“l’Amore come potenza primigenia e palingenetica, grazie alla quale è possibile l’accesso al mondo enigmatico quanto aristocratico del sovrasensibile, riscoprendo l’essenza prima dell’esistenza umana, fino a realizzare la primordiale unità androginica, che è riconquista dello stato di non-dualità, che è assolutizzazione e mistico connubio dell’Uomo e della Donna: Questa celeste presenza di nuova vita spirituale attira, con il suo potente desiderio, l’anima, nella sua Essenza ignea, come lo Sposo chiama la Sposa, ed emana, nel Mondo di Luce, dal più profondo dell’anima, una forte Luce Trionfante chiara e bianca” (Luca Valentini – Fenomenologia alchimica Amor Sacro 11)
Luca di Valentini nella sua opera “Fenomenologia alchimia dell’Amor Sacro“, pubblicata in e-book da Prospero Editore, per la collana Prosperosophia (http://www.prosperoeditore.com/prosperosophia.html), intende spiegarci il significato metafisico dell’amore come via iniziatico\alchemica così lontano da come viene inteso oggi, dimostrando come nelle società tradizionali la donna, il matrimonio e l’unione sessuale fossero vissuti come una vera esperienza liturgica. Ora faremo alcuni esempi dove tale weltanschauung prettamente spirituale dell’amore viene esplicata; successivamente attraverso l’interpretazione esoterica della Divina Commedia mostreremo come si svolge l’intero processo.
Iniziamo forse dall’esempio più conosciuto, quello della celebre favola di Amor e Psyché di Apuleio contenuta nella su opera più famosa le Metamorfosi. Psiché interpreta il ruolo della giovane sposa, notando che il suo nome dal latino è anima e il suo sposo Amor, l’amore divino con le sembianze dell’Eros greco Dio dell’amore e del desidero. L’anima, dopo un lungo viaggio affrontando le quattro prove iniziatiche, riesce a raggiungere il cielo venendo divinizzata anch’essa sedendo accanto agli Dèi, essendosi realizzato un matrimonio alchemico tra l’anima e l’amore facendoci intendere come l’amore sia un sentimento dell’anima quindi totalmente spirituale, in grado di farci arrivare al divino.
Il secondo lo troviamo nel Simposio di Platone, in cui l’amore spirituale, in cui le uniche parti coinvolte sono “le anime”. Non c’è materialità nel senso di corpo, non ci si scambiano effusioni, non si sta neanche insieme (fisicamente), è un amore che va oltre la corporalità, è un amore di psiche, intellettuale e non fisico e passionale che trascende il corpo. Questa apologia all’Eros viene intesa come unica via per raggiungere il divino visto come il principio che spinge verso la bellezza e questo Bello è da intendere in senso metafisico, manifestandosi nella materia come sublimazione divina dell’estasi apollinea attraverso le belle leggi, belle donne, bei uomini, belle statue,ecc. Altri esempi nella letteratura sono molteplici: Orfeo ed Euridice narrati da Virgilio nel libro quarto delle Georgiche e da Ovidio, Alcesti di Euripide, Savitri che potremo considerarla la versione indiana di Alcesti, il Faust di Goethe dove sono presenti chiari riferimenti iniziatici alchemici con le conseguenti prove iniziatiche di Faust. Nel tantrismo vige lo stesso modus operandi della coppia divina che si unisce in matrimonio e poi tramite l’unione degli opposti del “Re Sole” e della “Regina Luna” tornano all’Unità dell’Uno.
Ora andremo ad affrontare l’intero processo così come ci viene mostrato da Dante nella Divina Commedia. L’opera dantesca inizia in un giorno sacro simbolico il sette aprile del milletrecento, l’anno del primo Giubileo della storia, indetto da papa Bonifacio VIII. Dante si trova nella selva oscura atta a rappresentare il mondo moderno (ricordiamo che questo viaggio inizia per riunirsi con Beatrice). Qui possiamo trovare il secondo elemento analizzato da Luca Valentini, come lui afferma:
“degradazione dell’Eros, è l’affermazione del piacere fine a se stesso, in cui la connessione con la sfera del sovraumano viene relegata in un’indefinita dispersione dell’Io coscienziale nel mondo larvale della generazione, nel crepuscolare immanentismo lunare, nell’annientamento fatalistico nella e per la Natura.” (Luca Valentini – Fenomenologia alchimica Amor Sacro 11).
Superata la selva oscura, inizia l’opera alchemica indissolubilmente legata all’iniziazione. L’inferno si presenta come un “imbuto” o un triangolo con la punta verso il basso come rappresentazione della prima opera alchemica, la nigredo o opera del nero paragonabile al tamas indù, l’oscurità inconscia. Dante scende nell’oscurità come Ercole o Orfeo e “muore” come scritto nel testo delle piramidi; “Tu dormi e tu ti svegli, tu muori e tu vivi” il suo corpo subisce il processo di putrefazione per poi rinascere purificato (solve et coagula). Questo processo è la distruzione della diade per ritornare all’Unità dell’Uno che troviamo in numerose tradizioni come quello dello smembramento di Osiride,Ymir,Tiamat,etc., questo sacrificio è l’atto cosmogonico compiuto dagli Dèi nella creazione dell’Ordine cosmico sul Caos primordiale. Quindi, se Dante vuole tornare nello stadio primordiale androgino come era il “primo nato” al momento della creazione del Cosmo deve prima effettuare lo stesso atto fatto dagli Dèi distruggendo l’Io fenomenico (ego), superando diverse prove iniziatiche (come le dodici fatiche di Ercole) fedelmente rappresentate dai nove gironi.
Possiamo dire, per far intendere meglio tale processo, che i cerchi, gironi, bolge e zone del XI cerchio sono ciò di cui è composto l’Io. Una volta arrivato nel centro della terra (Mircea Eliade sottolinea che il centro della Tellus Mater è paragonabile al ventre materno) si deve procedere al contrario, sulla schiena di Lucifero come rappresentazione simbolica della caduta del “primo nato” nella materia, del peccato originario e del passaggio dall’Unità androgina alla diade uomo e donna. Una volta uscito dice: “E quindi uscimmo a riveder le stelle” (D.Alighieri, Divina commedia, Inferno, XXXIV, 139), perché ciò che ha compiuto interiormente, esteriormente ha ristabilito l’equilibrio cosmico sul caos, che gli mostrava le cose al contrario. A chiarimento di ciò possiamo usare una famosa frase alchemica: “visita interiora terrae rectificando invenies occultum lapidem“. L’intera opera alchemica è composta da numerosi personaggi mistici, gesti rituali, tipici delle iniziazioni, l’attraversamento delle porte che potremo dire usando la terminologia indù pitri – yana lo riporterà a rientrare nella caverna e ri – manifestarsi; nell’altro caso invece quello deva – yana non c’è più il ritorno al mondo manifestato. Il passaggio delle acque, come simbolo delle acque primordiali, gli strapiombi e i suoi svenimenti sono cambio di stati o catarsi che non affronteremo nello specifico.
Il Purgatorio ci porta nella seconda opera alchemica, albedo o opera del bianco paragonabile al rajas indu, indicando la presa di coscenza verso realtà superiori. Dopo aver affrontato i “Piccoli Misteri” ed essendo “nato due volte”, in India si diveniva un dwija, il nato due volte. Adesso da uomo nuovo si appresta ad affrontare i “Grandi Misteri” che Plutarco definiva in questi termini:
“Non è stato senza ispirazione divina che ha parlato colui che ha detto che il sonno equivale ai Piccoli Misteri della morte, poiché il sonno è realmente una prima iniziazione della morte…( Plutarco, de Anima, III, 5) La morte consiste nell’esiliarsi dal corpo; il sonno consiste nel fuggirlo come uno schiavo fugge dal suo padrone.2 Raggiunta la morte, l’anima sente una sensazione simile a quella degli Iniziati ai Grandi Misteri. Difatti il termine morire (teleutai) e quello di essere iniziato (teleisthai) si assomigliano, così gli stessi eventi“ (Plutarco fr. 178).
In questa seconda purificazione\iniziazione si porterà al ricongiungimento con Beatrice nel Paradiso terrestre prima della cacciata di Adamo ed Eva. Qui ci troviamo davanti ad un triangolo con la punta in alto, che unendolo al triangolo dell’Inferno dalla punta in giù, si ottiene il sigillo di Salomone, riassumendo il suo significato con una frase ermetica: “come in alto così in basso come dentro così fuori“. Il Purgatorio e l’Inferno possono essere intesi come due centri iniziatici: rispettivamente, nel primo si sottende come simbolo la montagna macrocosmica (satya yuga o età dell’oro) e nel secondo la grotta microcosmica (kaly yuga o età del ferro). Ma tornando al Purgatorio dove notiamo sette cornici più il Paradiso terrestre, potendo così affermare che, non è stata una scelta casuale perché, oltre ad essere i sette peccati capitali o sette arti liberali dell’uomo, ritroviamo una relazione molto stretta tra i sette gradi dell’iniziazione mitriaca, i sette chakra e l’unione alchemica tra metalli e pianeti. In questo caso, Dante prima di entrare nella porta del purgatorio gli viene intimato da Catone, prima di proseguire, di essere cinto con un giunco di purificazione e lavato dalla caligine infernale, rito simile al battesimo. Possiamo dividere le sette cornici in questo modo: dal I al III amore verso il male, IV amore fiacco, V al VI amore eccessivo e infine passando attraverso il fuoco alchemico si purifica ancora una volta prima di poter entrare nel Paradiso terrestre dove lo aspetta la sua sposa Beatrice nel luogo dove si effettuerà il matrimonio alchemico che trasformerà i due sposi nella “coppia divina” dando vita al Rebis o homunculus alchemico e in questo caso dirà: “puro e disposto a salir a le stelle” (D. Alighieri, Divina commedia, Purgatorio, XXXIII, 145), affermando che solo in questo stato etero ci si può rigenerare per la salita in cielo come Psiche e Amore, ricongiunti all’Unità dell’Uno.
Il Paradiso è la suprema iniziazione che dischiude all’esperienza diretta, “l’unità di tutte le cose”, l’Uno metafisico. Per Plotino è l’unità indifferenziata di molteplice e individuale. L’Uno è infinito e come tale non subisce nessuna determinazione del finito, quindi Inafferrabile, perché aldilà dell’essere. Questa ultima fase della grande opera alchemica si conclude con la rubedo o opera del rosso, il sattva, la rivelazione aldilà del velo di Maya:
”Si tratta della differenza tra Piccoli Misteri (Opera al Bianco) e Grandi Misteri (Opera al Rosso): entrambe le Opere portano all’immortalità, però mentre l’Opera al Bianco porta ad una immortalità condizionata dall’elemento vita, sempre legata alla manifestazione, l’Opera al Rosso conduce ad una immortalità supercosmica, al limite tra l’essere e il non essere” (Luca Valentini – Fenomenologia alchimica Amor Sacro 24).
Questa dimensione è totalmente differente dai precedenti stati, nei quali possiamo associare all’Inferno il corpo grossolano e al Purgatorio il corpo sottile, entrambi relegati nell’individuale, mentre in questo caso si parla di corpo casuale diretto verso l’universale. Questa ultima purificazione lo porterà alla visione diretta di Dio e dirà questa frase con il quale chiude la Commedia e riassume tutto ciò che abbiamo detto: “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (D. Alighieri, Divina commedia, Paradiso, XXXIII, 145) ovvero che l’amore è Dio inteso come moto immobile aristotelico, la causa prima di ogni manifestazione. Egli infatti è “motore” perché è la meta finale a cui tutto tende, “immobile” perché causa incausata, essendo già realizzato in se stesso come «atto puro». La caratteristica del suo essere “puro” dipende dal fatto che in Dio, come atto finale compiuto, non vi è la minima presenza della materia, la quale è soggetta a continue trasformazioni e quindi a corruzione:
”Essendo Iniziati in quei Misteri che è lecito definire i più benedetti di tutti i misteri… siamo divenuti spettatori di complete, semplici, immutabili e benedette visioni presenti in una luce pura” (Platone nel Fedro).
Quanto abbiamo analizzato si ritrova particolarmente, nell’e-book del Valentini, nell’introduzione, nei capitoli “Il duplice volto di Afrodite: Amor Sacro ed Eros Pandemio, Tradizione e Modernità” e “Eros e la distruzione della Diade”, nel cantivo finale dedicato alla Dama.