C’è un bellissimo libro di Maurice Bardeche, pubblicato dalle edizioni di Ar, il cui titolo è “Fascisti si nasce”. Mai titolo fu più azzeccato di questo. Come notava infatti Armin Mohler, il Fascismo più che ideologia è stato uno stile, inteso come visione della vita. E lo stile, in effetti, è innato: o ce l’hai o non ce l’hai, nessuno può insegnartelo.
La nascita però è solo il primo passo di quella magnifica esperienza che è la vita umana. Passo necessario e fondamentale ma non unico. Teniamo ben a mente il motto pindarico ripreso da Nietzsche: “divieni ciò che sei”. E’ necessario conformare la nostra immagine all’idea che ci siamo fatti di noi stessi; il rischio è altrimenti quello di ricadere in una sorta di fatalismo impotente, cioè quanto di più lontano dalla Weltanschauung fascista. Pensiamo a Hiroo Onoda, il militare giapponese che trent’anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale teneva ancora la propria posizione sull’isola filippina di Lubang, in base agli ordini ricevuti. Questa la sua giustificazione del comportamento tenuto: “In qualità di ufficiale dell’esercito imperiale avevo ricevuto una consegna. Sarebbe stato vergognoso per me non essere all’altezza di rispettarla”. Come non provare un profondo senso di rispetto di fronte ad un uomo di tale schiatta?
Ma per essere realmente fascisti dobbiamo prima chiederci cosa sia stato il Fascismo. Se si è trattato semplicemente di un fatto storico, nulla quaestio. Quel fenomeno si è storicamente esaurito nel 1945 e non avrebbe più alcun senso cercarne una qualche riproposizione politica. Ecco perché riteniamo quanto meno ingenue le polemiche, ancora esistenti, tra socializzatori e corporativisti oppure tra “sinistra” e “destra” fascista. Il mondo è profondamente cambiato negli ultimi settant’anni. Pensare di trovare soluzioni politiche a quanto si è cercato di fare negli anni Trenta in Europa è chiaramente anacronistico.
Vi è però un’altra interpretazione del Fascismo, fatta propria anche da Bardeche, che ritiene lo stesso un fenomeno metastorico e, in quanto tale, ancor oggi riproponibile, seppur con sembianze differenti. Lo scrittore francese fa gli esempi di Sparta e dei Sudisti come fenomeni “essenzialmente” fascisti. Noi riteniamo, si parva licet, che vi sia qualcosa di ancor più origin-ario nell’esperienza fascista: il riaffermarsi, nel Vecchio Continente, dell’antico retaggio indoeuropeo e precristiano.
E’ vero che i fascismi europei hanno assunto tutti una posizione protettiva nei confronti della religione cristiana. Ma si è trattato, soprattutto, di una protezione formale. Basta leggere quanto scritto ne La dottrina del Fascismo, redatta da Mussolini in prima persona: “Lo Stato fascista non rimane indifferente di fronte al fatto religioso in genere e a quella particolare religione positiva che è il cattolicismo italiano. Lo Stato non ha una teologia, ma ha una morale. Nello Stato fascista la religione viene considerata come una delle manifestazioni più profonde dello spirito; non viene, quindi, soltanto rispettata, ma difesa e protetta. Lo Stato fascista non crea un suo «Dio» così come volle fare a un certo momento, nei delirii estremi della Convenzione, Robespierre; né cerca vanamente di cancellarlo dagli animi come fa il bolscevismo; il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi come visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo”.
Più chiaro di così! Il Fascismo, movimento nazionalpopolare, proteggeva la religione cristiana in quanto elemento fondativo dell’identità del popolo italiano ma nulla più. Per chi avesse ancora dei dubbi, sarebbe sufficiente rileggersi quanto pronunciato dal Duce alla Camera dei Deputati il 13 maggio del 1929, dopo l’accordo firmato con la Santa Sede: “Lo Stato fascista rivendica in pieno il suo carattere di eticità: è cattolico, ma è fascista, anzi soprattutto esclusivamente fascista. Il Cattolicesimo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma nessuno pensi, sotto la specie filosofica o metafisica, di cambiarci le carte in tavola”. Questo perché vi era piena consapevolezza dell’alterità tra la visione giudeocristiana della vita e quella propriamente fascista che, consapevolmente o meno (probabilmente con maggior comprensione in Germania), si richiamava all’antica indentità (indo)europea precristiana.
Oggi perciò chi, anche solo sentimentalmente, si dichiara erede dell’esperienza (meta)storica del Fascismo, deve impegnarsi principalmente nella lotta per la riaffermazione della nostra vera identità come Europei. Ecco perché la battaglia principale non può che essere quella contro l’immigrazione. Se il Vecchio Continente continuerà con le politiche immigrazioniste degli ultimi decenni, a breve non vi sarà più un popolo europeo biologicamente inteso.
Sicuramente, come insegnava Evola, una corretta teoria della razza non può dimenticare la tripartizione spirito-anima-corpo e la loro relazione gerarchica. Ma se non dovessero esserci più europei e l’Europa diventare una poltiglia informe in stile melting pot a stelle e strisce, come potremmo pensare di ricavare un’elite aristocratica da questa melma? Ecco perché dobbiamo opporci con tutti i nostri mezzi all’immigrazione e ai suoi sostenitori. Senza fretta ma senza tregua, pena l’estinzione della nostra identità etnoculturale e razziale.
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