A volere semplificare al massimo, le forme di governo possibili sono solamente tre: la monarchia, cioè il potere di uno (in forma regale o repubblicana, poco importa); la democrazia, cioè il potere del popolo, il potere di tutti; l’oligarchia, cioè il potere di pochi. Nel “nostro” mondo (cioè in Europa e negli altri paesi forgiati o comunque influenzati dalla civiltà europea) abbiamo finito per adottare, non senza qualche problema, la formula democratica. In Italia come in Canada, in Russia come in Australia, in Giappone come in Brasile, la generalità degli individui e delle forze politiche si riconosce nel sistema democratico, accettando di uniformarsi alla volontà popolare, quale che questa sia.
Naturalmente, la democrazia ha il medesimo limite della monarchia, o anche dell’oligarchia. La possibilità, cioè, che i soggetti del potere (il solo, i pochi o i tanti) assumano delle decisioni sbagliate, decisioni che possano anche determinare esiti fortemente negativi per la collettività. Ma da questo inconveniente non ci si può cautelare. Si deve solamente stabilire chi debba dettare scelte e regole (il capo, il popolo, ovvero un gruppetto di capataz) e sperare che questi sbaglino il meno possibile.
Fin qui, pur con molta approssimazione, la teoria. Nella pratica – però – accade spesso che i meccanismi elettorali, che dovrebbero essere i cancelli della democrazia, vengano forzati da piccoli gruppi assolutamente minoritari – i pochi, gli oligarchi – che riescano ad imporre i loro voleri e i loro interessi: spesso “costruendo” le idee che saranno poi fatte assorbire ad una “pubblica opinione” facilmente ammaestrabile; e, quando non si sia riuscito a pilotare convenientemente le scelte popolari, addirittura operando apertamente per sovvertire tali scelte.
Come si “costruiscono” le libere scelte del popolo sovrano? Semplice: col denaro. Non comprando materialmente i voti, come si faceva una volta; ma comprando televisioni e giornali, specie quelli autorevoli, che “fanno opinione”; comprando giornalisti ed opinionisti che devono uniformarsi alla “linea editoriale”; comprando partiti interi: non in moneta sonante, ma finanziandoli più o meno apertamente, e facendo dipendere quei finanziamenti dalla accettazione di determinate condizioni. È un metodo infallibile nella società occidentale. Soprattutto negli Stati Uniti d’America, dove tale metodo è stato perfezionato e sublimato nel moderno concetto di “alternanza”. Ci si impadronisce dei due partiti politici più forti, si fa loro accettare un medesimo programma (al di là di piccole sfumature) e li si fa competere ad ogni scadenza canonica. Quale dei due vinca, per gli oligarchi, è assolutamente indifferente. Quando, per avventura, emerga qualcuno che non sia a libro-paga (per esempio, un Trump), gli si scagliano contro le truppe cammellate dell’informazione telecomandata e lo si fa passare per un pericoloso esagitato. Giochetto che in America ha sempre funzionato, almeno fino ad oggi. Poi ci sono quegli interventi miracolosi, quelli che servono a “correggere” certi risultati elettorali sgraditi, magari soltanto con il clic di un computer.
Naturalmente, ove – in qualche parte del mondo – gli oligarchi non riescano a comprarsi tutti, c’è sempre la possibilità di gridare a gran voce che quelle elezioni sono state irregolari. E, se proprio chi ha vinto le elezioni non vuole farsi da parte, si procede con un golpe militare, con una rivolta “spontanea” o con iniziative consimili, fino a quando lo scomodo tribuno non si decida a togliere il disturbo: dal Presidente honduregno Manuel Zelaya Rosales (vincitore delle elezioni del 2005) al Presidente ucraino filo-russo Viktor Janukovyč (vincitore delle elezioni del 2010).
Fino ad ieri – comunque – l’oligarchia si era limitata a travestirsi da democrazia, a truccare le carte, a corrompere, ad acquistare all’ingrosso uomini ed apparati. Mai, fino a quest’ultimo scorcio dell’anno 2016, era stata messa in dubbio l’essenza della democrazia, cioè il prevalere della volontà della maggioranza rispetto a quella della minoranza del corpo elettorale. Fino ad ieri – dicevo – quando tre autorevoli magistrati britannici, naturalmente sulla base di solide basi giuridiche, hanno sentenziato che il voto popolare espresso nel referendum sulla Brexit possa essere vanificato e sovvertito dal voto del Parlamento. Non è il popolo ad essere sovrano, secondo il dotto pronunciamento dei giudici dell’Alta Corte di Londra, ma è il parlamento. Non la democrazia, dunque, ma l’oligarchia. Non il volere di tutti, ma il volere di pochi eletti.
Forse lor signori non se ne rendono conto, ma questa è una sentenza storica, una sentenza che andrà a segnare ufficialmente la fine del sistema democratico, consacrando un nuovo potere, quello dell’oligarchia. Segno dei tempi: il XX secolo era stato l’epoca delle dittature prima, della democrazia poi. Il XXI secolo sarà l’epoca dell’oligarchia. Si badi: non dell’aristocrazia, cioè dei migliori (dal greco àristos, migliore), ma solamente dei pochi (dal greco òlìgoi), dei pochi che si sentono migliori – senza esserlo – sol perché hanno più danaro, più banche, più bande. E, fino a quando il potere di creare dal nulla il danaro sarà lasciato a loro, a questi òlìgoi (e tolto agli Stati) non ci sarà più spazio per la democrazia nella società occidentale, ma solamente per la corruzione e per l’ingiustizia che sono il pane quotidiano di una oligarchia malvagia.
N.B. Scrivo questo pezzo alla vigilia di un appuntamento elettorale certamente particolare, particolarissimo: quello delle elezioni presidenziali americane. Ne parleremo al prossimo giro.