’idea, questa di Pedrocchi, molto simile a quella della cosiddetta “sfera di Dyson”, ovvero un “guscio” artificiale fatto di pannelli solari, strutture, città, stazioni, etc., atto a racchiudere un’intera stella per sfruttarne al massimo le energie irradiate.
Il nome della ciclopica struttura si deve allo scienziato britannico Freeman Dyson che la descrisse in un suo serio articolo del 1959, ipotizzandone l’uso da parte di avanzatissime civiltà extraterrestri; ma il tutto era già stato anticipato dal già citato Stapledon, nel romanzo Il costruttore di stelle del 1937. La fantascienza, nei decenni successivi, avrebbe creato intorno a questa speculazione scientifica innumerevoli trame.
La vicenda del guscio di pietra che imprigiona la Terra è anche l’occasione per approfondire la psicologia di Rebo. Pur essendo determinato, feroce, battagliero e vendicativo come al solito è pur sempre un uomo d’onore: in cambio della sua liberazione e del suo ritorno su Saturno promette ai Terrestri di liberarli dalla sfera cava che impedisce al Sole di fare il suo dovere.
Sul pianeta con gli anelli si scontra con Netro per mantenere il patto, da persona di parola contrapposta al vile scienziato, che invece vorrebbe dare il colpo finale alla Terra. Marcus, azionando un disintegratore, anticipa tutti e spezza la prigione di pietra. Netro finisce ai lavori forzati in oscure caverne saturniane per il suo tradimento.
Parte per l’appunto da sottoterra il piano di vendetta del cervellone, che riesce a bloccare l’energia con la quale i suoi simili si alimentano e minaccia poi di attivare contemporaneamente gli oltre mille vulcani esistenti sul pianeta. Assisteremo così a un’inedita alleanza fra Rebo, Ciro e Marcus (chiamati in aiuto su Saturno) per sconfiggere lo scienziato malvagio, tratteggiato da Scolari sempre più sgradevole, vignetta dopo vignetta, proprio per comunicare al lettore, anche graficamente, la profonda perfidia del suo animo.
Gran parte dell’avventura è ambientata sotto la superficie di Saturno, chiedendo ai lettori un grande sforzo di fantasia, visto che il corpo celeste è un gigante gassoso.
Il percorso di Marcus e Ciro verso il nascondiglio di Netro è irto di insidie che ricordano da vicino, in chiave extraterrestre, quelle affrontate dai coraggiosi protagonisti di Viaggio al centro della Terra, scritto da Giulio Verne nel 1864 (romanzo caro a Pedrocchi, come abbiamo già visto nella terza parte di questi nostri interventi): scivoli di cristallo, serpenti volanti, laghi sospesi, calderoni e fiumi di lava, bolle di gas semisolido, etc. Il collegamento con l’azione alla Verne non è peregrino: infatti, rispetto ai capitoli precedenti, Le sorgenti di fuoco fa molto meno ricorso alla scienza e molto più all’avventura (soprattutto dopo la distruzione della sfera rocciosa).
Questo è il racconto del Rebo “buono”, eroe positivo, spinto al cambiamento dall’apprensione per il figlio, un Rebo che arriva addirittura a stringere un patto di amicizia fra Saturno e quella che era l’odiata Terra. Il finale è del tutto identico a quello dell’episodio precedente dove, nell’ultima vignetta, avevamo lasciato uno sconsolato Rebo dietro le sbarre di una gabbia terrestre… Adesso tocca a Netro patire il duro carcere e le catene, su Saturno.
Francesco G. Manetti
(fine 4a parte)
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