“Chiamai vicino a me i fascisti fiorentini e dissi loro che il pianto dovevamo lasciarlo ad altra epoca, perché quello doveva essere soltanto il momento dell’azione vendicatrice. E vendetta fu fatta.” (1)
di Giacinto Reale
Quando si parla di violenza squadrista, di “stragi” al confine con sadismo e malvagità, anche il più prevenuto dei narratori deve limitarsi a due soli episodi: Foiano della Chiana (17 aprile 1921) e Roccastrada (24 luglio 1921).
Qui parlerò dei fatti di Foiano; però prima mi pare necessario un cenno al “contesto”, perché, in ambedue i casi, esso ha un evidente ed ineludibile collegamento con ciò che avviene dopo.
Nel caso di Roccastrada, che non è oggetto di quest’articolo, basti qui dire che i fatti si svolgono quando è ancora vivo il dolore e il desiderio di vendetta per la strage di Sarzana, con l’assassinio – anche in forme crudeli – di 15 fascisti, appena sette giorni prima. (2)
Qualche parola in più per Foiano:
1) Il 1° marzo del 1921 ad Empoli viene realizzata un’imboscata ai danni di due camion che trasportano marinai fuochisti (in borghese) e Carabinieri, diretti a Firenze per sostituire i ferrovieri in sciopero: 9 i morti – anche qui non mancano forme di crudele accanimento sulle vittime – e altrettanti i feriti.
Tutto nasce da un equivoco, perché in città si è sparsa la notizia dell’arrivo di camion fascisti; da ciò la mobilitazione e la decisione di uccidere, anche in modo cruento, quelli che sono visti come coloro che “vengono a dar fuoco, a rubare, a violentare e ad ammazzare” (3)
2) Il 23 marzo del 1921 a Castelnuovo dei Sabbioni e a San Giovanni Valdarno (a pochi chilometri da Foiano, cioè) prende corpo una vera e propria rivolta insurrezionale, alla quale partecipano migliaia di operai delle miniere e di paesani: incendi, svaligiamenti delle armerie, blocchi stradali, folle in tumulto.
Alle miniere di Castenuovo viene ucciso a colpi di piccone e pistolettate un ingegnere che ha la sventura di trovarsi nell’ufficio del direttore (a sua volta ferito, con alcuni impiegati); qui, i fascisti non c’entrano (se non marginalmente, perché ad un certo punto arriva la notizia che sono in corso incidenti a San Giovanni); si tratta solo di una manifestazione di quella violenza che ormai da due anni avvolge tutta la Nazione.
A San Giovanni, invece, è l’allarme per il passaggio di alcuni camion squadristi diretti a Perugia, in soccorso ai camerati del capoluogo umbro, a provocare sparatorie e agguati per tutto il pomeriggio e la notte, con parecchie vittime (4)
3) Il 23 marzo del 1921 a Milano 160 candelotti di gelatina esplosiva (collocati da anarchici, come indagini e confessioni dimostreranno, per protestare contro la detenzione di Malatesta) distruggono il teatro Diana e fanno 21 morti e più di cinquanta feriti (5)
Questo per dire del “clima”: tempi duri, resi ancor più duri dalla propaganda sovversiva che dipinge i fascisti come quelli che contro i quali ogni forma di difesa (anche preventiva) è legittima e deve essere spietata, per servire d’esempio.
Per i social-comunisti, esclusa la possibilità di uno scontro diretto, chè troppo diverse sono le capacità “tecniche” rispetto agli squadristi (per non dire dello “spirito” e della tempra), non resta che la scelta della fuga (6), o, in subordine, il ricorso (oltre che all’agguato al nemico isolato) alla “imboscata”:“Mettetevi dietro una siepe e sparate, quando arrivano i fascisti”questo, per esempio, l’incitamento che chiudeva i comizi del deputato socialista polesano Dante Gallani. (7)
Le armi non mancano. Al “Comitato segreto” del Valdarno, nel corso di un’operazione di polizia, verranno sequestrate: “una quantità imprecisata di bombe fabbricate artigianalmente con rottami di Ferriera ed esplosivo delle miniere, una mitragliatrice FIAT nuova di zecca….. una cassa di rivoltelle e fucili a ripetizione Mauser “giunta da Torino”, decine di bombe SIPE, fucili da caccia, moschetti e pugnali”. (8)
E se poi le Forze dell’Ordine si mettono in mezzo, ce n’é anche per loro: “Le Guardie Regie in pentola / le fanno il brodo giallo / Carabinieri in umido / e arrosto il Maresciallo” così si canta a Empoli dopo l’eccidio di cui si è detto. Niente di strano, quindi, se a lungo si vocifererà di un “brodo di Carabiniere” preparato in piazza da alcune megere: non vero, quasi certamente, ma molto “verosimile”.
Martedì 12 aprile del 1921,150/200 squadristi provenienti da varie parti della Toscana, confluiscono su Foiano, nell’ambito di un “ciclo operativo” teso a realizzare la “ripulitura” della zona, che, come i fatti del 23 marzo hanno dimostrato, è fortemente ostile alla propaganda fascista.
Foiano, in particolare, vanta una solida tradizione “di sinistra”: primo comune amministrato dai socialisti, già nel 1904, ha dato alla lista socialista – in occasione delle elezioni politiche del novembre 1919 – ben 1300 voti su 1800 espressi, ha confermato il successo “rosso” alle amministrative del 1920 e infine, dopo la scissione comunista, ha visto – caso abbastanza raro – la maggioranza degli iscritti al PSI passare al neonato movimento estremista; a ciò si aggiunga la presenza in paese di un forte nucleo anarchico, guidato da personaggi dotati di un certo locale ascendente.
Inevitabile che, con queste premesse, la vita dei pochi fascisti sia pressochè impossibile: uno in particolare, Giovanbattista Romboli, detto Bistino, è costretto a lasciare la sua casa e trasferirsi a Firenze.
Appena meglio va ad altri “nemici del proletariato”, vittime di frequenti percosse, ed allo stesso parroco, inseguito da una folla inferocita e costretto a rifugiarsi all’Agenzia dei Tabacchi.
Eppure, nonostante i rapporti di forza siano a loro favore e dimenticando le smargiassate delle settimane precedenti (9),tutti i maggiori esponenti sovversivi del paese, appena si sparge la voce del prossimo arrivo dei camion squadristi, si danno alla fuga nelle campagne.
Ai neroteschiati non resta, come nella maggior parte dei casi, che prendersela allora con le cose: viene devastata la Sezione socialista, la Camera del Lavoro e anche la Cooperativa di consumo. La roba lì trovata – specie generi alimentari – è portata in piazza per una distribuzione gratuita alla gente, con particolare riguardo “alla cittadinanza più povera, all’Ospedale e all’Ospizio di Mendicità”.
Un copione consueto, in sostanza: in occasione della prima incursione su Roccastrada, di qui a un paio di mesi, i fascisti, occupato un bar frequentato dai sovversivi, si improvviseranno camerieri ed offriranno caffè e bevande a tutti, mentre a Trecate, un annetto dopo, portato in piazza un organetto trovato alla Camera del lavoro, organizerranno un ballo con le contadine stupite e divertite.
A Foiano, quel 12 aprile, tutto finisce con un improvvisato comizio e, prima della partenza delle squadre, con l’affissione del manifesto di prammatica:
“I Fasci di Combattimento hanno issato oggi la bandiera d’ Italia al palazzo comunale, dove si trovava da tempo insediata l’Amministrazione bolscevica. Da oggi cessa e deve cessare il regime della vergogna in Italia, instaurato dai nemici interni della Patria. Noi partiamo certi e sicuri che anche in questa gentile cittadina la libertà non sarà una cosa vana e che i seminatori di odio si ravvedranno e passeranno alla pace che tuti gli onesti cittadini desiderano da gran tempo.
Il vostro sindaco e i vostri consiglieri bolscevichi sono fuggiti appena hanno visto da lontano i fascisti
Si avvertono i nostri avversari che se qualche fascista o simpatizzante o nostro amico, dopo la nostra partenza sarà vilipeso o maltrattato, ne pagheranno di persona il Sindaco e i Consiglieri bolscevichi”. (10)
Sembra tutto concluso: ad Arezzo il fascio riprende la sua normale attività e la questione Foiano appare chiusa… e invece…
< div style="margin-left: 0cm; mso-add-space: auto; text-align: justify;">Questa la storia della prima spedizione su Foiano: niente di speciale, se poi la rabbia social-comunista per la sconfitta subita non sfociasse in un eccidio a tradimento, tanto immotivato nella sostanza quanto bestiale nella forma.