Nel mezzo di tanto squillar di trombe, di toni trionfalistici, tutti accompagnati dal solito coretto di piagnistei solidaristici, nessuno si è reso conto che la recente visita del presidente ucraino Zelensky a Roma, sia stato l’evento che, mai come ora, ha sanzionato la fine dell’Europa, intesa come soggetto politico unitario, meta ideale di quel percorso tracciato dagli Spinelli, dagli Adenauer e da altri ancora. Le modalità con le quali il Vecchio Continente, nella vicenda del conflitto russo-ucraino, si è mossa, ci ha mostrato sin troppo chiaramente, la propria irresolubile incapacità ed insipienza a tener testa ad una qualsivoglia situazione. La Federazione Russa con la quale l’Europa, e l’Italia in particolare, intratteneva ottimi e fruttuosi rapporti commerciali, è stata fatta oggetto di una politica di sanzioni talmente idiota e suicida, da far seriamente dubitare sulle capacità cognitive di coloro che occupano ruoli di rilievo sia a Bruxelles, che nelle varie cancellerie europee.
Sopra tutti, l’esempio della questione dell’importazione di gas. Con il progressivo venir meno delle forniture di gas russo, in molti casi, le nazioni europee si sono affidate all’importazione di gas proveniente dagli Usa, molto più caro di quello russo. Gli stessi accordi frettolosamente conclusi dal nostro paese, con varie realtà del Terzo Mondo e non (Algeria, Mozambico, Azerbaigian, etc.), rappresentano una soluzione momentanea, ma non ancora una valida alternativa, visto che l’intera impostazione delle nostre infrastrutture è ancora orientata in direzione dell’importazione di gas dalla Federazione Russa. Il tutto, senza considerare che la Russia detiene sul suo territorio ben il 65% delle materie prime dell’intero pianeta. Ora, tutto questo, altro non ha fatto che gettare l’immenso paese tra le braccia di quella Cina che altro non aspettava, se non di avere le spalle “coperte” al proprio nord ovest, al fine di poter meglio affrontare la partita a risiko con gli Usa, per il dominio sull’Oceano Pacifico ed in particolare, per cercare di mettere le mani sull’isola di Taiwan ed accaparrarsi la produzione mondiale dei microprocessori, di cui l’isola asiatica, detiene il primato mondiale. Il processo di accerchiamento della Nato attorno alla Federazione Russa, troverebbe il proprio definitivo completamento con l’installazione di basi missilistiche in quella Ucraina che, di fatto, costituisce una sorta di comoda porta d’ingresso per la Russia, finendo con il renderla molto più vulnerabile.
Cosa la quale, qualunque leader politico animato da un minimo di buon senso, non avrebbe mai potuto permettere, trattandosi, tra l’altro, della seconda potenza planetaria. In tutto questo, senza dimenticare che, nonostante i media “embedded” sminuiscano artatamente la cosa, la maggior parte dei paesi del mondo ha una posizione di malcelata diffidenza, se non addirittura di aperta ostilità, nei riguardi delle politiche guerrafondaie del blocco occidentale. A parte Brasile, India, Cina e Sudafrica (componenti quel patto geoeconomico chiamato BRICS, includente tra l’altro, la Russia, sic!), come abbiamo già detto, paesi come Iran, Siria, Venezuela, Nicaragua e tanti, troppi, altri ancora, sono su posizioni ben lontane da quelle occidentali. La ripresa delle relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita ed Iran, sino a poco tempo fa acerrimi nemici e competitors, per il predominio ed il primato in gran parte dello scacchiere islamico, (dalla penisola arabica, con il conflitto in Yemen, al Pakistan, dall’Afghanistan alla Somalia, dalla Bosnia e le limitrofe regioni balcaniche, sino ad alcune realtà dell’Asia Centrale), segna un decisivo cambio di passo, da parte di un settore di mondo che, se sinora si era mostrato quanto mai diviso e titubante, ora sembra iniziare a volgere lo sguardo sempre più lontano dall’Occidente. Tutto questo, finirà con il provocare necessariamente una contrazione delle possibilità di interscambio da parte dell’Eurozona con il resto di un mondo, sempre più interessato a crearsi dei circuiti economici, svincolati dalla tutela finanziaria Usa, rappresentata dal dollaro o dall’euro. Ed il recente viaggio del presidente brasiliano Lula in Cina, al fine di rinsaldare una partnership economica che al Brasile frutta 150 miliardi dollari l’anno, come la nomina della ex presidente brasiliana Djlma Roussef, a responsabile della banca dei Brics, assieme al sempre più frequente uso dello yuan cinese al posto del dollaro, costituiscono un esempio, a tal fine, molto eloquente. In tutto questo scenario, l’Europetta di Bruxelles ha scelto di darsi un ruolo totalmente subalterno a quello degli Usa, arrivando ad intaccare in modo oltremodo incisivo, i propri bilanci pubblici, per la fornitura di armi all’Ucraina, il tutto non senza tralasciare i costi sociali da queste scelte determinati nei vari paesi dell’infelice Unione.
Ora, il fatto che l’Europetta funzioni male, non può essere attribuito esclusivamente all’influenza della politica americana ma, bensì, anche ad un altro, fondamentale, fattore. Con il concetto geografico di Europa, si è voluto grossolanamente e frettolosamente includere in un’unica entità politico economica, tutta una serie di realtà socio economiche, distanti tra loro migliaia di miglia, quanto a storia, costumi e tradizioni. Non solo. La creazione di una comunità economico finanziaria, imperniata sul principio che contribuisce di più, chi di più ha, in termini di Pil e redditività economica, con l’allargamento dell’Unione a realtà meno incisive dal punto di vista economico, (come nel caso dei paesi dell’ex Patto di Varsavia…) sta determinando un progressivo livellamento e deterioramento, delle generali condizioni economiche delle popolazioni europee.
Un esempio sopra tutti. I tanto magnificati fondi del PNRR, altri non sono che prestiti su quei contributi versati a Bruxelles che, ironia della sorte, l’Italia riceve per graziosa concessione, vincolati ad una restituzione con tanto di interessi, che dovremo pagar noi e le generazioni di italiani a venire. Tutto questo insieme di fatti, ci porta dinnanzi alla conclusione che quella dell’Europa unita, altri non è che una inutile e dannosa distopia, da cui bisogna cercare di sganciarci, il prima possibile. Questo non deve significare il ritorno ad antiche rivalse, o a stupidi e dannosi antagonismi, ma ad un ripensamento dell’intera struttura comunitaria europea, non più da intendersi alla stregua di un quanto mai farraginoso ed irrealizzabile super-stato, quanto alla stregua di una confederazione di liberi stati, accomunati da vincoli molto più leggeri ed elastici, alla cui base dovrebbe stare un’idea di reciprocità, in base a quelli che dovrebbero essere i reciproci interessi geopolitici e geoeconomici del momento. Una comunità di stati indipendenti, unicamente animata da un patto di reciproca solidarietà, nel caso del profilarsi di un comune pericolo, potrebbe costituire una vera svolta e l’unica via di uscita, ad una crisi oramai divenuta irreversibile.
Il cercare di ridar vita ad una istituzione-cadavere, i cui unici interessi sono quelli di assecondare gli interessi di alcuni stati (Germania, Francia, Olanda etc.) a discapito di altri (Italia, Grecia, Spagna, etc.) a causa del persistere di una visione della politica europea, da cancelleria ottocentesca o di fare da zerbino agli interessi dell’atlantismo Usa e delle istituzioni finanziarie globali ad esso connesse, è esercizio quanto mai sterile e dannoso. Quello di Bruxelles è, ad oggi, una specie di circo equestre dalle gambe molto più fragili, di quel che si possa pensare. Basterebbe che una realtà nazionale come l’Italia, ancora forte di un parco industriale di tutto rispetto e di una, più che consolidata tradizione di piccola e media imprenditoria, battesse un momento il pugno sul tavolo e l’intero euro-baraccone entrerebbe in una ultima spirale di crisi, la cui unica uscita, sarebbe la sua definitiva messa in liquidazione. E per dare un primo, forte, scossone, iniziare ad adottare gradualmente una monetazione autonoma da quella dell’euro, non più fondata su un valore virtuale, ma su quella che, di un paese, dovrebbe essere l’economia reale. Il secondo forte segnale, dovrebbe esser rappresentato dal rifiutarsi di pagare gli interessi sul debito da PNRR, sino ad arrivare a non restituir più nulla alle casse di Bruxelles.
Sogno? Utopia? O qualcosa che, in un non troppo lontano futuro si potrebbe realizzare, viste le già ora precarie condizioni in cui versa l’italica economia? A questo punto, l’unica risposta, non può che stare nella voglia dei cittadini di compattarsi, al di là di vecchi ed oramai stantii steccati politico-ideologici, e procedere, decisi, in direzione della messa in liquidazione di quell’ordine globale, fatto di un continuo accavallarsi di precarietà, emergenze, imposizioni che, i popoli europei e del mondo intero, sopportano con sempre più disagio.
UMBERTO BIANCHI
1 Comment