17 Luglio 2024
Punte di Freccia

Franco il marò, storia di uno dei tanti – Mario Michele Merlino

‘Ora viviamo nel tempo della libertà democratica. Tutto viene mistificato da un ben definito ordine mondiale. Sono le parole, milioni di parole che sostengono l’Europa, alcune parti zoppicano, altre si sorreggono in un equilibrio precario, si mescolano con l’inganno e la corruzione per finire il più delle volte in una pappata generale. Noi l’abbiamo fatta la nostra scelta…’ (pg. 80, Dalla X MAS alla rivolta di Algeri). Si chiama ‘la guerra del sangue contro l’oro’. C’è chi l’intraprese, consapevole o meno, già in quel lontano 1943, dopo la vergogna dell’8 settembre. E non ha mai dismesso. Ormai Franco passa dal letto alla poltrona. Il bastone non è più sufficiente a reggere il corpo a cui le gambe non danno più sostegno. E non consola dirsi che, classe 1924, fra poco compie novanta quattro anni. Una età di tutto rispetto, soprattutto rispetto verso l’esistenza che può raccontare – e, lucido e ostinato, raccontare solo ciò che intende raccontare… perché, da narratore sanguigno e verace, conosce il coabitare del vissuto con quanto appartiene di diritto al verosimile che dona al romanzo quella ossatura solida ed efficace. Con sorriso ironico e disarmante mi interrompe e devia e domina la conversazione ogni volta che provo ad incalzarlo. La X Mas, nel btg. Lupo, l’agguato vile nella notte a Milano per sottrargli, invano, la pistola, la resa alle porte di Padova, la prigionia in Algeria nel 211 P.O.W. a Cap Matifou. E già vi sarebbe tanto e ben oltre da scrivere. Solo che è l’inizio di un cuore avventuroso. Accontentiamoci, intanto, di tracciarne percorso e tappe. Poi, poi vedremo…

A Roma l’ufficio arruolamento della Decima è situato al Campidoglio. Come per altre formazioni combattenti della RSI. La fila di giovani entusiasti e arditi si snoda lungo il colonnato – vi sono fra loro numerose giovani donne –, mentre l’imperatore Marco Aurelio vigila, severo e con il braccio teso, come ad indicare il cammino. Scanzonato e strafottente Franco si guarda intorno, incosciente forse, com’è nella sua natura ove prima ci si butta nella mischia e dopo, ma soltanto dopo, si calcolano le conseguenze. Lo sguardo sicuro il gesto preciso il fisico robusto, non si chiede altro e tanto gli basta per ottenere un visto e il biglietto del treno destinazione La Spezia, caserma di San Bartolomeo. Tutto facile; il difficile ora è dirlo alla mamma…

‘Scendo da un tram elettrico traballante e scalcinato. Una caserma. Un marinaio di guardia armato di mitra. Una divisa grigioverde simile a quella del btg. San Marco. Sventola sul pennone una grande bandiera tricolore con un buco al centro. Hanno tolto lo stemma dei Savoia, simbolo del tradimento. Mi vengono le lacrime agli occhi L’Italia non è morta (…) La guerra è perduta (…) I miei dubbi, i miei scrupoli, la mia depressione spirituale spariscono. Mi sento sollevato, lo spirito libero come se avessi risolto un grave problema. Firmo la mia adesione (…) Vado alle armi quando tutti se ne tornano a casa’ (Il mare nel bosco, Luigi Del Bono). Così per Franco, così per circa trenta mila volontari.

Operazione Shingle, 22 gennaio 1944, gli alleati sono sbarcati a Nettunia. Le esitazioni del generale Lucas, più che la presenza di deboli difese dei tedeschi, impediscono loro di giungere fino alle porte di Roma. Ai Comuni Winston Churchill, masticando amaro l’immancabile sigaro, è costretto ad ammettere: ‘Io avevo sperato di lanciare sulla spiaggia un gatto selvatico, mentre invece ci troviamo sulla riva con una balena arenata’. La battaglia di Anzio li costringerà a restare inchiodati sulla spiaggia fino ai primi di maggio, mentre il Feldmaresciallo Albert Kesselring ha il tempo di racimolare truppe a rinforzo e con esse, ai primi di febbraio, arrivano poco più di mille marò del btg. Barbarigo della X MAS. Per molti di loro la prima esperienza di guerra. E per oltre cento di loro sarà anche l’ultima. E’ il prezzo da pagare per coloro che accorsero al grido ‘Per l’Onore d’Italia!’. Il primo a beccarsi un proiettile in fronte Alberto Spagna, incauto e curioso, aveva sollevato la testa per guardare oltre la buca…

Intanto a La Spezia va formandosi un secondo battaglione, il Lupo, con gli istruttori germanici e l’intento dichiarato di dare il cambio ai camerati, provati, nei combattimenti contro i Rangers nell’Agro Pontino. Fra le nuove reclute, c’è Franco, assegnato alla terza compagnia. A metà aprile avviene il trasferimento nella valle dell’Era in provincia di Pisa. Un paio di Feldwebel (i sergenti, spina dorsale della Wehrmacht) della divisione corazzata paracadutisti ‘Hermann Goering’ per insegnare loro come diventare in fretta soldati. E furono all’altezza del compito.

Quaranta giorni circa, poi senza alcun preavviso la partenza destinazione Piemonte a dare la caccia ai partigiani. I primi caduti, dall’una e dall’altra parte. Alloggiati nella caserma Monte Grappa, a Torino. In attesa di andare al fronte e interrompere la spirale di violenza fratricida. Prima, però, bisogna riconquistare la città di Alba nelle Langhe, da settimane in mano partigiana. Sorride, mentre mi racconta le fasi della battaglia – in effetti qualche colpo di mortaio, raffiche di mitragliatrice, un correre chini tra filari di vite, l’entrata nell’abitato, qualche morto sparso a dare il sapore del combattimento. ‘Quasi non ce ne accorgemmo’, conclude. Ancora Torino e l’ordine di partenza per Milano.

Il battaglione viene alloggiato in una scuola elementare a Ripa Ticinese. Sfila davanti al Maresciallo Rodolfo Graziani al Castello Sforzesco. Poi il trasferimento al fronte, la Linea Gotica, lungo la riva del Senio, in buche improvvisate di fango, di fronte i canadesi. Qui, nella notte del 6 gennaio, il S.T.V. Mario Sannucci, comandante della terza compagnia, lascia il braccio destro alla Patria (che se ne fregherà, va da sè) nel tentativo di snidare i cecchini alleati. Appostati sulla riva opposta.

Franco, però, non c’è. La lunga degenza in ospedale, la convalescenza in un albergo sulle Dolomiti, dove conosce e fa da baby sitter ai figli del Principe Borghese. E’ accaduto che, rientrando di notte, a Milano, l’agguato. Così lo racconta ne Dalla X MAS alla rivolta di Algeri: ‘… ti ricordi di quella notte quando Federico cadde in un’imboscata? Volevano disarmarlo, quei tristi, appiattiti al muro…’ Un colpo a bruciapelo a perforare il polmone, la pistola no, quella non sono riusciti a sottrarla. La sua prima preoccupazione. Un vanto, un punto fermo dopo oltre settanta anni…

Il 28 aprile del ’45, alle porte di Padova. In un campo di grano i marò della Decima si schierano mentre i riflettori delle truppe neozelandesi illuminano la notte disegnando due strisce che, incrociandosi, sembrano riprodurne il simbolo a loro caro. Cade una pioggerellina fine, lacrime sui volti. La resa con l’onore delle armi. Inquadrati, tra insulti e sputi degli eroi dell’ora ultima e facile, una dozzina di ausiliarie in prima fila, si avviano alla prigionia. Il campo S a Taranto, i reticolati in Algeria, e di nuovo a Taranto. Questa volta Franco li ha raggiunti, è anche fisicamente uno di loro. Dieci anni dopo, nella raccolta di versi dal titolo Tempo di sera, torna il ricordo ‘Erano serate lunghe – sotto le stelle – col vento in faccia – dalla rada d’Algeri. – Lunghi discorsi – mormorati a crocchio: – date, episodi, morti. – E poi ancora l’arme – in cuore, pronti – nel futuro. – Sembrava di forgiare – il destino nelle mani – inermi, nel campo – chiuso dai reticolati – rugginosi e fermi’.

Fine dicembre del ’49, Marsiglia, piazza antistante il Fort Saint-Nicolas, la sede della Legione Straniera. Di nuovo in armi. Anche se l’uniforme non è la medesima, il cuore non muta l’ardire e la mente un vorticare d’immagini forti. Dien Bien Fu, Indocina. E l’Algeria… Me ne racconta con tono impersonale, quasi da spettatore, come se mi volesse lasciare il dubbio se fu partecipe o solo testimone. Sono i suoi commilitoni, di cui Ugo il più prossimo, a darmi conferma.

Infine, atto di fierezza e fedeltà verso il Comandante, la notte dell’8 dicembre 1970 ove una comunità si riconobbe e attese invano ‘l’ultima raffica’.

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