di FRANCO G. FREDA
Giurerei che Paola Ferrari, promotrice di un’avanguardistica crociata a colpi di carte bollate contro gli insulti che le venivano rivolti a quintali su Twitter, se beccasse adesso uno dei «filosofi dell’ottimismo» gli farebbe un occhio nero. «Filosofi dell’ottimismo» sono quei tipini convinti che parlano di naturale tendenza al bene dell’uomo, cui Georges Sorel, il grande ispiratore dei due duci dell’antidecadenza nel XX secolo (Mussolini e Lenin), rideva in faccia già ai primi del Novecento. Udite udite: «Nonostante quel che ruminano e affermano i filosofi dell’ottimismo, il genere umano non è assolutamente incline, per natura propria, a quanto sia nobile e maestoso.
Anzi, si potrebbe addirittura sostenere che la nostra autentica natura avverte una sorta di ripugnanza per il capolavoro, contro il quale essa scatena i propri istinti inferi più dissolventi. Ce lo insegna la storia: l’eredità dei grandi maestri non può essere a lungo custodita senza la tensione di una volontà che ha dell’eroico. Ciò che si chiama decadenza non è altro che l’erompere di tenebrose potenze originarie, primordiali, le cui manifestazioni ordinarie e volgari erano state provvisoriamente contenute, represse e soffocate da un ordine, artificiale, imposto dal Genio. Ne risulta che, nell’universo degli uomini, il vero è spaventosamente vacillante e incerto, mentre il nostro fondo maligno genera sempre il falso».
I filosofi dell’ottimismo di oggi certi argomenti non li possono proprio sentire. Pur con un’aria nera nera addosso, svolazzano senza tregua tra kermesse e festival e premi letterari, e fanno di tutto per un unico scopo: occultare ogni elemento «doloroso ma vero» dello scibile. Per loro non ci si deve permettere neanche di sospettare un’inclinazione alla malvagità del genere umano. L’uomo lo scompongono in mille variabili e complicazioni, i chimici truffaldini, finché si perde di vista completamente il punto di partenza. E quell’aria nera nera che hanno: perché? Ma per l’orrore delle circostanze: la scuola che boccia gli ignoranti crassi rinunciando a lottare per cavar oro dalle rape, la discriminazione, l’intolleranza, l’omofobia, il femminicidio (oltre che chimici sono pure alchimisti e ti scombiccherano dei neologismi da non credere, sofisticati e vuoti come loro), Berlusconi e le sue sollazzevoli istorie. Chi più ne ha più ne metta – di alibi. Perché l’uomo, prima di Berlusconi, prima di Mussolini, prima dei primi tiranni (dunque quando?), per loro era una pasta d’uomo, gioioso di farsi educare e ansioso di comprendere.
E se adesso è così canaglia su Twitter e su Facebook è per colpa della democrazia imperfetta, non perché così lo hanno fatto mamma e papà (che si chiamano, senza ombra di dubbio, l’uno, Tersite, l’altra Servetta Tracia). E abajo gli eroi: guai al paese che ha bisogno di eroi – tuona il profeta dell’ottimismo a ogni costo, ché gli eroi gli stanno proprio sullo stomaco (non sempre immune da ulcere e gastriti).
Ma chi sarebbero poi questi due padri ignobili della malignità moderna, questi due campioni invitti e un po’ svitati della Schadenfreude, la «delizia delle disgrazie altrui»? Tersite era lo storpio inguardabile che invidiava e oltraggiava i maestosi eroi omerici. La Servetta Tracia era invece la donnicciola che scoppiò a ridere di gusto quando vide il grande filosofo Talete, il capostipite del pensiero occidentale, cascare in un fosso perché troppo intento a guardare il cielo e a interrogarlo. Figuratevi che Nichi Vendola, un ottimista coi fiocchi, ebbe l’impudenza di indicarla come esempio da seguire (forse della famosa, e ormai insopportabile tanto è citata da tutti, «leggerezza» di cui parla Italo Calvino nelle «Lezioni americane»). Tersite e la truce Servetta Tracia: i velenosi ascendenti dell’uomo moderno. Be’, allora vediamo di non scandalizzarci troppo quando qualcuno, piuttosto, preferisce essere figlio di buona donna.
4 Comments