Rispetto all’impianto narrativo ricco di venature fantasy di S.K.1, il capolavoro avventuroso-futuristico di Guido Moroni Celsi che abbiamo già incontrato su queste colonne elettroniche, la fantascienza della pluriennale saga del “Saturno contro la Terra” di Pedrocchi, Zavattini e Scolari punta maggiormente sul “senso del meraviglioso” che scaturisce dai prodigi scientifici e tecnologici in azione. Scienza e tecnologia, come vedremo, non sono però il fine ultimo, né la soluzione unica dell’intreccio nell’epopea di “Saturno”; anzi, sono spesso causa dei maggiori disastri, ed è piuttosto l’Uomo con il suo Ingegno e la sua Idea l’asso nella manica della Terra attaccata dalle forze allogene ostili.
Da un punto di vista delle “battaglie editoriali” l’italianissimo “Saturno” della milanese Mondadori si contrappose fin dalla sua prima tavola, apparsa su “I Tre Porcellini” n. 93 (Anno III) del 31 dicembre 1936, all’americano “Flash Gordon” pubblicato nello Stivale sul periodico “L’Avventuroso” della fiorentina Nerbini – a partire dal n. 1 (Anno I) del 14 ottobre 1934. Il celebre personaggio creato da Alex Raymond era nato negli Stati Uniti una decina di mesi prima, stampato sugli inserti domenicali a colori dei giornali a stelle-e-strisce e distribuito dall’agenzia King Features Syndicate dal 7 gennaio 1934 in poi. Mentre Nerbini decise di inaugurare la sua nuova testata proprio con Gordon, dandogli l’onore della prima pagina a colori, la Mondadori fece partire “Saturno” a pag. 2, su un fascicolo di una collana varata ormai da tempo… In realtà il periodico dedicò alla saga parte della copertina (che in quel particolare caso non era a fumetti, come avrebbe voluto la tradizione dell’epoca, ma illustrata) di quel numero speciale, una sorta di “almanacco natalizio” a doppia foliazione. Del resto, quella copertina, era di per sé un piccolo capolavoro, essendo opera dell’immenso Antonio Rubino, uno dei pionieri del fumetto tricolore.
“…questo non può essere un meteorite!”
Può essere fatto fra le prime vignette di “Saturno” e quelle di “Flash Gordon” un parallelismo quasi perfetto: un misterioso oggetto siderale in rotta di collisione col nostro pianeta, le metropoli terrestri in allarme, i giornali che strillano la notizia in prima pagina, il panico generale, l’anziano scienziato astronomo che cerca un rimedio, il giovane eroe che si getta nella mischia con coraggio e idealismo, gli alieni, i razzi interstellari, le potenti armi. In realtà, nel prosieguo, le vicende gordoniane prendono un sentiero diverso, più assimilabile al fantasy, al “cappa e spada”, che alla fantascienza “dura & pura” (quella che gli anglofoni definiscono hard science fiction); e infatti, come avevamo sottolineato nel pezzo qui pubblicato il 3 settembre 2015, fu S.K.1 di Moroni Celsi il vero diretto concorrente italiano del lavoro di Raymond. Zavattini, Pedrocchi e Scolari preferirono invece differenziarsi, indagare altri panorami del fantastico, avvicinarsi maggiormente agli universi di H. G. Wells e di Jules Verne – e puntare più sulla macchina, sull’aeromobile, sui viaggi spaziali, sulle architetture avveniristiche, sull’elettromagnetismo, sulla gravità, sugli armamenti da fine del mondo, sulle radiazioni di ogni genere; e dunque – rispetto sia a S.K.1, sia a Gordon – meno o punti mostri, strane razze umanoidi, mantelli, cimieri, lame, calzari, amori, gelosie e muscolature al vento. S.K.1 potrebbe anche essere visto come un bonario “concorrente editoriale interno” di Saturno… Lo si evince anche da una curiosità grafica: il razzo Excelsior dello stolido Prof. Leducq (personaggio negativo) è del tutto simile al velivolo che appare nell’opera di Moroni Celsi – quasi fosse una simpatica beffa fra “addetti ai lavori” della stessa casa editrice!
La natura viene dunque spodestata – con tutto il romanticume dei suoi stantii chiar di luna – dal ferro e dall’acciaio, in una sorta di scoppiettante manifesto futurista a fumetti! Quello che all’inizio di Saturno contro la Terra (il titolo del primo episodio, che dà il nome a tutta la serie e del quale ci occuperemo in questo pezzo) pare essere un meteorite che si è staccato dal colosso con gli anelli per dirigersi contro la Terra è in realtà un possente velivolo alieno, insomma un vero e proprio UFO – od OVNI che dir si voglia. Questo geniale artificio narrativo è tutt’ora usato (e abusato, sigh!) dalla cinematografia hollywoodiana: pensiamo soltanto a Independence Day, diretto nel 1996 dal Roland Emmerich (ben 60 anni dopo “Saturno”!), dove un’immensa nave extraterrestre viene al principio scambiata per un asteroide, una cometa o qualcosa di simile; poi gli esperti cambiano idea, perché il presunto corpo celeste, avvicinandosi alle nostre coordinate spaziali, rallenta e vira…
A pensarci bene anche l’ipotesi, poi rivelatasi fasulla, di un meteorite che si staccava dalla superficie di Saturno per dirigersi verso la Terra (lasciando da parte il fatto che Saturno, essendo gassoso, non ha una superficie solida) non era poi del tutto peregrina – anche se sarebbe più esatto parlare di “meteoroide” (visto che il “meteorite” propriamente detto è quello che rimane sulla superficie d’impatto dopo lo schianto di un meteoroide). Sono stati infatti trovati sulla Terra frammenti provenienti addirittura da… Marte. Come? Si tratterebbe, secondo le teorie più accreditate, di pezzi del Pianeta Rosso che si sono staccati dalla sua crosta in seguito a rovinose cadute di asteroidi e che, sfuggiti alla sua attrazione gravitazionale, hanno viaggiato nello spazio fino a raggiungere il Mondo.
“…l’immensa macchina volante…”
Il “proiettile planetario” che, nella fantasia degli autori, atterra nelle nostre regioni artiche utilizza e trasporta a bordo una tecnologia fuori da ogni immaginazione, una tecnologia allo stesso tempo distruttiva e costruttiva, che spinge i nostri eroi terrestri a sforzarsi per fare un balzo in avanti, in modo da poter sperare di più efficacemente contrastarla: e dunque ecco che dalle nostre officine usciranno nuovi modelli di aerei e persino un razzo stellare. Anche questo spunto di trama ritroveremo nella fantascienza letteraria e cinematografica del domani. Ci riferiamo, per esempio, al monolito nero che appare nel film 2001: Odissea nello Spazio (diretto da Stanley Kubrick nel 1968, ispirandosi a un breve racconto di A. C. Clarke, La sentinella, datato 1948). Una delle speculazioni sulla natura e sullo scopo del misterioso oggetto scuro a forma di parallelepipedo che nella pellicola appare a ogni momento cruciale nella storia dell’Uomo (la scoperta dell’utensile e la prima guerra, il viaggio nello spazio…) è che non sia un semplice testimone, un “radiofaro” che avverte i suoi misteriosi costruttori dei più importanti progressi umani (e dunque del pericolo che ne può derivare), ma che sia la causa stessa di tali progressi. La spinta aliena all’evoluzione biologica e culturale: un’idea simile la ritroviamo nella quadrilogia sui Giganti di Ganimede, scritta da James P. Hogan tra la fine dei ’70 e i primi ’90, libri nei quali inoltre, si fantastica su un antichissimo pianeta che esplode, i cui frammenti diventeranno Plutone e la Fascia degli Asteroidi, e il cui satellite naturale si staccherà dall’orbita per viaggiare lontano, diventando… la nostra Luna!
E ora un inciso, che funge anche da premessa ai discorsi successivi. Nel 1817 il poeta britannico Samuel T. Coleridge, che pescò a piene mani nel sogno, diventando uno degli involontari precursori del genere fantastico, nella sua Biografia Litheraria parlò di volontaria sospensione dell’incredulità da parte del lettore in presenza di lavori che implicano riferimenti a situazioni palesemente irreali. Nell’opera fantascientifica l’autore chiede infatti al lettore un vero e proprio atto di fede, per potersi godere appieno la creazione letteraria, senza indignarsi di fronte all’impossibile. Per certi scrittori, come Tolkien, Lovecraft, Lewis, Asimov e i più recenti King e Martin, si parla addirittura di “mitopoiesi”, di creazione del mito – intendendo con ciò riferirsi all’architettura perfettamente auto-plausibile, agli elementi, ai collegamenti e alle situazioni ricorrenti fra titoli diversi, alla minuziosa costruzione di scenari, costumi, lingue, personaggi, periodi storici, e così via… nei loro romanzi. Nel fumetto internazionale pensiamo al disneyano Carl Barks e alla sua edificazione, intorno alla famiglia dei Paperi, di una Paperopoli più reale del reale, con una sua ben precisa urbanistica; pensiamo poi ai fumetti della DC o della Marvel, dove centinaia di personaggi si muovono su un palcoscenico comune perfettamente coerente con se stesso, obbediente a ben precisi canoni. Nel cinema guardiamo invece a Lucas, con l’invenzione del complesso universo di “Star Wars”; in TV possiamo infine gettare un occhio alla profonda impalcatura pluridecennale di “Star Trek”, centinaia di episodi in quasi 30 stagioni spalmate su cinque serie diverse, fatta di decine e decine di razze aliene, guerre interstellari, burocrazie, federazioni, imperi, macchinari – il tutto sullo sfondo di una fisica creata appositamente per permettere teletrasporto massivo, armi a raggi, comunicazioni e viaggi a velocità ultraluminiche.
J. R. R. Tolkien, che integrò nei suoi scritti fantasia, miti, archetipi, antiche tradizioni e suggestioni storiche, si riferiva a questo processo narrativo col termine di “subcreazione”, dove i “Mondi Secondari” erano il frutto dell’ingegno dello scrittore, il “Subcreatore” per eccellenza (così nel saggio Sulle fiabe, incluso nella raccolta Albero e foglia); riguardo a Feeria, il Regno delle Fate, il padre degli Hobbit sosteneva che il suo merito risiede nei suoi effetti, tra i quali va annoverata la soddisfazione di alcuni primordiali desideri umani; e uno di essi è quello di sondare le profondità dello spazio e del tempo; un altro è quello di aver comunione con altri esseri viventi; sicché un racconto può trattare della soddisfazione di questi desideri, con o senza l’intervento della macchina o della magia, e nella misura in cui riuscirà efficace si approssimerà alla qualità della fiaba e ne avrà il sapore. E più avanti, parlando dei meccanismi e dei codici narrativi: se possiamo distinguere il verde dall’erba, l’azzurro dal cielo, il rosso dal sangue, abbiamo già il potere di un mago, per lo meno a un certo livello; e si desta allora il desiderio di esercitare tale potere su mondo esterno alla nostra mente. Non ne consegue che tale potere noi lo useremo appropriatamente a ogni livello. Possiamo stendere un ferale verde sul volto di un uomo e generare un orrore; possiamo far germogliare boschi di argentee foglie e far indossare agli arieti velli d’oro, possiamo mettere fuoco caldo nel gelido ventre del drago. Ma tali “fantasie”, come si usa chiamarle, sono la matrice di nuove forme; ha inizio Feeria; l’uomo diviene un subcreatore.
Del resto Mythopoeia, dove si inneggia all’Uomo sub-creatore, è proprio il titolo di un erudito e appassionato poema di Tolkien, redatto in difesa della creazione dei miti, contro tutti coloro che sono portati ad accantonare la letteratura “di genere” bollandola come “cumulo di sciocchezze infantili”. Invero tentiamo noi “sognatori” / di ingannare i nostri timidi cuori / e debellare gli orribili Fatti! (versi da Mitopoeia, nella traduzione fatta per Bompiani da Fabrizio Dubosc).
“…le macchine sciolgono il ghiaccio…”
La potenza della saga di “Saturno contro la Terra” sfiora per l’appunto la mitopoiesi. E sicuramente, per godere appieno dell’epopea fumettistica che iniziò nel 1936 e terminò nel dopoguerra, occorre mettere in gioco la sospensione dell’incredulità. Questo addirittura su due livelli. Il primo è quello “tolkieniano”, classico, alla Coleridge: per godersi fino in fondo il fumetto dobbiamo stare al gioco, accettare il fantastico e il fantascientifico come fossero dati di fatto e cose reali. Il secondo livello è più sottile da indagare: leggere nel XXI secolo inoltrato un’opera fantascientifica immaginata 70-80 anni prima di quest’era – dove persino il cosmo di Matrix è ormai datato – ci richiede l’ulteriore sforzo di calarci non solo nella fantasia, accettandola, ma nella fantasia antica, nelle meraviglie di un domani immaginato ieri, con tutte le sue affascinanti ingenuità! Ecco dunque, per esempio, che lo sterminato apparecchio che porta gli alieni inter nos per atterrare ha comunque bisogno di ruote, tradizionali seppur colossali. Poi: l’energia elettrica per far funzionare tutto l’immenso ambaradan che i Saturniani costruiscono sull’Artide viene ottenuta sciogliendo il ghiaccio in giganteschi macchinari, dai quali si sprigionano immani cascate d’acqua che vanno ad azionare ciclopiche turbine, in una sorta di impossibile “moto perpetuo”: da dove arriva infatti la corrente per far funzionare gli apparati iniziali per la fusione glaciale? Inoltre, i piani di guerra dei Saturniani, che dispongono di sistemi simili alla televisione, sono però impressi su fogli di quello che pare normalissimo acetato. Infine, fanno tenerezza le “fumate” che il razzo terrestre emette… nello spazio (!) per confondere il vascello saturniano, che usa da par suo una “rete d’acciaio” (sempre nello spazio!) per catturare velivoli nemici. E così via…
“…onde concentriche che annullano la forza di gravità…”
Questi saporiti “fanta-arcaicismi”, specchio di un’epoca lontana, vengono però controbilanciati da una ridda di stupefacenti e ultrafuturibili intuizioni narrative. Paradigma di questa ridda di straordinarie invenzioni è la macchina che annulla la forza di gravità, sparando “onde concentriche”. Novità assoluta, se pensiamo che le “onde gravitazionali” sono state osservate per la prima volta solo nel 2016… Inoltre il controllo della forza di gravità prevede una profonda comprensione della forza stessa (gravitoni?), sulla quale invece la comunità scientifica si sta ancora spaccando il cervello! Ci sono poi i “sibilanti”, armi prodigiose saturniane che inceneriscono senza sforzo le armate aree terrestri: veri e propri cannoni a raggi (non a caso si parla nel fumetto di “micidiali fiammate”) come quelli montati sulle astronavi dal ciclo di “Star Trek” in poi. E come non associare gli “imbuti aspiranti” che risucchiano aerei come fossero foglie secche ai “raggi traenti” delle varie epopee fantascientifiche del grande e piccolo schermo? Un altro prodigio è quello dei “raggi nutrienti”, con i quali i Saturniani evitano la fatica di mangiare e lo spreco di tempo del dormire: bagnandosi in quella luce corroborante recuperano forze fisiche e agilità mentale.
Si tratta dell’idea che l’energia e la massa siano in qualche modo equivalenti: invece che ingurgitare cibo massivo e aspettare che l’organismo lo trasformi lentamente in energia, questi intelligenti extraterrestri mangiano direttamente energia! Veri padroni dell’elemento E, i Saturniani usano la corrente anche per indurre ipnosi e sono capaci di sommare guerra chimica e guerra elettronica in un’unica soluzione. Possono infatti generare e guidare a distanza una “nube nera” (oggi potremmo dire che è formata da nanoparticelle, come il robot Klaatu nel tutto sommato godibile rifacimento di Ultimatum alla Terra) che asfissia le popolazioni di intere città, distruggendo in un baleno tutte le infrastrutture (la cavia è Cristiania, ovvero Oslo). Altre radiazioni (gravitazionali?) vengono utilizzate dal nemico ultraplanetario per far uscire il Tamigi dal suo alveo e allagare la capitale britannica (c’è anche Radio Londra che lancia un disperato SOS). Infine i Saturniani riescono a collegarsi con il loro mondo e ricevere direttamente da lassù l’energia di cui hanno bisogno: è il sogno del domani, quello di spedire “via radio”, senza cavi, tutta l’energia necessaria, da usarsi alla bisogna, in tempi e luoghi successivi a quelli della produzione.
La metropoli centrale di Plutone, pianeta oggetto delle brame dei Saturniani, sfrutta potentissimi campi elettromagnetici per rimanere sospesa sopra l’oceano di melma radioattiva che riveste il lontano globo: grande anticipazione questa degli autori mondadoriani, e lo stesso Plutone, in quel 1936, era dopotutto fresco di conio, essendo stato individuato in fotografia per la prima volta solo nel 1930, e ipotizzato da appena una trentina di anni (nel 1906 uno dei primi a suggerirne l’esistenza fu un giovanissimo H. P. Lovecraft). Gli scienziati della Terra, trovato il sistema per bonificare Plutone dai fanghi impestati di radium (elemento prezioso al quale miravano quelli di Saturno), fanno fiorire dallo strame foreste e rigogliosi giardini fruttiferi: è un chiaro processo di terraformazione, oggi ben noto espediente narrativo che, nella fantascienza più matura, consente agli esploratori spaziali di rendere ospitali pianeti ostili – cambiandone innanzitutto l’atmosfera, facendo piovere, spargendo semi e microorganismi, etc.
Precursori in tutto, i nostri autori “scoprono” anche il segreto dell’invisibilità. “Scoprono” nel senso tecnologico, visto che per via chimica già ci aveva pensato Wells nel 1897. Oggi tessuti che garantiscono una specie di invisibilità a chi li indossa vengono studiati nei laboratori di ricerca militare. In chiusura, l’arma estrema dei Saturniani: migliaia di animali della Terra vengono condotti in un titanico recinto e ingranditi a suon di radiazioni. Si presume che il procedimento sia lo stesso del raggio per nutrirsi, altrimenti queste bestie rese enormi artificialmente sarebbero tanto poco compatte (aumenterebbe il loro volume, ma non il loro peso) da volar via col vento: accrescere la massa tramite l’energia, come viene fatto negli acceleratori di particelle.
“…strani uomini di statura sui due metri…”
Immersi in questo presente proiettato nel futuro i protagonisti della saga sono estremamente caratterizzati dagli autori, e sembrano prendere per davvero vita dalla carta del fumetto. L’astronomo italiano, il Professor Marcus, che per primo riesce a capire, grazie al suo telescopio e a una potente macchina fotografica a esso collegata, che da Saturno sta arrivando un oggetto guidato da vita senziente, è assistito dal giovane e brillante allievo Ciro, esperto pilota, uomo d’azione, pronto al sacrificio per il bene della Nazione – spesso accompagnato dal fido Bastiano.
Marcus implora il consesso scientifico (guidato dallo scettico Leducq) di credere alla minaccia spaziale che incombe, ma se non viene deriso, poco ci manca: è il prototipo dello scienziato “alternativo”, posto fuori dagli stretti giri accademici, isolato dalla casta, uomo solo che, pur potendo sfoderare inoppugnabili prove, deve gridare più forte del coro per farsi ascoltare. Prenderà alla fine la sua rivincita, proprio quando i branchi di bestie scatenate ingigantite dagli alieni stanno per distruggere il centro di Milano; il collegamento con Saturno che permette agli extraterrestri di ricevere energia in abbondanza per i loro macchinari (senza dover ricorrere al “moto perpetuo”!) viene tagliato e Marcus, affacciato dal balcone di un palazzo romano impavesato col Tricolore, annuncia: …e ora la nostra parola d’ordine è ricostruire! L’Italia, culla della civiltà del mondo, ha vinto e darà l’esempio, come sempre, di quali miracoli siano capaci l’ordine e la disciplina!!
Gli imponenti Saturniani che arrivano sulla Terra con complessi progetti di conquista e d’espansione nel Sistema Solare (pianificano di usare il nostro pianeta come base per attaccare… Plutone, scoprono i Nostri) sono guidati da Rebo, un personaggio di statura mitica che suggestionerà generazioni di lettori, come ebbe a definirlo Leonardo Gori, uno dei massimi esperti italiani del fumetto anteguerra (su “Comic Art” n. 116 del giugno 1994, nel periodo in cui anche il sottoscritto si onorava di collaborare al prestigioso mensile romano ideato da Rinaldo Traini). Deciso, autoritario, cinico, sicuro del suo potere, aiutato dal suo vice Nutor, zdice ai suoi, riferendosi ai deboli terricoli: Hanno delle macchine che non valgono nulla! Distruggerli tutti sarà un gioco!
Più gentili e raffinati, con le loro città allo stesso tempo avveniristiche ed estremamente ricercate nelle decorazioni, sono i Plutoniti, che Rebo, avendo tradito un iniziale patto d’alleanza siglato con loro in funzione anti-terrestre, vorrebbe ora sottomettere al pianeta con gli anelli. Affascinante la regina del remoto mondo, Sulinea – elfica, nobile e dai tratti iperborei.
…l’immane fronte di cavalli, buoi e tori giganti raggiunge le prime case di Milano…
Come in ogni buona opera di fantascienza d’azione, non manca nel capolavoro di Zavattini, Pedrocchi e Scolari il gusto per il catastrofico e l’apocalittico. Tutto inizia con l’arrivo del razzo di Rebo nell’atmosfera. Lo spostamento d’aria prodotto dall’olimpico velivolo fa precipitare in mare tutti gli aerei inviati a intercettarlo e abbatte tutto quanto nel raggio di 1000 chilometri. Le armi da battaglia dei Saturniani, come i “sibilanti” e gli “imbuti aspiranti”, fanno fuori altre migliaia di aeromobili. I ghiacci del Polo Nord vengono sciolti per procurarsi energia. Una “nube nera”, pestilenza tecnologica in pieno XX secolo, riporta in Norvegia incubi di morie medievali. Radiazioni misteriose fanno straripare il Tamigi e radono al suolo Londra.
Il culmine di questa gara alla fine del mondo lo troviamo però nel finale, con gli animali accresciuti per via radiante: Berlino viene distrutta da rospi giganti; Parigi – con i suoi simboli come la Torre Eiffel – viene devastata da buoi grandi come case; New York, in un anticipo di 65 anni sull’undici settembre, viene rasa al suolo da lucertole della taglia di Godzilla – anche qui anticipando qualcosa, ovvero i film giapponesi di 20 anni dopo…
L’ultima nazione destinata a cadere è l’Italia, per la quale gli autori di Saturno contro la Terra ritagliano – ovviamente – un ruolo speciale: le fiere sovradimensionate scavalcano le Alpi e si dirigono inesorabili verso il capoluogo lombardo, cominciandone già a pesticciare le periferie; aquile grandi come i mitologici Roc sorvolano il Duomo e sfiorano con gli artigli la “Madunina”…
Una metropoli fantastica, sulla quale Zavattini tornerà quindici anni dopo, con il film Miracolo a Milano (diretto da De Sica). L’Italia vince, per un soffio, e gli alieni, almeno per ora, tornano alle loro cabile con la coda fra le gambe. In queste sequenze da tauromachia al cubo Scolari raggiunge davvero vertici artistici difficilmente pareggiabili, tratteggiando animali e paesaggi urbani con estrema perizia e realismo.
Sulla sceneggiatura e sui disegni ritorneremo comunque alla fine di questo nostro excursus su “Saturno contro la Terra”, un avvincente capolavoro senza tempo, che fa diga al fluire dei decenni.
(fine seconda parte)
Francesco G. Manetti