La città di Francoforte si estende lungo il fiume Meno, non distante dalla confluenza con il Reno. Il suo nome – il guado dei Franchi – rimanda alla ventennale guerra che Carlo Magno intraprese contro le popolazioni sassoni, riottose a sottomettersi alla sua autorità e, soprattutto, alla conversione al cristianesimo. Guerra spietata. L’elsa della spada, simile ad una croce, fu più loquace di miti parole d’amore e solidarietà. Era quell’età del Medio Evo, virile e guerriero, tanto caro a Drieu la Rochelle che lo ritrova, nelle ultime pagine di Gilles, quando il protagonista impugna il moschetto e si rende consapevole alfine che nulla si compie senza il sangue… Un documento con il sigillo dell’Imperatore (pur amante della cultura non apprese mai la scrittura né a leggere) la nomina ‘… actum super fluvium Moin in loco nuncupante Franconofurd’ (22 febbraio 794, convento di St. Emmeram, Ratisbona). In effetti, sul monte Taunus (più esattamente catena montuosa che s’accompagna alla città e di cui ho narrato in altra occasione), vi sono visibili le tracce di un fortino d’epoca romana e a difesa del Limes, a testimonianza di anteriore e antico insediamento.
Il ponte vecchio (Alte Bruecke) collega il centro storico con Sachsenhausen (le case dei Sassoni), un reticolo di vie strette tra case dalle facciate colorate e la presenza di birrerie caratteristiche ove si può bere un calice di Apfelwein, vino di mele a bassa gradazione ma capace di immobilizzarti le gambe e farti pisciare addosso (una sorta di rito d’iniziazione a cui gli amici burloni mi hanno sottoposto con battute e grandi risate e manate sulle spalle oltre il mio scorno). Il nome indica come sulla sponde del fiume vi fossero villaggi a cui Carlo intendeva imporre il suo dominio. Secondo una leggenda, ricorrente in quei secoli di fondazione dell’Europa (pregante la definizione dello storico Giorgio Falco nel suo libro La Santa Romana Repubblica), inseguendoli in armi e avendo costoro raggiunta l’opposta riva, gli apparve improvvisa una cerva la croce fra le corna che gli mostrò il punto ove guadare il fiume…
Tutto questo mi appartiene – il mondo delle idee di lotta ed affetti – e non intendo venire meno ad una sorta di tacita promessa – ‘unsere Ehre heisst treue’ -. Volgo lo sguardo oltre lo scrittoio e la tastiera del computer e, sul ripiano in marmo, i due elmetti tedeschi (ancora ’grazie’ a Franco che me ne fece dono prima di poggiare lo zaino a terra e andare avanti troppo presto), gli stemmi dei reduci dell’Afrikakorps la bandierina su fondo rosso con gli stemmi d’Italia (con l’ignobile stemma sabaudo) e di Germania (la svastica in cerchio bianco), la fotografia, l’originale, dei due Capi in piedi sull’auto scoperta in via del Corso. I libri che ci raccontano di un grande sogno, di quell’Europa e di quel Nuovo Ordine di cui le Waffen SS, secondo l’intuizione di Degrelle, sarebbero stati gli alfieri anche contro troppi ancoraggi ad un nazionalismo biologico… Ed anche il suo volto, raccolto fra i lunghi capelli castani, assorto e quasi presago dell’imminente tragedia, in una cornicetta rossa e verde che un compagno di cella, truffatore spagnolo, mi fece a Regina Coeli.
La Germania che ho imparato ad amare mi si propose in volti e agili figure di giovani donne in cerca di sole sulla costa di Romagna. Atmosfera di tenerezza. Sotto il cielo stellato su qualche lettino a strisce colorate o la sabbia soffice calda l’armonia pigra dell’onda le mani si fecero sempre più ardite cercando le curve morbide del seno e di cosce accoglienti. ‘Ich liebe dich’, un gioco. Poi non lo sarebbe stato più e, illusi, ci dicemmo la parola ‘sempre’… E Francoforte divenne cuore e mente di quella ‘terra della sera’ ove si ritrovarono i sentimenti e gli ideali. Nella Glauburgstrasse, la prima mia dimora, ascoltavo su un gracchiante 78 giri l’inno della Legione Condor durante la guerra civile di Spagna ‘Wir flogen jenseits der Grenze…’. In attesa di trovarci in lunghe passeggiate di notte e a bere un bicchiere di Samos, rosso e profumato, dalle ‘sorelle greche’, minuscola enoteca gestita da due anziane signore. E, mentre al buio del cinema proiettavano il celebre Orfeo Negro, avvertimmo prepotente il bisogno di stringere le mani, quasi una forza misteriosa e malefica volesse separarci. ‘perchè Felicità, da me non vuoi restar? Tu, in un momento più veloce del vento, passi e non torni più’…
Sono tornato a Francoforte, in ottobre metà degli anni ’60, e vi sarei rimasto circa un anno. Trovo lavoro quale Aushilfer (equivalente ad un contratto a termine), indosso un camice color carta da zucchero, sto dietro un bancone a fare pacchi per i clienti al quinto piano del grande magazzino Kaufhof nel cuore della città, l’Hauptwache, il cui nome richiama un posto di guardia durante il Medio Evo. I giorni si susseguono simili e forse noiosi. Non ritrovo più il passo dopo passo verso la Ulmenstrasse – essere in cammino, mi dico, che ama le percorrenze, travalicare ogni orizzonte… Ciò che ami è in te. Una sera, accompagnando una commessa dai capelli a caschetto, ci insultano. Faccio il gradasso. Mi levo gli occhiali e carico. Mi riempiono di botte; porto ancora le tracce, nascoste dalla barba. Anni dopo, Berlino Lipsia (visito a Roekken la tomba di Nietzsche) e Norimberga, più volte. Non Francoforte.
Un ultimo ricordo, però. In modo casuale stringo amicizia con Otto R.. Ha notato il maglione rosso con l’aquila stilizzata sotto il grembiule. Mi ferma all’uscita serale mi offre una birra. Ha più di quaranta anni e da quindici vive e lavora a Francoforte. Si racconta, tenace e fedele, pur se cauto in tempi maledetti in cui il passato è stato reso freudianamente senso di colpa e la mannaia del boia la chiamano giustizia. Egli è nato nel 1921 a Marienbad nel territorio dei Sudeti, da poco ceduti alla Repubblica di Cecoslovacchia con il diktat di Versailles. Nel 1939 parte volontario tra i primi e lo inviano ad una scuola di guerra per cacciatori di carri, Panzerjaeger a Cobur. Viene decorato più volte e l’11 ottobre del 1943 ottiene la Ritterkreuz. Sul fronte russo, Il 12 settembre, la grande occasione: in appena 12 minuti mette fuori combattimento dieci T34 sovietici. Mi mostra il ritaglio di giornale che lo ritrae in uniforme, il volto aquilino i capelli biondi, e che riporta la motivazione della decorazione. E’ quanto gli rimane e i ricordi, indelebili. Poi la prigionia fino al 1949, l’esilio in patria. E’ l’Europa intera ad essere terra d’esilio, terra di proscritti, credo di avergli suggerito…
Durante la neutralità dell’Italia (agosto 1914-maggio 1915) Benedetto Croce scrisse un articolo su quella Germania che non si può non amare. Egli intendeva, va da sè, dei grandi filosofi e della musica. Non basta. C’è anche quella degli Otto R. per noi che, come Nietzsche, amiamo definirci ‘buoni europei’…
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