“Chiamai vicino a me i fascisti fiorentini e dissi loro che il pianto dovevamo lasciarlo ad altra epoca, perché quello doveva essere soltanto il momento dell’azione vendicatrice. E vendetta fu fatta.” (1)
Ad Arezzo il fascio nasce il 12 marzo del 1921, dopo qualche precedente abortito tentativo (2). È un fascio che, da subito, mostra la sua piena dipendenza da quello fiorentino: squadristi fiorentini arrivano a più riprese in città, nascono incidenti – anche con un morto –, e sono ancora essi i protagonisti della giornata del 12 aprile a Foiano.
Dopo questa convulsa giornata , ripartito il grosso, ad Arezzo restano, a dar man forte, Ezio Narbona, Giuseppe Fiorineschi; Erinne Bertolotti e Dante Rossi, oltre al già citato Gianbattista Romboli, che è originario di Foiano.
È proprio lui ad essere informato dai compaesani che in paese, dopo la partenza delle squadre, mentre Sindaco e assessori si sono prudentemente dimessi, altri hanno preteso il pagamento delle merci distribuite in piazza e hanno ripreso a minacciare i fascisti locali, assicurando che non ci sarà una “seconda volta”, sicuri di poter contare su una prossima fornitura di armi promessa dai compagni aretini.
Occorre, nell’ottica fascista, ritornare e prevenire “ritorni di fiamma” socialcomunista. Per questo, viene messo insieme un gruppo per una nuova spedizione; gruppo un pò raccogliticcio, chè forse a quella data ad Arezzo ancora non ci sono vere e proprie “squadre” organizzate, ma che, alla fine, conta su 22 uomini. Porteranno con sé un manifesto –volantino indirizzato ai Foianesi:
“Un gruppo di valorosi giovani, animati da sentimenti di purissima italianità, dalla volontà e dal polso di ferro, stanno costituendo un nucleo fascista. Sappiamo che azioni isolate di rappresaglia si vogliono tentare contro qualcuno di essi. I fascisti sono pronti alla reazione, colpendo inesorabilmente quegli individui che già furono designati (si allude ai caporioni socialcomunisti ndr). Avviso a chi tocca !”. (3)
Alle cinque di domenica 17 aprile, quindi, i 22 partono (4), guidati dal Capitano Giuseppe Fegino, in forza al 70° Fanteria del Presidio di Arezzo che, oltre alla sua pistola di ordinanza, porta con sé due moschetti che ha sottratto all’armeria del Reparto; tra gli altri, oltre agli squadristi fiorentini di cui si è detto, vi sono alcuni giovanissimi studenti.
Il programma è di andare e tornare per il primo pomeriggio: Fegino deve riporre i fucili in armeria prima che qualcuno se ne accorga, e il giovane Bruno Dal Piaz nel pomeriggio deve giocare, a Città di Castello, una partita di calcio.
Alla prima messa (circa alle sette, cioè) Foiano è raggiunta: constatato che i dirigenti sovversivi, al solito, si sono dati alla fuga, i fascisti affiggono i loro manifesti e poi decidono di fare una puntatina nelle vicine località di Marciano e Pozzo, per atto di presenza ed eventuali legnature.
Sulla strada, però, uno di loro, Ettore Guidi, resta accidentalmente ferito da un colpo di pistola probabilmente esploso dall’arma di un camerata; la ferita appare grave, e, dopo una sommaria medicazione ad opera del medico di Pozzo, il camion si dirige all’Ospedale di Foiano, dove Guidi viene lasciato, con una scorta, però di 7 squadristi, (ai quali vengono lasciati fucili e bombe) per evitare ritorsioni (5).
Gli altri, vista l’ora, decidono di fare uno spuntino veloce e poi ripartire, sotto una leggera pioggerellina.
Verso le 15,30-16,00 prendono la strada di casa, con il loro camion imbandierato; è di fonte antifascista la migliore sintesi dell’atmosfera che si respira: “seguito a breve distanza da quattro ragazzi in bicicletta, che, vedendosi osservati, sembrano divertirsi. Il clima potrebbe sembrare – nonostante tutto – quello di una festa un po’ chiassosa e surreale” (6)
Ciò che i camionati sulla via del ritorno non possono prevedere, è che da qualche ora fervono – con la partecipazione dei dirigenti “istituzionali” dei movimenti di sinistra, prima fuggiti nelle campagne – i preparativi per un agguato. Quella che era un’ipotesi allo studio già nei giorni precedenti, ha preso concreta consistenza dopo che si è sparsa la voce (a seguito del ferimento del Guidi) che “i fascisti ne hanno toccate a Maiano”, ed è stata rafforzata dalla constatazione che i fascisti, già pochi, si sono ancora ridotti di numero, dal momento che ben otto di loro sono “bloccati” in Ospedale.
Parecchie decine
di uomini armati si radunano in località Renzino, nei pressi della casa della famiglia Sarri, ideale per l’agguato, perché ai due lati della strada vi sono folti cespugli, ottimo nascondiglio per gli sparatori.
di uomini armati si radunano in località Renzino, nei pressi della casa della famiglia Sarri, ideale per l’agguato, perché ai due lati della strada vi sono folti cespugli, ottimo nascondiglio per gli sparatori.
Le linee telefoniche ed elettriche vengono fatte saltare, vedette si appostano sul campanile con l’ordine di suonare quando il camion fascista lascia il paese, alcuni civili di passaggio sono sequestrati per evitare che avvisino dei preparativi in corso.
Solo ai partecipanti alla corsa ciclistica Cesa-Marciano-Pozzo-Foiano-Cesa (andata e ritorno) viene concesso di passare, proprio per evitare che nascano sospetti.
Quando l’ignaro camion arriva, si scatena una tempesta di fuoco. Il primo bersaglio è l’autista (Dante Rossi), così che il mezzo sbanda e si ribalta nel fossato che costeggia la strada; i fascisti sono in massima parte sbalzati fuori (il solo Fegino resta incastrato sotto il camion),e, prima che possano anche solo pensare a difendersi, su loro si avventano una quarantina di assalitori (tra i quali alcune donne) armati di roncole e forconi:
“Passati cinque minuti, sentii che i fascisti stavano arrivando. Ci si preparò nella macchia, dietro la siepe, e anche dalla parte opposta. Ci si divise in modo da non spararci contro. Così, appena i fascisti ci furono di fronte, gli si sparò, in modo da colpire l’autista. Si sparò anche sui due lati del camion, e anche di dietro. Io, quando ebbi sparato il mio colpo, rimasi senza; saltai nella strada e presi un fucile a un fascista. Poi salii in casa dei Sarni, alla finestra…da lì sparai due colpi al Capitano Fegino. Il primo colpo lo avevo sparato al Romboli Bistino, e lo ferii”. (7)
Ci sono tre giovanissimi morti (Dante Rossi ventunenne, Tolemaide Cinini ventenne e Aldo Roselli diciassettenne; otto i feriti, di cui alcuni molto gravi (8):
“Il cadavere dello chaffeur Dante Rossi giace vicino al camion, con la testa spaccata da un colpo di scure. Cinini, che morirà poche ore dopo all’Ospedale di Foiano, è in fin di vita, raggiunto da alcuni colpi di arma da fuoco e da un numero abnorme (duecento circa) di ferite inferte col forcone (ne saranno accertate ben 235 ndr). Non confermato dall’autopsia il particolare truculento, riferito dai giornali dell’epoca, degli occhi fatti saltare a calci. Roselli vien trovato morto in un campo piuttosto distante dal luogo dell’ agguato, dove gli aggressori lo hanno raggiunto ed ucciso con revolverate e armi da taglio. Quanto agli altri, Fegino se la cava sparando su chi si avvicina per finirlo, e un suo compagno, Gualtiero Quadri, ha tre dita mozzate con la roncola”. (9)
Il rumore della nutrita sparatoria arriva fino in paese, e così i sette squadristi rimasti di guardia al ferito si precipitano sul luogo, mentre, avvertiti telefonicamente, uomini partono anche da Arezzo:
“Pioveva, una tristezza infinita era nell’anima e nei cuori; sentii che bisognava reagire fulmineamente, costasse quel che costasse, che bisognava affermare il nostro stile, battezzare con un atto risoluto la vita del giovanissimo fascio, come due ore prima l’aveva battezzata il sangue dei nostri migliori. Alle cinque era pronto un camion, alle cinque e trenta mio figlio, un ragazzo di 17 anni, vi montava per suo e mio desiderio, e con altri diciotto partimmo per il luogo dell’imboscata”. (10)
Mentre plotoni di carabinieri iniziano a battere le campagne, alla ricerca di sovversivi armati, anche i fascisti avviano la caccia ai responsabili: nel corso della notte e all’alba arrivano squadre di Firenze, Siena, Montevarchi, di altre località toscane, e, forse anche di fuori regione, per un totale di 500 uomini, con 5 camion e svariate autovetture.
Nella piazza principale del paese viene piazzata una mitragliatrice e posto il Comando (anche se qualcuno parlerà di un improvvisato “Tribunale”), con il compito di accertare le responsabilità e individuare i colpevoli.
Quale sia lo stato d’animo è facile immaginare: i fascisti sentono come “ingiusta” quella reazione, di fronte al loro operato che, in ben due spedizioni su Foiano, non aveva provocato né morti né feriti gravi (al più qualche scapaccione) e si era risolto con la distruzione delle cose e, addirittura, la distribuzione in piazza delle merci sequestrate.
Ad aggravare il loro risentimento ci sono poi, comprensibilmente, le modalità dell’imboscata, con quel fuoco da dietro le siepi contro gli squadristi che, allegri, cantavano sul loro camion, e l’accanimento contro i feriti, oltre ogni umano limite.
Tutto finisce, comunque, alla sera del lunedì, e gli uomini tornano a casa. Alla loro azione non è mancato – per quel contenuto di giustizia riequilibratrice che ha in sé – il consenso della pubblica opinione: ”in quello stesso giorno alcuni contadini manifestano l’intenzione di iscriversi al costituendo fascio loca
le. Le adesioni sono raccolte nel corso di una riunione di associati appositamente convocata nei locali del teatro….attestati di simpatia (che saranno anche sinceri)”. (11)
le. Le adesioni sono raccolte nel corso di una riunione di associati appositamente convocata nei locali del teatro….attestati di simpatia (che saranno anche sinceri)”. (11)
Nell’epilogo c’è anche un piccolo episodio, la cui casuale scoperta, fatta sfogliando un libro appena arrivatomi, ha fatto nascere il desiderio di approfondire la storia di Foiano che già conoscevo nelle sue linee essenziali Eccolo:
“18 aprile 1921: di ritorno dalla Val di Chiana, alla stazione di Arezzo, i fascisti fiorentini incontrano un ragazzo tredicenne, orfano di guerra, che fa il portabagagli. Gli squadristi lo prendono con sé e lo adottano come mascotte col soprannome di “Buricchio”. L’Avanti scrive la storia di questo ragazzo (Alfredo Peruzzi) che gli squadristi, in realtà, avrebbero torturato e rapito. Messo alle strette, il giornalista dichiara di aver inventato di sana pianta questa versione (Sassaiola Fiorentina, nr 18). (12)
Ci sarebbe ora, per finire, da affrontare il triste discorso del numero delle vittime della reazione fascista. Nel suo pur accurato studio, Sacchetti deve ammettere: “Il numero dei morti, per non parlare dei feriti, non sarà mai definito con esattezza, ed anche la stampa locale accenna ad una serie di “scomparse” concomitanti”. (13)
Senza entrare nel merito degli “accenni” della stampa locale, che lasciano il tempo che trovano, si tratta di un’affermazione ben strana, se solo si pensa alle lunghe indagini ed ai vari processi celebrati. Lo stesso Autore fa poi un elenco di 9 nomi, ma per due le cause di morte appaiono dubbie (uno nell’incendio della sua cascina e l’altro annegato mentre attraversa un canale), e di altri due nulla precisa, se non che erano contadini di Sinelunga giunti a Foiano per il mercato il lunedì mattina, e non si capisce come e perché eventualmente coinvolti nella rappresaglia fascista.
Di certo c’è, invece, un telegramma (nr 13628 del 19 aprile) della Prefettura di Arezzo che fissa a tre le vittime dell’agguato socialcomunista e a quattro quelle della reazione squadrista.
Quale che sia la verità, è una contabilità che non cambia la realtà dei fatti: 22 (anzi, 14, a voler essere esatti, chè 8, come visto, sono rimasti in Ospedale) giovanotti sicuramente esuberanti, ma non animati da intenzione malvage, vengono fatti oggetto di un agguato a tradimento da una quarantina (e forse più) di esagitati, animati dalla sola intenzione di uccidere e sconciare i corpi.
Il ribaltamento del mezzo ed i feriti così provocati non bastano, si cerca il morto (nel racconto, per motivi di sintesi ho omesso la narrazione degli inseguimenti dei feriti nei campi) e, in una sorta di rito orgiastico, ognuno vuole dare il suo colpo di pugnale, roncola accetta o forcone.
Né si può qui invocare la “spontaneità” dell’azione: essa è istigata da settimane di propaganda che invoca la morte per la “carne venduta” dei fascisti, ed organizzata e diretta in prima persona dal Segretario della Camera del Lavoro, dal Segretario della Sezione Comunista, dagli Assessori dello stesso Partito e dai locali dirigenti dell’anarchismo.
Il giorno seguente, sul Popolo d’Italia, Mussolini commenterà (in un articolo significativamente intitolato “La morale”) l’accaduto; e non vi è chi non veda la differenza di stile e di volontà:
“Il discorso che noi teniamo ai fascisti di tutta Italia è molto semplice. Più che un discorso, è un ordine categorico. …Non prendere mai , se non in casi specialissimi, l’iniziativa di un’azione violenta. Eliminare dalla storia del fascismo la cronaca delle piccole aggressioni individuali. Nel caso di incursioni di propaganda in zone ostili, prendere le più diligenti e rigorose misure di sicurezza… Ripetiamo ancora una volata che la violenza fascista deve essere ragionata, razionale, chirurgica. Non deve diventare un’esercitazione estetica o sportiva. Deve conservare il carattere di una bisogna ingrata, alla quale è necessario sottoporsi, finchè certe condizioni di fatto non siano cambiate”. (14)
NOTE
1) Bruno Frullini, “Squadrismo fiorentino”, Firenze 1933, pag 211
2) Per la storia del fascismo aretino, vds: Alfredo Frilli, “Sentieri della rivoluzione”, Ferrara 1927 e Salvatore Mannino, “Origini e avvento del fascismo ad Arezzo”, Arezzo 2004
3) In: Giorgio Sacchetti, “Sovversivi e squadristi, 1921: alle origini della guerra civile in provincia di Arezzo”, Roma 2010, pag 119
4) Salvatore Mannino, (op cit, pag 175) parla di due camion, mentre Giorgio Sacchetti (op cit pag 117), dice essere solo uno il camion; personalmente propendo per questa seconda tesi, visto l’esiguo numero di partecipanti alla spedizione
5) In questo senso la testimonianza di uno dei superstiti, Giuseppe Fiorineschi, contenuta in: Bruno Frullini, op cit, pag 205
6) Giorgio Sacchetti, pag 124
7) Testimonianza in : Aa Vv, “Antifascisti raccontano come nacque il fascismo ad Arezzo”, Arezzo 1074, pag 106
8) Il Capitano Fegino avrà 175 giorni di prognosi e successiva invalidità permanente nella deambulazione, Dal Piaz sarà a lungo in pericolo di vita, e ne uscirà co ferite devastanti al viso e all’arto superiore destra, Quadri avrà amputate due dita della mano destra e indebolimento permanente degli arti superiori, Coppelli resterà segnato al volto per i colpi ricevuti (perforazione della guancia, lesione della lingua, ferite al cavo orale e ad un orecchio, perdita di tre denti e frattura mascellare); per gli altri, prognosi entro i quaranta giorni
9) Salvatore Mannino, op cit pag 178
10) Alfredo Frilli, op cit, pag 29
11) Giorgio Sacchetti, op cit , pag 143
12) Gigi Salvagnini, “Diario della rivoluzione fascista in Toscana 19191-25”, Firenze 2007, pag 33
13) Giorgio Sacchetti, op cit , pag 137
14) (a cura di) Edoardo e Duilio Susmel “Opera omnia di Benito Mussolini”, Firenze 1955, vol XVI, pag 271