17 Luglio 2024
Storia

Fascisti di provincia: Bernardo Barbiellini Amidei (parte seconda)

“Ras di provincia con le scarpe pesanti, capaci di calpestare le ingiustizie” (definizione che Bernardo Barbiellini Amidei preferiva per sé)

 

  1. LO SQUADRISTA – CHE NON E’ MASSONE – DIVENTA AMMINISTRATORE

Come si è visto, Barbiellini uscirà a testa alta dalla questione Luerta, vincitore su tutta la linea, ma per adesso (siamo all’estate del ’24) egli è sotto attacco, con un fuoco di fila “vandeano” che sembra non lasciargli scampo. Pettegolezzi e infamità si mischiano e si accavallano, trovando accoglienza sulla stampa sempre alla ricerca di ghiottonerie scandalistiche.

Della storia delle medaglie ho già detto (11); lo si accusa poi di andare a caccia di pernici e non pagare il dazio, di amare troppo le donne (con una preferenza per le bottonaie), di fare accumulo di cariche e, finanche di essere “troppo religioso” e quasi clericale (lui, che della lotta contro il forte clero piacentino filosturziano ha fatto una bandiera, fino a sfidare a duello don Rodolfo Casaleggi).

Non se ne cura più di tanto: si lega sempre più a Farinacci, che gli sembra l’unico in grado di dare una svolta rivoluzionaria al fascismo (12), e in Parlamento si oppone a viso aperto agli avversari che sente più pericolosi. (13)

Sa che a Piacenza, in fondo, le colpe di cui lo accusano sono poca cosa, e fa affidamento sulla personale amicizia e stima di Mussolini che, di fronte alle minacce di morte che gli arrivano, gli ha affidato Edda e il fratellino, perché, in incognito, li sistemi a Piacenza da gente fidata e ne assicuri l’incolumità.(14)

E invece, all’improvviso, una nuova tempesta si abbatte su di lui: l’ “Avanti” del 16 agosto del ’24 (l’incompatibilità tra militanza fascista e adesione alle Logge era stata dichiarata a febbraio dell’anno prima) gli scaglia contro un’accusa infamante:

“E non teme il ras piacentino che vi possa essere qualcuno tra i massoni abiuranti, che, preso dallo scrupolo dell’esattezza e dell’onestà possa incominciare la stura delle rivelazioni col nome riveritissimo e temutissimo del Ducino, il quale non sarebbe solo stato iniziato al culto massonico coi tradizionali colpi di maglietto sul suo capo onnipotente, ma dalla massoneria avrebbe avuto al fascio degli aiuti non metaforici ?”

È un ennesimo tentativo di denigrazione che ha probabilmente un’origine tutta romana e interna allo stesso PNF. Il primo sospettato è Giovanni Marinelli, Segretario Amministrativo del PNF e, fino a poco prima, componente del quadrumvirato che, per un paio di mesi, ha retto il Partito.

Tra i due non corre buon sangue: Barbiellini lo accusa di illeciti amministrativi e, successivamente di aver avuto un ruolo ambiguo nel delitto Matteotti; e lo fa a modo suo:

“In un diverbio svoltosi alla mia presenza, tra l’On Barbiellini, che conosceva tutti i precedenti dell’affare Matteotti, e Marinelli, il focoso fascista piacentino, che doveva poi morire in Albania, sputò sul viso ala Segretario Amministrativo del Partito, che si accontenterà di allontanarsi ripulendosi col fazzoletto. Dopo questo episodio da sputacchiera, l’odio di Marinelli, già vibrante nell’animo suo, si moltiplicò, anche perché gli impediva di fare la cresta sulle spese del Partito, com’era suo desiderio e costume” (15)

L’accusa di adesione alla Massoneria per Barbiellini ha dell’inverosimile, sia per la battaglia che, anche prima del decreto del 19 maggio ’25, egli ha sempre condotto sul suo giornale contro le Logge, sia per la sua convinta fede cattolica. (16)

Ma, il buon senso non basta: la “burocrazia di Partito” ha la meglio, e non può ignorare le voci provenienti da Piacenza, che lo definiscono “fanatico bolscevico, colpevole di far degenerare il fascismo”. Il 24 dicembre del ’24 viene espulso dal PNF.

Ci penserà Farinacci a riammetterlo, l’anno dopo, in occasione dell’anniversario della Marcia su Roma, e a dare così il via al periodo di maggiore successo della sua esperienza politica: Podestà ai primi del ’27, a soli 31 anni, dimentica le intemperanze del recente passato e si dà, forzando forse la sua natura di uomo eminentemente d’azione, ad una frenetica attività amministrativa, con un occhio, però sempre alle necessità degli umili, che sarebbe ingeneroso definire “filantropia con venature paternalistiche”.

È, invece, un sentimento sincero, nel quale confluiscono la forte fede religiosa e il temperamento generoso; non è da escludere che, sul suo tavolo, faccia bella mostra il biglietto che, a Natale del ’25, gli ha inviato, con il suo augurio “libero, forte e sincero” un semplice popolano, tale Bionda, di cui altro non si sa: “A te, libero come la morte, forte come il dovere, povero come l’onestà”.

Tiene sempre fede alla sua fama di uomo d’azione, e quando il Po straripa nelle campagne, sfida in prima persona la morte per quattro ore, per salvare i contadini di alcuni casolari rimasti isolati, così come non esita, una notte, per superare le pastoie burocratiche che si oppongono al suo piano di risanamento urbanistico, ad abbattere a picconate, con l’aiuto di alcuni dei suoi uomini, la decrepita chiesa di San Salvatore.

Naturale che episodi come questi accreditino la fama che lo circonda di uomo che bada ai fatti, che lo seguirà sempre, anche quando la fortuna politica gli volgerà le spalle. Ancora nel gennaio del 1929, pochi mesi prima di ricevere da Turati il divieto a svolgere ogni attività politica, e persino a soggiornare a Piacenza, un rapporto di Pubblica Sicurezza dice di lui:

“….gode la stima delle masse, specie operaie e contadine, per il grande interessamento che addimostra per le classi povere e perché riesce a trovare lavoro a molti disoccupati….ha non poche contrarietà nel campo cosiddetto intellettuale, ma gode la generale simpatia della maggioranza della popolazione, specie delle classi meno abbienti….Conduce vita piuttosto ritirata, e nulla si può eccepire sulla sua correttezza ed onestà….un suo eventuale allontanamento da Piacenza porterebbe quasi certamente allo sfacelo del fascismo in quella Provincia” (17)

Eppure, prosegue la manovra per fargli terra bruciata intorno, che ha il suo culmine con il passaggio tra i “vandeani” di Franco Montemartini, suo ex fedelissimo collaboratore, diventato Segretario Federale e la nomina a Prefetto di Raffaele Tiengo. Il primo lo contrasta tra i vecchi iscritti e a Roma, col vertice del Partito, il secondo gli sequestra “La Scure” con motivi pretestuosi e gli boccia, anche per irregolarità minime, gli atti podestarili.

Torna l’accusa di cumulo di cariche, e viene sottaciuto che esse sono nella maggioranza a titolo gratuito o, ove sia previsto un compenso, esso vada a finire in beneficienza e donazioni varie. Barbiellini è in tali difficoltà economiche, da ridursi a vivere, tra il ’28 e il ’29 nel Convento carmelitano cittadino, offrendo così inconsapevolmente un’altra arma alla spregiudicata campagna diffamatoria nei suoi confronti: sarebbe affetto da mania religiosa (18).

Il 19 giugno del 1929 Augusto Turati, Segretario generale del PNF, gli indirizza una lettera laconica che gli contesta quattro accuse: accuse false al Prefetto (Tiengo); attacchi ingiustificati al Segretario Federale (Montemartini); contegno scorretto nei confronti del Segretario Generale Amministrativo del Partito (Marinelli); difesa ad oltranza di un sindacalista suo collaboratore entrato in contrasto col Ministero delle Corporazioni. La conclusione è lapidaria e senza appello: “Per tutte queste ragioni – tutte gravi e perturbatrici – ho deciso di sospenderti da ogni attività politica per un tempo indeterminato”

Prova a difendersi, e soprattutto a difendere i suoi sostenitori, fatti oggetto di una feroce campagna persecutoria a Piacenza; scrive due lettere al Duce che restano senza risposta, perché i suoi nemici (e, in particolare, il Segretario Generale del Partito e il Prefetto delle Provincia) sono “istituzionali”, troppo forti per chiunque

L’affetto e la fedeltà per il “suo” Duce non sono, però, scalfiti. Ai familiari andrà ripetendo, con un paradosso: “Mussolini non è più lui. L’hanno cambiato. Il vero Mussolini è scomparso, e l’hanno rimpiazzato con un sosia”

 

  1. LA SCOPERTA DELL’ORIENTE

Accetta, comunque, disciplinatamente gli ingiusti ordini, e con un colpo a sorpresa, lascia tutto e parte per la Palestina, dove si dedica alla lettura dei Vangeli e a compiti di aiuto “sociale” ai bisognosi. È ancora Deputato, ed è sempre popolare dalle sue parti: per questo la campagna dei nemici noi si arresta. Nell’aprile del 1930 l’Ufficio Stampa del PNF comunica: “Dopo la contestazione degli addebiti e l’attento esame di tutte le prove di accuse e difesa, la Corte di disciplina ha deciso che l’On Barbiellini debba essere eliminato dalle file del Partito, con ritiro della tessera”

È la fine, senza appello. La tessera gli verrà restituita, quasi in sordina, nell’estate del 1931, ma ormai altri sono i suoi interessi: riprende gli studi e si laurea, a 36 anni, in Giurisprudenza, all’Università di Neuchatel, discutendo la tesi in francese, e poi prende una seconda laurea, in Scienze Politiche, a Roma.

Diventa di pubblico dominio frattanto il suo interesse per il mondo mediorientale, spesso meta di viaggi che fa da solo o con la fresca sposa, la Contessa Anna Maria Pullè, che ha i suoi stessi interessi (“insigne orientalista” la definirà con affetto in un documento).

A bordo del Conte Rosso, sulla rotta Bombay-Suez, nasce il 26 novembre del 34 il figlio, al quale viene imposto lo stesso nome del nonno, Gaspare (19) e che, per non smentire le idee sempre difese, fa battezzare avendo a padrini due tra i più umili macchinisti dell’equipaggio.

Le molte pubblicazioni che va producendo, e la fama che si è fatta tra gli specialisti, fanno sì che – forse su suggerimento dello stesso Mussolini – venga nominato, a maggio del 1935, Commissario dell’Istituto Orientale di Napoli , che versa in cattive acque.

Tutto sembra avviato verso una tranquilla normalità da studioso, ma non è quello il suo destino. Anche qui deve scontrarsi con l’insanabile vocazione al pettegolezzo di chi si vede danneggiato dalla sua opera fattiva e che non accetta compromessi.

Si sparge la voce che al Congresso dei musulmani di Europa, tenuto a Ginevra il 12 settembre del 1935, egli abbia chiesto di fare professione di fede musulmana, e il Mufti della Polonia lo abbia accontentato, imponendogli poi il nome di Seif el Islam. Come già a Piacenza, la manovra dei suoi avversari (che sono soprattutto i professori dell’Istituto, da lui giudicati sommamente incompetenti) si sviluppa a tenaglia: lo accusano di aver partecipato alla sgozzatura di un montone all’interno dell’Istituto, e, soprattutto di non svolgere quell’opera di penetrazione religiosa nel mondo islamico che era l’obiettivo fissato dal fondatore dell’Istituto stesso, Matteo Ripa.

Lui si difende, anche qui, attaccando, con una lettera a De Vecchi, Ministro dell’Educazione, incaricato dal Duce di condurre un’inchiesta; contesta, punto per punto le accuse e indirizza strali verso i suoi accusatori che non hanno esitato, nel finale delle loro denunce a ventilare un’ipotesi offensiva: che egli sia pazzo, come dimostrerebbe il suo “esagerato” comportamento, sempre dritto allo scopo senza tollerare opposizioni e compromessi, da squadrista prima (le voci iniziali erano nate durante la “vigilia”) da dirigente politico poi, da Amministratore e, infine, da Commissario dell’Istituto

De Vecchi, che lo conosce da tempo, resta pienamente convinto delle sue argomentazioni, che fa proprie nel riferire a Mussolini per chiudere la faccenda; vale la pena di riportare uno stralcio della sua lettera al Duce:

“Caro Presidente ….ti unisco la copia di una nota di risposta alle precise contestazioni che ho creduto mio dovere di fare senza indugi allo stesso Barbiellini….Come leggerai, Barbiellini smentisce tutto quanto tende a colpirlo col ridicolo, visto che non lo si può colpir né dal punto di vista morale, né da quello culturale o di competenza, trattandosi dell’unica persona veramente ferrata nelle materie delle quali si tratta che circoli in quei paraggi (allude all’Istituto napoletano ndr)….

Ma Barbiellini è un fascista deciso, intransigente, duro, devoto a te oltre la stessa vita; e …..così presta facilmente il fianco ai molli e panciuti borghesi napoletani per accusarlo di pazzia e simili sciocchezze. La verità è sì che Barbiellini esige che i suoi dipendenti lavorino e non rubino gli stipendi, che sappiano quello che devono insegnare… che l’Istituto orientale sia un organo di penetrazione nell’Oriente e non una piccola parrocchia per quattro canonici di dubbia fede fascista….Sarebbe bene conoscere i nomi degli accusatori (il che lascia intendere che l’esposto contro Barbiellini era anonimo, come molti di quelli piacentini di qualche anno prima ndr) per allontanarli dalla mangiatoia dove si vedono il fieno misurato. Roma 11 febbraio XIV”

Un nuovo successo per l’ex ras di Piacenza quindi: tutto lascia intendere che egli possa proseguire nell’attività tesa a potenziare e trasformare l’Istituto. E, invece, scivola su una buccia di banana; i motivi non sono mai stati rivelati nella loro completezza, ma probabilmente risalgono ad una caratteriale antipatia nei suoi confronti del neo Ministro Bottai ( la prudenza “carrierista” fatta persona) che trova appiglio nella promozione negata ad un’allieva tedesca “caldamente segnalata” dallo stesso Bottai, per “ragioni diplomatiche”, come di disse.

Secondo una deprecabile abitudine dell’epoca, apprende dai giornali di essersi dimesso dall’incarico, al quale sopperisce, di lì a poco, con la nomina a professore di geografia Politica all’Università di Roma.

Siamo, però, all’epilogo: dichiarata la guerra il 10 giugno, chiede ed ottiene di partire per l’Albania subito dopo la nascita della terza figlia, il 28 ottobre del 1940. Dopo poco più di una settimana muore in azione di guerra; gli verrà tributata la medaglia d’oro, con la seguente motivazione:

“Mutilato della grande guerra, partiva volontario per l’Albania, ove, per quanto in età avanzata, (in effetti, ha solo 44 anni ndr) chiedeva insistentemente il comando di un Reparto. Addetto al comando di un Reggimento di Fanteria, si prodigava con giovanile entusiasmo e con assoluto spirito di sacrificio per il buon funzionamento di ogni servizio. Sempre primo ove maggiore fosse il pericolo, entusiasmava con vibranti parole di fede i fanti, ai quali prodigava ogni premuroso interessamento. Durante un aspro combattimento, nell’intento di individuare una batteria nemica che riusciva particolarmente molesta col suo fuoco preciso, si recava ad un osservatorio esposto all’intenso tiro avversario, e, per quanto invitato a desistere, non abbandonava il suo posto. Colpito mortalmente da una granata nemica nel momento in cui era riuscito ad individuare la batteria avversaria, trovava la forza di incoraggiare i militari che lo avevano soccorso, incitandoli ed esaltando loro l’immancabile vittoria. Fulgido esempio di abnegazione e sentimento del dovere (Zona del profeta Elia, fronte greco, 3-7 novembre 1940- XX)”

  

  1. L’ASCETA FOLLE

Nel diario di Bottai, alla data del 15 novembre, si legge: “Colazione per Antonescu al Circolo delle Forze Armate….Ma la mia attenzione è altrove, braccante tra gli ignoti monti dell’Epiro, dove l’altro ieri è morto Barbiellini. Mi rivedo dinnanzi quel volto d’asceta folle, quegli occhi lucidi sempre di febbre. E cerco di immaginarmelo nel cerchio sempre più stretto della mischia; ha avuto una buona morte ? e che cosa sarà per noi questa vita che ci resta ?” (20)

Credo che quell’ ”asceta folle” sia il migliore involontario complimento che lo scaltro politico romano potesse fare al “rozzo” (“ras di provincia con le scarpe pesanti, capaci di calpestare le ingiustizie”, come amava definirsi) fascista piacentino, che aveva ostacolato e combattuto in vita.

Ho detto all’inizio che la sua vita fu all’insegna della contraddittorietà: nobile, fu senza riserve dalla parte egli umili; fedele alla Chiesa, fu castigatore indefesso del clero politicante della sua città; cattolico praticante dimostrò apertura, curiosità e volontà di collaborazione col mondo dell’Islam; donnaiolo impenitente fino al matrimonio, fu poi marito fedele, devoto e appassionato; squadrista intransigente nell’azione, seppe trasformarsi in amministratore attento e realizzatore; teorizzatore della violenza di piazza, si dimostrò raffinato uomo di cultura nel campo degli studi etno-religiosi, e altro si potrebbe elencare.

Solo in una cosa fu lineare e senza incertezze o contraddizioni: nella sua fede fascista, da quella serata piacentina del 26 dicembre del ‘20 finita a sberloni, fino alla morte eroica sul fronte greco.

Ho detto anche che fu uomo “moderno”: il suo approccio al mondo arabo fu scevro da razzismi allora di moda, e la sua attenzione alla religiosità orientale ne fa un anticipatore di moderni giovanili (e non solo) innamoramenti, che sono, però, destinati a restare solo alla superficie delle cose

Scrivendo, mi sono venuti in mente due nomi: Giuseppe Tucci e Pio Filippani Ronconi; ma questo è un altro discorso, che ci porterebbe lontano….ed ho già scritto troppo per un caldo pomeriggio di luglio

 

Giacinto Reale

 

 

NOTE

(11)         Quando la storia esplode, la sua difesa è improntata all’aggressività, come è suo costume: “Possono togliermi tutte le medaglie, ma nessuno potrà impedirmi di voler bene al mio Paese. Possono proclamare falso il mio titolo di Conte, ma nessuno potrà rubarmi la fede in Dio. Mi neghino la tessera fascista, non potranno però negarmi il diritto di solidarizzare con le classi oppresse” (in: Franco Molinari, op cit, pag 19)

(12)         E’ Farinacci Il capo naturale al quale pure tutti guardano, perchè è il più sensibile agli umori della vecchia base squadrista, non privo di una sua intima coerenza ideale ed etica, come gli riconosce un fiero avversario: “L’On Farinacci è il tipo più completo e rispettabile che abbia espresso sinora il movimento fascista. Non solo come uomini politici, ma come coscienze per disinteresse e austerità personale, i ras Farinacci, Barbiellini, Baroncini, Forni, sono superiori a tutta la schiera del ciarlatani del revisionismo. Farinacci non teme di parlare di Bissolati come del suo vecchio, e un democratico autentico non può esitare a sentirsi oggi cento volte più vicino a Farinacci che a Massimo Rocca” (Piero Gobetti: “Secondo elogio di Farinacci”, in “Rivoluzione Liberale” 19 febbraio 1924)

(13)         Tra questi, in particolare, Guido Picelli, verso il quale nutre una radicata antipatia, in gran parte dovuta al fatto che lo ritiene aureolato di una ingiusta fama, perchè, lui che vive vicinissimo a Parma, e ne conosce le storie, è convinto che le famose “barricate” siano una costruzione meramente propagandistica; il 28 maggio del ’24, i due, alla Camera vanno vicinissimi allo scontro fisico

(14)         Anche da ciò i nemici di Barbiellini trarranno motivo per infamarlo, prima inventando un adolescenziale innamoramento di Edda per il bel “Capitano” (che, in effetti, ha fama di tombeur des femmes) e poi insinuando che lui le abbia regalato una biciletta senza pagarla al negozio

(15)         Augusto Turati: “Fuori dall’ombra della mia vita. Dieci anni di fascismo”, Brescia 1974, pag 74

(16)         E’ il caso di dare qui conto anche di un’altra vicenda che riguarda i rapporti di Barbiellini con la Massoneria; lo faccio utilizzando il testo della lettera che egli indirizza, il 28 giugno del ’28, a Mussolini, per difendersi dalle accuse dei suoi nemici “vandeani”, e fare chiarezza anche su questo episodio secondario:

“Espulso dal PNF il giorno di Natale del 1924…..all’epoca del Congresso degli Avvocati di Trieste, mi fu avanzata la proposta da un certo prof Nalbone di aderire alla Massoneria di Piazza del Gesù, per mettere un po’ di terrorismo in quelle file di antifascisti che Raul Palermi stava inquadrando. Prima di rispondere, chiesi il consenso al Segretario Generale del Partito (era Farinacci ndr), il quale me lo diede, incitandomi a tenerlo informato di tutto, e in caso die strema urgenza intervenire, deferendo ogni cosa alla locale Autorità di PS…..Oltre le varie azioni che non ebbero pubblicità, a Piacenza potei sradicare una fiorente loggia. Gli atti presso la PS possono dimostrarlo….quando parve ai dirigenti del partito e all’E V che il sottoscritto avesse dato ogni dimostrazione richiesta, fui riammesso. Da quella data non ho più avuto notizie di massoneria, dalla quel, peraltro, con egual data mi ero allegramente e decisamente dimesso” (in: Franco Molinari, op cit, pag 182)

Storia che sa di poliziesco, ma che non verrà smentita né da farinacci, né dalle indagini disposte dal sospettoso Mussolini

(17)     Riportato in: Franco Molinari, op cit pag 36

(18)     È tanto risaputo il suo specialissimo legame con i Carmelitani e le Suore di S. Anna (l’Ordine fondato dalla nonna) che, il 17 ottobre del ’26, lo stesso Mussolini telegrafa al Prefetto di Piacenza: “Comunichi Onorevole Barbiellini mio desiderio che egli non si occupi della questione delle figlie di S Anna, le quali sono previamente d’accordo con le Missionarie francescane di Maria”

(19)     Sarà giornalista, sociologo e scrittore; Vice direttore del Corriere della Sera a cavallo del ‘68

(20)  Giuseppe Bottai, “Diario 1935-1944”, Milano 2001, pag 231

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