Nelle prime due tappe di questo nostro lungo viaggio su Saturno abbiamo parlato degli autori, dell’impostazione generale della saga fumettistica e del primo capitolo – che dona il nome all’intera opera e che ne stabilisce i canoni narrativi. In questa terza parte ci occupiamo dei capitoli due e tre. Continueremo il nostro ampio discorso sul capolavoro di Zavattini, Pedrocchi e Scolari (con gli ultimi quattro capitoli del fumetto e con l’analisi complessiva del disegno e della sceneggiatura) in due o tre interventi finali. Va ricordato e sottolineato che Zavattini collaborò unicamente alla stesura del primo episodio; a partire dal secondo i testi sono da attribuirsi interamente al genio di Federico Pedrocchi.
Il non-morto
La seconda parte di “Saturno contro la Terra”, Rebo ritorna, cominciò originariamente su “Topolino” n. 239 del 22 luglio 1937 e proseguì fino al n. 268 del 10 febbraio 1938; l’episodio sarebbe stato ribattezzato L’isola di sabbia sulla ristampa dell’Albo d’Oro n. 51 del 1947 e dunque anche nel volume della Milano Libri del 1968, raccolta completa del ciclo – riferendosi alla nuova base di Rebo, l’immaginaria isola di Bornos, circondata per l’appunto da pericolose sabbie mobili.
Nello straordinario congedo del primo episodio gli uomini della Terra, guidati dalla mente del Prof. Marcus e dal braccio dell’aviatore Ciro, umiliano i Saturniani nei loro piani di conquista planetaria proprio alle porte di Milano. Sventata la minaccia aliena può iniziare così la lunga opera di ricostruzione delle infrastrutture, soprattutto urbane, devastate da raggi della morte, allagamenti artificiali, nubi venefiche, animali colossali e tutta una serie di moderne piaghe artificialmente evocate. Rebo, sconfitto, precipita nelle acque del Mare Artico, e pare definitivamente spacciato! Ma qualcosa cova sotto la cenere, o meglio, sotto ai ghiacci…
I vari mezzi di comunicazione popolari ci hanno abituati alla figura del vampiro, essere presente nell’antico e secolare folklore dell’Europa orientale, idealizzato e canonizzato nel romanzo da tutta una serie di autori ottocenteschi – dall’italo-britannico John William Polidori (Il vampiro, 1819) fino all’irlandese Bram Stoker (Dracula, 1897) – e poi ripreso in mille modalità nei decenni a venire: nei libri, al cinema, in TV, nei videogiochi… e nei fumetti. A proposito di quet’ultimi, a mio avviso uno dei capolavori della narrativa fumettistica sui nosferatu è Un vampiro a New York di Castelli & Bignotti, pubblicato nel 1983 dalla Sergio Bonelli Editore in due albi consecutivi della collana “Martin Mystère”. Ci sono varie costanti che ci permettono di identificare l’aspetto letterario e fantastico della figura del vampiro: teme l’aglio, l’acqua (soprattutto santa), il ghiaccio e la croce; dorme in una bara; può trasformarsi in svariati modi (pipistrello, lupo, fumo, nebbia, etc.); ha un potere ipnotico; ha una forte attrattiva sessuale sulle donne (o sugli uomini se il vampiro è omosessuale o femmina!); si nutre di sangue umano; se non aggredito è virtualmente immortale; può essere ucciso con un paletto di frassino piantato nel cuore. E quando muore si dissolve in fine polvere, venendo spazzato via dal vento, come se i secoli che la creatura ha rubato alla Morte le venissero addebitati tutti insieme contemporaneamente!
Per molti versi quello che succede ai Saturniani e alle strutture colossali che avevano impiantato nell’Artico durante il primo episodio ricorda appunto il dissolversi del vampiro. Dev’essere l’azione del radium contenuto nel metallo e nei raggi alimentatori coi quali si nutrivano, commenta il Prof. Marcus. Tutto quello che è piovuto da Saturno si scioglie e si polverizza – esseri viventi e apparecchiature… Tutto svanisce come un sogno all’alba.
Rebo però è diverso, è sopravvissuto alla catastrofe del suo popolo; vediamo la sua inquietante e gigantesca ombra allontanarsi dal luogo del disastro sotto la superficie del mare gelato come se nuotasse in calde acque tropicali. Com’è potuto accadere? Abbiamo detto che la creatura della notte ha tra le sue virtù quella dell’immortalità, pur avendo il suo bravo tallone d’Achille. Rebo è modellato proprio su questo cliché. Non eravate morto, dunque!, esclama uno stupefatto Leducq all’apparizione del saturniano. No, come vedete!, risponde il gigante. Ogni cento anni su Saturno nasce un “eletto”, cioè un essere che, pur essendo fatto come gli altri, è immortale a contatto di tutti gli elementi, tranne uno che, naturalmente, non vi svelerò! Ebbene io sono un “eletto”! Ovviamente l’elemento di cui parla Rebo, la sua kryptonite, non è il frassino: ma il concetto è quello!
Due mesi dopo, ultimo dei Saturniani sulla Terra, Rebo entra nel vivo con i suoi piani di vendetta: in un brevissimo lasso di tempo l’alieno mette in piedi un’organizzazione criminale segreta dotata dei più moderni mezzi di trasporto, come l’autogiro (progettato nel 1919 dall’ingegnere spagnolo Juan de la Cierva, fu però perfezionato e commercializzato solo fra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, diventando l’antenato dell’elicottero) e rapisce i migliori scienziati del mondo, tra cui appunto l’avido e rancoroso Prof. Leducq, nemico di Marcus e invidioso del successo del rivale – che con Ciro aveva salvato il Globo, guadagnandosi universale e imperitura gloria; promette al traditore di nominarlo Grande della Terra se metterà il suo sapere a disposizione di Saturno. Leducq non esita un attimo e diventa lacché di Rebo.
Anche qui Federico Pedrocchi (adesso sceneggiatore unico, ricordiamolo), come era accaduto nel primo episodio, precorre in qualche modo i tempi: l’idea di base dell’organizzazione segreta illegale anni dopo la ritroveremo nella popolarissima saga dell’agente segreto 007 di Fleming, a partire dal romanzo Operazione Tuono del 1961 e dal primo film Licenza di uccidere del 1962; ma già nel 1946 il belga Edgar P. Jacobs (eminente autore della “linea chiara”, al pari di Hergé) crea qualcosa di simile con l’ambaradan architettato dal “super-cattivo” Olrik alle spalle di Blake & Mortimer, protagonisti di una fortunatissima saga a fumetti che continua ancora oggi, settanta anni dopo il debutto, con i successori dell’artista.
Rimanendo nei fumetti, come non pensare poi alla caratterizzazione dell’HYDRA (creata nell’universo Marvel nel 1965) o all’organigramma e alle infinite disponibilità economiche degli Uomini in Nero, potentissima setta scientifico/tecnologica/esoterica immaginata da Castelli per “Martin Mystère” nel 1982?
E non è tutto: anche se l’avanzatissima tecnologia aliena si è dissolta, gli uomini della Terra hanno sicuramente carpito qualcosa di quei tesori scientifici… Sembra quasi un anticipo del filmone hollywoodiano Independence Day: Resurgence, uscito nel 2016 come secondo capitolo della pellicola del 1996: sconfitti gli extraterrestri gli umani saccheggiano i giganteschi relitti delle astronavi nemiche e la Terra, in venti anni, compie un balzo tecnologico di secoli! Ecco dunque che, a partire da questo episodio (ma già possiamo mettere in conto il razzo spaziale di Marcus visto nella puntata precedente), le opzioni di risposta del Mondo si fanno più consistenti, come le cupole isolanti trasparenti montate per difendere arsenali e depositi di armi dagli attacchi elettrici del redivivo saturniano. Gli aerei, invece, si proteggono dai fulmini artificiali con reti metalliche isolanti – che non sono altro che “gabbie di Faraday”.
I piloti hanno inoltre a disposizione “paracaduti a motore”, veri e propri “zaini a razzo” ante-litteram – che nella realtà sarebbero stati provati e riprovati senza tangibili successi a partire dagli anni Sessanta; tali sistemi sono nati, come si legge da più parti, dalla fantasia degli scrittori di fantascienza (com’erano quelli delle riviste “popolari” americane, per esempio, a partire dal 1928 e dal racconto The Skylark of Space) e dei fumettisti (per esempio, la saga di Buck Rogers, partita sempre del 1928).
Il piccolo esercito di Rebo può attaccare usando “torpedini radiocomandate” sparate da cannoni navali; gli uomini di Marcus hanno però allestito un’analoga contromisura più potente – e vincono. Questa battaglia a colpi di onde radio ricorda da vicino la guerra elettronica che oggi si combatte o si combatterebbe nei cieli in ipotetici scenari di battaglia aerea, con misure e contromisure di ogni tipo per annebbiare i sistemi radar e di puntamento computerizzati dell’avversario. I primi esperimenti in questo senso, ovvero di accensione o guida radiocomandata di marchingegni, risalgono addirittura alla fine dell’800 per opera del “genio incompreso” Nikolas Tesla, con il brevetto di un’imbarcazione gestita a distanza (il documento è di pubblico dominio nel sito dell’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti).
Ma si dovranno appunto aspettare gli anni Trenta di Pedrocchi per avere qualcosa di più tangibile: nel 1930 il nostro Guglielmo Marconi, a bordo della sua nave-laboratorio Elettra alla rada di Genova, accese l’illuminazione pubblica di Sidney; e l’anno successivo, da Roma, lo scienziato accese le luci della statua del Cristo Redentore a Rio de Janeiro. Per avere efficienti sistemi di guida radiocomandata applicabili a ordigni simili ai missili che lancia Rebo, dovrà però passare tutta l’era delle valvole termoioniche, tutta l’epoca dei transistor, fino ad arrivare agli anni Settanta, con i circuiti integrati.
Gli effetti dell’apparecchio “occultatore” che Leducq inventa allo scopo di rendere invisibile la nave che Rebo ha eletto a propria base galleggiante (e che può all’occorrenza blindarsi e trasformarsi in un sommergibile!) somigliano per moltissimi aspetti a quelli che si sarebbero dovuti manifestare se il cosiddetto “esperimento Filadelfia” del 1943 avesse avuto successo. L’idea della marina militare americana era quella di rendere invisibili le proprie navi da guerra grazie all’utilizzo di potenti campi elettromagnetici; durante una prova condotta sul cacciatorpediniere USS Elridge si sarebbe invece aperto quello che in fisica è noto come “ponte di Einstein-Rosen”, detto anche, secondo una terminologia più moderna oggi molto sfruttata in ambito fantascientifico, wormhole (= buco di verme), un collegamento a distanza causato da una curvatura anomala dello spaziotempo, che avrebbe in pratica dislocato istantaneamente il natante – ormeggiato al molo di Filadelfia in Pennsylvania – nelle acque di Norfolk, in Virginia, facendolo tornare indietro pochi minuti dopo (con spaventosi danni sui marinai: invisibilità a singhiozzo, fusione della carne col metallo delel paratie, episodi di autocombustione, etc.).
Sulla presunta vicenda sono stati scritti numerosi articoli e libri di saggistica, come quello di Berlitz del 1979, e girati svariati film (interessante Philadelphia Experiment del 1984). Ma già nel 1937 Pedrocchi aveva avuto la medesima intuizione letteraria!
Rebo usa la sua nave-sottomarino come punto d’appoggio in mare aperto, ma alla sua base centrale, più solida, si accede dalle viscere della già citata isola di Bornos (inesistente, ma che nel nome ricorda quello dell’isola del Borneo, nel sud-est asiatico): le atmosfere di tale covo segreto, pieno com’è di macchinari, di campane di vetro che permettono di scendere sott’acqua, di titaniche torri di avvistamento (con nidi di mitragliatrici) che escono all’aria aperta, di compartimenti stagni di ogni tipo, etc. il tutto comandato con sistemi di leve, argani, pulegge… sono evidentemente frutto della lezione di Giulio Verne – in particolar modo del Verne della saga di Nemo (Ventimila leghe sotto i mari del 1870 e L’isola misteriosa del 1874), più volte trasposta, in film e fumetti.
Allo scrittore francese pare ispirarsi anche il mezzo che il saturniano usa per fuggire dalla sua base ormai in completo sfacelo: un proiettile-razzo sparato da un cannone del tutto simile ai modelli ferroviari a lunga gittata sviluppati soprattutto in Germania a partire dalla Prima Guerra Mondiale (come il Parisgeschütz) e poi affinati nel conflitto successivo (Krupp K5); il collegamento diretto con Verne può trovarsi nel romanzo Dalla Terra alla Luna, dove i pionieri cosmonauti vengono letteralmente sparati da una possente bocca di fuoco verso il nostro satellite naturale.
La sceneggiatura degli anni Trenta va ovviamente oltre l’ispirazione verniana: vediamo per esempio un bell’esemplare di televisore per televisione a circuito chiuso usato da Rebo per comunicare all’istante da un ambiente all’altro del suo immenso rifugio isolano e sottomarino. Si trattava di un’apparecchiatura recentissima al tempo in cui fu ideato il fumetto: i primi televisori videro la luce alla fine degli anni Venti, ma il modello commerciale a tubo catodico, che avrebbe resistito fino al XXI secolo, fu inventato dalla Telefunken solo nel 1934, e prodotto anche in Italia a partire dal 1936!
Ecco poi un apparato a funzionamento “magnetico” che permette di ridurre in schiavitù mentale coloro che vi sono sottoposti: Rebo riesce a creare così veri e propri automi umani, golem senza una volontà propria, assoggettati completamente al suo volere; è con questo sistema che l’extraterrestre è riuscito, in poche settimane dalla sua sconfitta artica, a ricreare tutte le ciclopiche strutture dalle quali lancia un nuovo attacco al pianeta – grazie ai bicipiti di un esercito sterminato di robot di carne!
Una parte del rifugio saturniano poggia sui fondali oceanici, sotto un’immensa cupola vetrosa, che all’occorrenza può essere aperta, allagando tutto. Pensare all’Atlantide viene quasi istintivo – però a un’Atlantide diversa e nuova, non a quella dall’aspetto classico greco-romano o comunque classicheggiante, ma a un’Atlantide futuristica, come quella che possiamo imparare a conoscere leggendo la collana di “Martin Mystère” – o all’Atlantide nell’interpretazione fumettistica degli autori della DC Comics o della Marvel. Vengono però in mente, pensando all’extraterrestre da Saturno che si è incistato nelle profondità marine, anche gli avvistamenti di USO (secondo l’uso inglese: Unidentified Submarine Object), noti anche come OSNI (in italiano: Oggetto Sottomarino Non Identificato) – intendendo con tale acronimo quei “dischi volanti” che non vengono osservati in cielo come gli UFO (o OVNI), ma in acqua – o che comunque vengono visti decollare dal mare.
E a tutto questo potremmo aggiungere le storie sul Triangolo delle Bermude e simili strane distese oceaniche dove avverrebbero fenomeni inspiegabili (sparizioni di natanti e di aerei, problemi con le bussole, ribaltamenti di coordinate, etc.).
Non si creda però, dopo essersi strabiliati (mettiamoci per un attimo nei panni di un lettore degli anni Trenta) di fronte a tutti questi prodigi artificiali che quella di Pedrocchi sia un’ode ottusa alla Scienza! Il vile Leducq viene accusato da Marcus di aver tradito tutti, ma lui risponde, alzando le spalle: Uh! Che parole grosse! Io faccio lo scienziato e servo chi mi offre il mezzo di vincere! E Rebo, di rimando: Egli mi darà nelle mani il mondo! Non è che la comunità scientifica ci faccia, nel suo complesso, un’adamantina figura!
Per quanto riguarda i personaggi viene adesso introdotta nella sceneggiatura la bella Iny, figlia di Marcus e attuale fidanzata di Ciro – secondo l’uso fumettistico di sempre. Iny non ha un gran ruolo “attivo” nell’economia della storia, ma recita la parte – facendosi rapire dagli sgherri di Rebo – di quella che gli inglesi chiamerebbero damsel in distress, damigella in pericolo. È un vero e proprio topos letterario, che affonda le radici nell’antichità classica, ma che si sviluppa nel senso a noi più noto e familiare nell’ambiente trobadorico medievale, nei poemi e nei cicli cavallereschi europei che attraversano vari secoli (la saga di Re Artù, le vicende dei Paladini, l’Orlando Furioso, il Don Chisciotte, etc.), in Shakespeare, negli scritti del romanticismo, nell’opera lirica… fino ad arrivare al XX secolo, con la nascita del fantasy e dell’horror moderni. Nel fumetto internazionale la figura della ragazza da salvare smuove migliaia di trame e canovacci; e così nel cinema – migliaia di titoli in ogni genere: giallo, western, avventura, fantascienza, e così via.
La fanciulla da strappare dalle grinfie del cattivo di turno, quando arriva l’eroe (che spesso è il suo spasimante), si presenta legata, imbavagliata, incarcerata, fissata a umide mura con pesanti e rugginose catene… Nemmeno il racconto di Pedrocchi sfugge a questi stimolanti “tormentoni”: quando Ciro arriva sul luogo del delitto troverà infatti Iny chiusa in una singolare gabbia circolare, con le sbarre che – comandate dall’immancabile leva – possono stringersi attorno alla malcapitata, fino a stritolarla nel metallo.
Di più grande spessore la nemesi da Saturno. Le ultime pagine sembrano presagire la fine di una figura indimenticabile, resa da Pedrocchi arrogante e avida, ma con notevoli risvolti drammatici, quasi come fosse il protagonista di una tragedia. Sul finale, quando tutto sembra perduto, Rebo, come un consumato attore (o protagonista) di un’opera teatrale, alza le braccia al cielo e invoca: Oh! Saturno! Potessi almeno comunicare con te! Ma il mio sogno non si spegnerà ugualmente! Fuggirò ancora e ricomincerò! I Terrestri non potranno vincermi mai!…
Scontro di mondi
La guerra dei pianeti è il titolo della terza parte di “Saturno contro la Terra”, episodio che si sviluppò dal n. 269 al n. 294 del settimanale mondadoriano “Topolino” (dal 17 febbraio all’11 agosto 1938) e che fu ristampato con lo stesso titolo sull’Albo d’Oro n. 57 del 14 giugno 1947 (fascicolo che fu utilizzato anche per la più volte ricordata opera omnia in volume della Milano Libri nel 1968).
Se lo scontro fra la Terra e Saturno come ci viene descritto in Rebo Ritorna rimane a un livello quasi “intimo”, per cui la gran parte delle masse è inconsapevole della minaccia che torna a incombere sulle loro teste, il nuovo racconto di Pedrocchi e Scolari riscopre gli scenari catastrofici e apocalittici che avevamo ammirato nella prima storia.
La fonte principale, fin dal titolo, è da ritrovarsi nello scrittore britannico H. G. Wells e nel suo capolavoro La guerra dei mondi (1894), pubblicato in Italia già nel 1901; per ragioni cronologiche Pedrocchi può essersi ispirato al solo romanzo, in quanto il primo adattamento in altri mezzi di comunicazione (quello celeberrimo radiofonico di Orson Welles che, alla fine dell’ottobre del 1938, scatenò un ondata di panico in tutti gli Stati Uniti) è successivo, seppur di poco, all’uscita del fumetto.
L’inizio dell’episodio ha comunque più i toni del giallo misterioso, del romanzo di spionaggio internazionale, che dell’opera di fantascienza. Negli anni a venire Edgar P. Jacobs, che abbiamo indicato come uno dei massimi esponenti della scuola fumettistica franco-belga della Linea Chiara, sfrutterà al massimo questo artificio narrativo, passando nel corso di parecchie delle sue storie dal poliziesco iniziale al fantastico finale: Il marchio giallo (1953), L’enigma di Atlandide (1955/56), S.O.S. meteore (1958/59) e La trappola diabolica (1960/61) sono i grandi capolavori jacobsiani che ricorrono a questo affascinante meccanismo letterario. Alcune sequenze della storia La guerra dei pianeti ricordano molto, molto da vicino altrettante sequenze dei fumetti di Jacobs; valga per tutti l’esempio del percorso sotterraneo che Ciro e Marcus intraprendono a partire dalla pianura dell’Emilia, fino a trovare, in vaste caverne sepolte, l’immortale Rebo che architetta laggiù il suo nuovo complotto, provenendo lui però da un vulcano sito in Islanda; nella già citata storia L’enigma di Atlantide di Jacobs troviamo un analogo momento narrativo, con il lungo pellegrinaggio compiuto sottoterra dai protagonisti Blake e Mortimer. Difficilmente Jacobs si sarà ispirato in maniera diretta a Pedrocchi (anche se, ricordiamolo, “Saturno contro la Terra” aveva già avuto rilevanza internazionale), ma le attinenze restano…
Più plausibile invece che Pedrocchi e Jacobs si siano rifatti entrambi all’immancabile Giulio Verne e al suo fondamentale Viaggio al centro della Terra (1864).
Il sottosuolo immaginato da Pedrocchi, come quello di Verne, è un mondo a sé. È il dominio di una razza di “giganti fosforescenti” (noti a Marcus ma creduti estinti) che, come i vampiri di cui abbiamo parlato sopra, sono vulnerabili alla luce del Sole, capace di bruciarli e ucciderli all’istante. Non ne sono però consapevoli e il saturniano sfrutta proprio questa loro ignoranza, promettendo loro di portarli all’aria aperta se lo aiuteranno. Rebo, infatti è sempre alla ricerca di un esercito di sottoposti per mettere in atto i suoi schemi criminali, e trova in questa possente, seppur ingenua popolazione ctonia, una nuova claque e una nuova forza muscolare, usando paroloni e inganni vari, e non artificiali ipnotismi, come aveva fatto coi suoi golem magneticamente indotti nella storia L’isola di sabbia.
Il giallo iniziale, al quale avevamo accennato, consiste nella inspiegabile sparizione dei rappresentanti e dei diplomatici di tutti i “potentati” del mondo, che si erano riuniti in un palazzo costruito sulla pianura emiliana – una specie di distaccamento della Società delle Nazioni, immaginiamo… Il Prof. Dupont (altro insopportabile francese), allievo del traditore Leducq, accusa Marcus e Ciro del misfatto, e i due vengono addirittura imprigionati. L’ambasciatore della Danimarca viene ritrovato dai Bobbies londinesi legato a un palo, assassinato, con un coltello piantato nel petto a reggere un minaccioso messaggio, a due passi dalla sede del Parlamento e dal Big Ben: sembra un brano dallo Sherlock Holmes di A. Conan Doyle o l’Edgar Allan Poe de I delitti della Via Morgue! Il mistero viene comunque presto risolto (era stato Rebo a sequestrare i dignitari), La guerra dei pianeti vira bruscamente e sorprendentemente verso il fantascientifico, e l’azione si fa enormemente più spettacolare.
La prima mossa del feroce Rebo è quella di infestare l’intera Terra con germi del tetano e del vaiolo, percorrendone tutti i cieli con orbite intersecate “a margherita” a bordo di un razzo capace di volare a mille chilometri al secondo, per poi subito fuggire verso il natale Saturno. Gli agganci letterari sono numerosi e notevoli. Ricordiamo La fine del Mondo (Flammarion, 1894), La nube purpurea (scritta nel 1901 da M. P. Shiel, che può aver ispirato anche la nube nera di Saturno contro la Terra) e La peste scarlatta (Jack London, 1912). E c’è da dire che nel libro La guerra dei mondi sono i marziani a morire di malattie contratte nell’aria terrestre. seppur ribaltata, un’altra attinenza!
Il risultato della guerra batteriologica (che ancora viveva nel ricordo degli Italiani che avevano combattuto nella Grande Guerra) è spaventoso e Pedrocchi lo narra con toni da Ragnarok: Gli effetti dell’opera criminale di Rebo non tardano a farsi sentire in ogni parte del mondo. La pestilenza dilaga con rapidità impressionante, decimando uomini e animali. Intere città sono trasformate in ospedali. La più spaventosa desolazione regna nelle campagne abbandonate. Gli stessi medici cadono a decine nel compimento della loro missione. Le popolazioni emigrano in massa in cerca di regioni meno colpite, seminando di cadaveri il loro cammino senza speranza. Anche le officine allestite dal Prof. Marcus per le costruzioni in progetto, sono ferme per mancanza di operai validi. Già, Marcus: per risolvere un problema da “fine del mondo” occorre il più grande scienziato del mondo e un’idea davvero… fuori dal mondo! I delegati delle varie nazioni conferiscono a Marcus mezzi di portata planetaria e un potere assoluto – secondo un’investitura che ricorda quella da cui nasceva la figura giuridica del dictator in epoca antico-romana. Dopo una sola settimana di organizzatissimo e intensissimo lavoro, due immani cannoni di foggia sinora sconosciuta, sono ultimati e vengono piazzati su una vasta altura del Canadà. L’enorme contraccolpo causato dalle esplosioni provoca lo spostamento del globo terrestre dalla sua orbita normale. Il successo è completo… La Terra viene a trovarsi finalmente fuori dell’atmosfera inquinata da Rebo. La nuova atmosfera che avvolge il mondo è purissima e salutare. La sua levità e trasparenza sono straordinarie… Col suo telescopio, Marcus, grazie all’atmosfera trasparentissima, può seguire la fuga di Rebo in ogni sua fase.
Solo in futuro, e solo nei più estremi romanzi, fumetti e film di fantascienza avremmo visto simili soluzioni dell’intreccio! Negli albi di Superman e dei Fantastici Quattro, per esempio, o in pellicole di catastrofi astrali, come quelle nelle quali i terrestri si alleano per respingere giganteschi meteoriti in rotta di collisione… e cose simili! Oppure nelle più contemporanee saghe di “Star Trek” e di “Guerre Stellari”, dove interi pianeti vengono fatti saltare in aria da macchinari che magari risucchiano l’energia di intere stelle per funzionare.
Salvata la terra dai batteri patogeni, Pedrocchi trasforma la storia in una straordinaria space opera, facendo disegnare a Scolari spettacolari sequenze su sequenze di battaglie spaziali. Rebo ha raggiunto Saturno e i terrestri si stanno riprendendo dallo shock sanitario nella loro nuova, pulita e sottilissima atmosfera. Inutile porsi domande su come facciano a rimaner vivi, gli uomini, dopo lo spostamento della Terra e con meno atmosfera (dunque anche con meno pressione dell’ossigeno), oppure come facciano i razzi a incrostarsi di ghiaccio nello spazio profondo e a rallentare per questo la loro corsa: ricordiamoci di quanto abbiamo detto nella seconda parte di questa nostra serie di interventi a proposito della “volontaria sospensione dell’incredulità” richiesta al lettore per godersi appieno un’opera fantastica. L’oggetto del contendere è stavolta Marte: sia i Saturniani, sia gli umani intendono farselo alleato per contrastare meglio il nemico; oppure, se il Pianeta Rosso risultasse disabitato, meditano tutti di usarlo come base d’attacco.
Marte si rivela però una delusione per entrambe le parti: è una sorta di immenso essere vivente, ricoperto sulla superficie di tentacoli con i quali afferra astronavi e tutto quanto per portarsele in gigantesche crepe che fungono da bocche e da accesso ai suoi apparati digerenti. Vediamo come Pedrocchi abbia scelto davvero di sconfinare nell’epico, tratteggiando una sceneggiatura fantascientifica dai toni olimpici, esaltanti – come anni dopo farà per esempio uno Stan Lee scrivendo per la sua Marvel le imprese del divoratore di mondi Galactus; oppure, in letteratura, pensiamo all’idea di Gea nel “Ciclo della Fondazione” e romanzi collegati di Asimov; o a Solaris, scritto nel 1961 dal polacco Stanislaw Lem (con l’oceano pensante che ricopre l’intero pianeta). Se Marte è un osso troppo duro da rodere non resta che dirigersi… su un altro mondo del Sistema Solare.
Il pianeta Venere vive intanto la sua strana vita quieta ed opulenta. Gli abitatori di Venere giacciono mollemente coricati sotto la folta vegetazione che li nutre con i succhi gocciolanti dai rami degli alberi e dagli enormi fiori. Per come vengono genialmente descritti dal Pedrocchi i Venusiani (o Veneriani, come vengono chiamati nell’episodio) sembrerebbero imbelli e debosciati come gli Eloi allevati e divorati dai Morlocchi nell’anno 802.701 nel romanzo La macchina del tempo (1897) di H. G. Wells.
In realtà, pur essendo impenitenti mollaccioni, i Venusiani hanno un’arma micidiale: sciami di api giganti ai loro ordini, potentissime e dotate di una corazza impenetrabile a ogni arma, che respingono in un attimo ogni invasore.
Rebo col suo razzo velocissimo fugge di nuovo, prova a difendersi dalla flotta di Marcus e Ciro con raggi disintegratori ma alla fine viene ancora una volta sconfitto: precipita sulla Terra (suo destino!) aprendo un immane cratere e si polverizza a causa dell’esplosione dei disgregatori di materia.
Sull’orlo del cratere in cui è sprofondato il missile del saturniano, Ciro esclama: Ora forse non sentiremo più parlare di Rebo! Forse, appunto… La guerra dei pianeti, che stavolta aveva visto in ballo ben quattro mondi (Terra, Saturno, Marte e Venere), saluta i lettori con un dubbio.
(fine della 3a parte)
Francesco G. Manetti