di FRANCO G. FREDA
Eroici, perfino. A sfidare i quaranta gradi garantiti del brindisino nei suoi momenti più hard. Sono circa un migliaio gli studenti che si sono ritrovati a Ostuni nel Riot Village, campeggio impegnato e – pare – svincolato dall’ingerenza dei partiti, a preparare la lotta dell’autunno per una scuola migliore. No alle tasse per i fuoricorso. Dicono. Sì alle borse di studio. È evidente che il dramma della scuola sia per loro di ordine economico. Magari fosse solo così. Saremmo a posto. Invece, il vero problema è che la scuola di oggi è del tutto incapace di cavalcare la tigre del presente e troppo intimamente contaminata per incentrarsi, limpida, serena e severa, su essenze intemporali e paradigmi superbi.
O si fa in modo di cambiare questo mondo o deve per forza cambiare la scuola. Oppure, strada più impervia e virtuosa, occorre essere così audaci e attenti e abili da usare la scuola per cambiare il mondo. Come? Andando controcorrente. Ma in maniera decisa. Rileggendo il Nietzsche di Sul futuro delle nostre istituzioni educative. I suoi infiammati e duri discorsi sul genio. Altro che Gramsci. Questo è già il mondo di Gramsci e lo vediamo il risultato. Altro che i cantanti, anche se bravi, a modo loro: Janis Joplin, De André, Gaber. Altro che le musiche facili. Troviamo uno spazio a scuola per un’onestà davvero completa e meditiamo su questa sgradevole verità: «Lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità» (Nicolás Gómez Dávila). Riuscireste a dimostrare che non è così, voi ragazzi del Riot Village?
La scuola dovrebbe porsi un obiettivo fondamentale: permettere a ciascuno di «diventare quello che è». Il resto è spreco di tempo, disturbo, delirio. Dovrebbe smetterla il prima possibile di affliggerci con quello che è estraneo al nostro carattere, alla nostra natura. Già dalle medie, già dalle elementari, perfino. Basta con l’enciclopedismo, che è un travestimento del qualunquismo. Ogni studente è bene coltivi le proprie vere inclinazioni e ci lavori su. Senza disperdersi in un sapere generico, superficiale. Lì solo ci potrà essere profitto: per lui e per la comunità.
E chi non ha il minimo amore per lo studio che possa smetterla il prima possibile con la farsa e andare a fare mestieri e servizi manuali. Dite che è un ritorno alla brutalità, ragazzi del Riot Village? No: è rispetto. Cercate di pretendere che la scuola dia a ciascuno di voi la possibilità di fare la propria strada. Non è decente che chi va al Liceo classico perché ha passione per le lettere e odio per i numeri si ritrovi a dover studiare chimica con le ossidoriduzioni. Garantito che lo sfortunato le dimenticherà appena finito il quadrimestre e, intanto, però, avrà perso l’occasione di leggersi Proust, Rilke, Virgilio, Tagore (o di imparare a mettere a posto tubi e tapparelle).
Il qualunquismo è il malanno grave della scuola italiana, villaggio vacanze che, se non hai la fortuna di incontrare un insegnante illuminato, poi ti sputa nel mondo impreparato dal punto di vista pratico e sballato da quello interiore. E basta con la storiella che l’accesso alla scuola sia il massimo dono che uno Stato possa offrire ai suoi cittadini. Il massimo dono, da parte di uno Stato, è assicurare ai cittadini di poter seguire le proprie vocazioni, di poter esprimere il miglior io. Io-ciabattino o io-filosofo, non ha importanza. Ogni perfezione è perfetta, in questo mondo imperfettissimo.
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