A cento anni di distanza, credo che sia onesto e doveroso ricordare alcuni episodi di una guerra civile che insanguinò l’Italia e che non risparmiò la provincia della Spezia.
Quelli erano anni particolarmente agitati in Italia ma anche in Europa: la fine del primo conflitto mondiale ed i trattati di pace non avevano posto fine alle controversie territoriali, anzi ne avevano innescate di nuove – basti pensare alla “questione adriatica” per ciò che riguardava i nostri confini orientali; inoltre la rivoluzione bolscevica in Russia aveva ridato vigore agli agitatori del socialismo rivoluzionario che tentarono di replicarne l’esperienza in molti Stati (Germania, Ungheria), approfittando del diffuso malcontento che esisteva tra le masse dei lavoratori a causa della crisi economica, generata dal passaggio da un’economia di guerra ad una di pace.
In Italia assistemmo ad una recrudescenza dello scontro sociale che vide l’apice nelle agitazioni e nei tentativi insurrezionali del cosiddetto “biennio rosso” del 1919-1920.
Anche la lotta politica fu caratterizzata sempre più dalla violenza, in particolare le formazioni più estreme (socialisti, anarchici e poi comunisti da una parte e fascisti e nazionalisti dall’altra) furono coinvolte in una spirale di scontri che produsse numerosissimi morti e feriti, spesso giovanissimi.
Questa situazione e questo clima si registrarono anche nella provincia spezzina, ricordiamo che nel luglio del 1921 a Sarzana erano stati uccisi in uno scontro a fuoco con i carabinieri diversi giovani fascisti toscani, mentre altri erano stati trucidati dagli arditi del popolo, in particolare due di questi giovani fascisti erano della Spezia, Amedeo Maiani ed Augusto Bisagno.
Subito dopo questi fatti, i capi del fascismo e del socialismo decisero, non senza polemiche e tensioni, di concordare un Patto di pacificazione, che però non fu sottoscritto dagli anarchici e dai comunisti, quindi le violenze continuarono e pertanto anche il patto ben presto non fu più osservato.
E’ sufficiente leggere le cronache locali dei quotidiani che all’epoca erano pubblicati nella provincia della Spezia: Il Tirreno, Il Libertario, il Popolo, per rendersi conto che non passava settimana che non facesse registrare qualche scontro tra opposte fazioni politiche con contusi e feriti.
Il 13 febbraio del 1922 a Lerici furono aggrediti da alcuni militanti social-comunisti i fascisti Emilio Biaggini e Pietro Bibolini. Anche a Pugliola fu aggredito un altro giovane, De Biasi.
Probabilmente per dare sostegno e protezione ai loro camerati lericini, i quali avevano ricevuto delle minacce di morte, il 16 febbraio una quindicina di fascisti partì a piedi dalla Spezia per raggiungere Lerici.
Questo gruppo cercò di evitare la via provinciale, presidiata dalle forze dell’ordine che intendevano prevenire nuovi scontri, e percorrendo i sentieri di mezza collina, giunse nei pressi della Serra dove però cadde in un agguato, tesogli da un gruppo di social-comunisti, tra i quali vi era Stefano Paita di anni 25.
Nello scontro a fuoco tra i due gruppi cadde colpito a morte un giovane fascista 22enne, Alberto Landini, figlio del proprietario dell’albergo “Gaetano” sito in piazza Saint Bon alla Spezia.
Anche Stefano Paita fu ferito e successivamente soccorso dai Carabinieri che intervennero nella zona, avvisati dagli stessi fascisti che avevano ripiegato su Lerici; trasportato all’Ospedale di Sarzana, vi morì poche ore dopo, confessando di essere stato lui a sparare ad Alberto Landini.
Il 19 febbraio si svolse alla Spezia il funerale di Landini, al termine del quale avvenne un altro grave episodio di violenza politica: in via dei Colli, all’altezza della scalinata Spallanzani, l’architetto Francesco Podestà, che stava rientrando a piedi verso casa, dopo avere partecipato al funerale, accompagnato dal giovane figlio, fu aggredito e colpito a morte da alcuni colpi di rivoltella sparatigli da un gruppo di social-comunisti, che erano usciti poco prima dalla trattoria “Rossetto”.
Per ritorsione i fascisti spezzini distrussero la sede del circolo ferrovieri, durante gli scontri rimase ferito Umberto Bizzoccoli, socialista, che morirà tre giorni dopo.
Questi i fatti e le vittime, sulle responsabilità ognuno la pensi come più gli aggrada, ma è incontestabile che ciò che avvenne in quegli anni fu una strisciante guerra civile che i governi di allora non seppero evitare e che porterà quindi il fascismo al potere.
Oggi a distanza di cento anni sono convinto che occorra ricordare con obiettività e serenità, meglio sarebbe dire imparzialità, di giudizi quegli episodi al fine di comprenderne le cause e ricostruire un momento drammatico della nostra storia in modo non strumentale. Anche il ricordo di coloro che vi persero la vita credo sia giunto il momento di farlo in modo imparziale e comune, poiché di fronte alla perdita della vita deve cessare ogni contrapposizione e intolleranza.
prof. Riccardo Borrini – La Spezia