11 Ottobre 2024
Fumetto d'Autore

FUMETTO & FASCISMO – PROFONDO INDACO (Le avventure di Romano, 3a parte – Negli Abissi del Mare)

Torniamo dal nostro Romano, uno dei più importanti personaggi d’avventura a fumetti dell’Era Fascista, con il terzo, avvincente racconto del Legionario. L’episodio in questione, intitolato Negli abissi del mare, apparve, dipanandosi per appena 13 puntate consecutive settimanali (contro le 30 circa di ognuna delle due storie precedenti) sul periodico per ragazzi “Il Vittorioso”, dal n. 43 (a. III) del 28 ottobre 1939 – XVII E.F. al n. 3 (a. VI) del 20 gennaio 1940 – XVIII E.F.; ricordiamo che il giornale era una testata della cattolica AVE (acronimo per “Anonima Veritas Editrice”).

Le profondità marine protagoniste della nuova avventura di Romano. La batisfera.

Negli abissi del mare parte immediatamente dopo la fine dell’episodio precedente, Deserto bianco, pur non essendone la continuazione narrativa; anche in questo caso tutte le tavole hanno la rilevanza della copertina (che, secondo l’usanza dell’epoca, coincideva con la prima pagina) e sono dunque a colori: ciò significava che il personaggio di Kurt Caesar, autore dei testi e dei disegni fin dall’inizio della saga, continuava ad avere immutato successo di pubblico. Come mai, allora, questo terzo episodio è  così breve rispetto ai primi due? Perché in realtà si tratta della prima delle due parti di una lunga avventura di 36 tavole, che si concluderà con la 23esima puntata della storia successiva, Il nemico invisibile, della quale vi renderemo conto prossimamente.

Il “cineromanzo” e altre curiosità editoriali

Un cineromanzo o fotoromanzo del 1955 con Totò

Prima di entrare nel “vivo”, parliamo anche stavolta di alcune “curiosità” editoriali. Ogni puntata dell’episodio ha i suoi “titolini”, e precisamente: Un “S.O.S.”, Un abbraccio pericoloso, Soffocato?, La pressione mortale, Lo squalo, L’escursione di Nino, L’aggressione del pesce spada, Il falso tesoro, La borsa preziosa, Lo scafandro autonomo, Il falso appuntamento, Il furto della cassetta e Il dubbio di Isa; a partire dalla 9a puntata, sotto la dicitura “Cineromanzo di avventure”, appare il riassunto degli episodi precedenti, modulato su due righe; i riassunti delle prime sette puntate erano invece inseriti a pag. 6 dell’albo.

Dunque, anche Negli abissi del mare troviamo una “definizione” comune a tutte le puntate, “Cineromanzo di avventure”, come abbiamo detto prima. “Cineromanzo” era un neologismo piuttosto elastico nel significato, originariamente usato sulle riviste di cinema italiane a partire dagli anni Venti per indicare le sinossi romanzate più o meno illustrate dei film in voga, nazionali o stranieri che fossero; in ambito anglosassone tali opere vengono dette novelization (per esempio, il romanzo di fantascienza Viaggio allucinante di Asimov era una trasposizione letteraria dell’omonimo film). I cineromanzi divennero sempre più illustrati, fin quando, nel Dopoguerra, su riviste femminili come “Bolero” o “Grand Hotel”, diventarono veri e propri “fotoromanzi”, nell’accezione moderna del termine (potevano essere anche storie nuove di zecca, del tutto slegate dalle trame di film esistenti): i fotogrammi salienti del film – o comunque le foto scattate per comporre un’inedita avventura – erano posti (6/8 per pagina) in sequenza ordinata temporalmente secondo il senso di lettura, con l’aggiunta dei balloon (per far “parlare” i personaggi/attori del cineromanzo) e delle didascalie esplicative; si aveva perciò una sorta di “storia a fumetti”, dove le vignette erano però fotografie e non quadretti disegnati. Comunque sia fotoromanzo e fumetto erano innegabilmente parenti di primo grado e comunicavano usando gli stessi codici. Da qui una certa confusione terminologica.

L’album di Baglioni del 1973 con la canzone “La ragazza di campagna” dove si parla di fotoromanzo usando il termine “fumetto”

In Italia, a livello popolare – dunque fuori dal circuito degli appassionati, dei collezionisti e dei cultori della “letteratura disegnata” – almeno fino agli anni Settanta, il termine “fumetto” era infatti spesso usato come sinonimo di “fotoromanzo”. Prova ne sia la ben nota canzone La ragazza di campagna di Claudio Baglioni, inserita nell’album Gira che ti rigira amore bello del 1973. Il testo ha come protagonista una giovanissima che sta diventando donna; verso la metà del brano si sente cantare: non ti piace cosa fa quel fumetto, poi ti va perché l’attore è bello e audace, il segno della croce e poi lo metti via. La ragazzina non sta sfogliando un “Diabolik” o un “Kriminal”, ma un fotoromanzo!

The Marvel Fumetti Book, fotoromanzo del 1984

Essendo il fotoromanzo un mezzo di comunicazione di invenzione italiana, che sfrutta però gli stilemi del fumetto, nel mondo anglosassone, come nella canzone di Baglioni, la parola italiana “fumetti” (dove il nostro plurale corrisponde al loro singolare) viene usata per indicare proprio il “fotoromanzo”: la prestigiosa “Encyclopedia Britannica”, per esempio, nell’articolo dedicato a Federico Fellini, giustamente definisce il film Lo sceicco bianco del 1952 a satire on the fumetti (photographic comic strips) and their fanatical fans, ovvero “una satira sul fotoromanzo (fumetti fatti con le fotografie) e i loro fanatici seguaci”; in America uscì nel 1984 una pubblicazione satirica, The Marvel Fumetti Book, dove lo staff della celebre casa editrice di Stan Lee “recitava” in uno spassoso fotoromanzo (fosse stato un “fumetto” vero e proprio, disegnato avrebbero correttamente intitolato l’albo The Marvel Comic Book).

Due pagine interne del “The Marvel Fumetti Book”

La “R” di Romano

Con questo episodio sottomarino il nostro Romano comincia a indossare una “divisa” che lo rende immediatamente riconoscibile in mezzo agli altri protagonisti. Con ogni probabilità tale ritocco estetico era in primo luogo dovuto al fatto che Romano aveva un volto un po’ “anonimo”, molto maschile, ma non propriamente caratterizzato. Da un punto di vista della storia del fumetto, e soprattutto nel fumetto avventuroso, il connubio eroe-costume era inoltre imprescindibile, come ben doveva sapere Caesar. Pensiamo per esempio alla tradizione americana dei supereroi: il costume blu-giallo-rosso di Superman o la tenuta nera da uomo-pipistrello di Batman permettevano al lettore di individuare immediatamente e senza margine di errore il suo beniamino in copertina, nelle affollatissime rastrelliere di riviste delle edicole o delle drogherie. In personaggi come il già citato Batman il costume è il riflesso oggettivo e visibile delle caratteristiche peculiari del protagonista; in altri casi è poco più di una sorta di “bandiera” che non viene sventolata, ma indossata (il caso estremo è quello di Capitan America). Vero è che, col passare dei decenni, il discorso del costume si è radicalizzato, assumendo purtroppo inevitabili contorni economici, per cui il copyright non tutela più solo il nome di un personaggio ma pure, e in particolar modo, il suo aspetto. Anche in Italia. E dunque l’abbigliamento di un Tex o di un Dylan Dog non può essere assolutamente riprodotto da terzi, nemmeno a fini saggistici, senza l’autorizzazione della casa editrice o dei detentori dei diritti.

La vistosa “R” rossa di Romano!

Il lettore vuole il costume, esige che il suo personaggio preferito sia sempre uguale a se stesso, che si comporti sempre, più o meno, nello stesso modo. In poche parole, il fruitore della narrativa popolare (della quale fa parte il fumetto) è affezionato al “tormentone”, al placido e rassicurante ripetersi – con non troppo esagerate variazioni sul tema – di personaggi, di luoghi e di simboli. Ecco dunque Kurt Caesar sposare la nuova filosofia grafica dell’eroismo a fumetti e far indossare a Romano uno sportivo girocollo giallo con una vistosissima “R” rossa gigante sul petto, quasi fosse lo studente di un college!

Paura in fondo al mare

Meno tecnologia a motore in questo breve episodio, rispetto allo standard al quale ci aveva abituati l’artista. E Romano, aviatore provetto, è sbalzato del tutto fuori dal suo ambiente naturale, i cieli. All’inizio dell’avventura lo troviamo infatti immerso nelle profondità marine con una batisfera. Si tratta di un precursore del batiscafo, sviluppato alla fine degli anni Venti dall’ingegnere americano Otis Barton per le ricerca zoologiche del naturalista dottor William Beebe.

Il film ispirato alle imprese di Beebe e della sua batisfera
La batisfera di Beebe e la stampa italiana

Le immersioni andarono avanti per circa un decennio e nel 1938 fu girato un film hollywoodiano che ripercorreva con molta fantasia le gesta degli scienziati. Caesar si ispira chiaramente a queste vicende, sia filmiche, sia reali, che avevano avuto larga eco anche sulla stampa italiana. Attraverso gli oblò della batisfera oppure oltre le visiere di scafandri da palombaro appare ai lettori del “Vittorioso” un mondo silenzioso e incantato, che pare traslato dalle pagine del Verne di 20.000 leghe sotto ai mari e dalle altre avventure con il Capitano Nemo: polipi giganti, serpenti di mare, squali assassini, infidi pesci spada che tirano di scherma… nelle prime tavole della storia l’autore mette in gioco tutto il “senso del meraviglioso” che emana da una Natura non ancora doma.

Sul finale l’avventura marina di Romano si trasforma in una sorta di “western” latinoamericano

Poi l’avventura comincia a tingersi di giallo, di thriller dalle sfumature internazionali: in un vetusto relitto sommerso quello che sembra essere un tesoro è in realtà una mina, che esplode in superficie e fa affondare la nave-recupero italiana Artiglio, prezioso appoggio logistico di Romano. Un documento di rilevanza nazionale scompare… L’azione si sposta infine in Perù, con le ultime puntate narrate al ritmo di cardiopalma, in una sorta di western latino-americano – fra ombre furtive, indios, brutti ceffi, belle pupe, inganni, trame, rapine e spettacolari fughe a cavallo.

La tragedia dell’Artiglio

La nave oceanica Artiglio, che cala in mare il palombaro Romano verso un relitto in cerca di un tesoro sommerso (che poi si rivelerà un ordigno esplosivo), è la trasposizione fumettistica di un natante e di una vicenda che risaliva a 9 anni prima della pubblicazione del fumetto. Caesar ha preso dalla realtà due navi diverse, chiamate Artiglio e Artiglio II, e due recuperi diversi, quello del Florence (con gli esplosivi) e quello dell’Egypt (con il tesoro), creando dal nulla un’avventura tutta nuova. Per saperne di più leggiamo l’ottimo resoconto che ne ha fatto, nel dicembre del 2010 (ottantesimo della tragedia), Paolo Fornaciari, direttore del Centro Documentario Storico del Comune di Viareggio, per “Il Tirreno”, noto quotidiano toscano.

             L’Artiglio, in una foto d’epoca

L’esplosione che (…) domenica 7 dicembre 1930, travolse e affondò l’Artiglio, mentre era impegnato nella demolizione del piroscafo Florence, proiettò il nome di Viareggio e dell’Artiglio sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo. Dodici furono i morti, quattro viareggini: i palombari Alberto Gianni, Aristide Franceschi, Alberto Bargellini e il marinaio Romualdo Cortopassi. Il tragico episodio non sminuì le imprese dell’Artiglio, prima fra tutte la localizzazione del relitto dell’Egypt e il recupero del prezioso carico dal fondo dell’Oceano. L’impresa dell’Artiglio e successivamente dell’Artiglio II fu un’operazione straordinaria. (…) Degli uomini dell’Artiglio è possibile conoscere la storia soprattutto grazie al libro di Silvio Micheli “L’Artiglio ha confessato”, un’attenta ricostruzione storica che, con le testimonianze dei marinai, dei palombari superstiti e dei famigliari dei caduti, costituisce un autentico documento umano fra i più significativi.

L’Artiglio affonda nel fumetto di Caesar

Con “L’Artiglio ha confessato”, nel 1959 Silvio Micheli si è aggiudicato il Premio Letterario Viareggio per l’inchiesta giornalistica. (…) Tutto ebbe inizio dall’incontro di Alberto Gianni, palombaro già famoso (ricordiamo che già nel 1914 in un articolo dal titolo “Invenzioni originali – Il pendolo motore”, pubblicato sul n. 30 della “Domenica del Corriere”, si legge: “un viareggino, certo Alberto Gianni, già addetto alla marina da guerra come palombaro, ha avuto un’idea originale: far servire il rullio delle navi in mare come motore della nave stessa”), con il commendatore Giovanni Quaglia, fondatore e amministratore della So.ri.ma., società di recuperi marittimi, impiantata a Genova. Al Gianni, la So.ri.ma. affidò le navi recupero Artiglio, Rostro, Raffio, e Arpione. Con il Gianni entrarono nella società i palombari Aristide Franceschi, Alberto Bargellini, Mario Raffaelli, Raffaello Mancini, i fratelli Fortunato e Donato Sodini, Giovanni Lenci e Carlo Domenici, che si erano fatti tutti alla scuola del Gianni. Iniziavano in quel periodo le immersioni non più con gli scafandri semirigidi o di gomma, ma con gli scafandri metallici, costruiti in Germania. Il Gianni era seriamente preoccupato per il fatto che, con addosso simili “mostri” di 4 quintali, i movimenti risultavano molto difficili. «L’uomo deve rappresentare l’occhio che osserva per guidare l’opera – diceva – assurdo pretendere che a 70 metri, bloccato da pressioni esterne sproporzionate, egli possa usare le mani e le gambe. Assurdo e sbagliato…». Così nacque l’idea della “torretta di osservazione” che, costruita e perfezionata dal Gianni, sostituì ogni tipo di scafandro. Con la nuova torretta furono portati a termine i recuperi dei preziosi carichi contenuti nelle stive dei piroscafi Washington, Ravenna, Umberto 1º, Eyloniam, Monte Bianco e Stromboli. Non vi era più impresa impossibile.

                I palombari dell’Artiglio

Di lì a poco la So.ri.ma. indirizzò l’attenzione ai carichi contenuti nei relitti sul fondo dell’oceano, creando le premesse per la più grande impresa mai affrontata: il recupero del carico dell’Egypt, piroscafo, colato a picco in un punto imprecisato nel tratto sud-occidentale della Manica, che conservava, a 130 metri di profondità, 5 tonnellate e mezzo di oro e 43 tonnellate di argento, per un valore di 5 milioni e mezzo di dollari di allora. Il 12 settembre 1929, l’Artiglio si diresse a Brest per occuparsi della localizzazione dell’Egypt, vero “ago nel pagliaio”. Il 29 agosto 1930, dopo quasi un anno di ricerche fu incocciato un relitto: era l’Egypt. (…) La stagione era troppo avanzata e l’Artiglio non poteva reggere il mare in pieno oceano. Si doveva rimandare tutto. Allora per impegnare gli uomini, l’Artiglio fu inviato a Saint-Nazaire con il compito di demolire la carcassa del Florence che giaceva a 16 metri di profondità, con un carico di 150 tonnellate, tra esplosivo e munizioni. La pericolosa operazione di smantellamento consisteva nel far brillare cariche per aprire un varco nella stiva della nave. La demolizione iniziò il 4 ottobre 1930. I palombari sistemavano le cariche fatte poi esplodere dall’Artiglio tramite cavo elettrico, a distanza di sicurezza. Passavano i giorni e il Florence restava sempre da demolire. E siamo alla domenica del 7 dicembre 1930, il giorno fatale. Dopo aver piazzato le cariche, l’Artiglio si portò a distanza, questa volta a soli 160 metri – tale era la lunghezza del cavo rimasto – e Gianni collegò i fili elettrici. Con un boato, un’enorme colonna d’acqua e di ferro si sollevò al cielo: erano esplose tutte le munizioni e l’esplosivo e l’Artiglio e il Florence non esistevano più. La notizia della tragedia fece subito il giro del mondo. Molti pensarono che mai più si sarebbe parlato del recupero dell’Egypt. Ma altri palombari, cresciuti alla scuola del Gianni, erano pronti a portare avanti il lavoro. Nasceva così l’Artiglio II per strappare al mare il tesoro dell’Egypt. Con un’impresa che sa di leggenda, nel 1933 furono recuperate 6 tonnellate e mezzo d’oro e 44 di argento, qualche tonnellata in più di quanto denunciato all’assicurazione.

La camera iperbarica nel fumetto di Romano

Caesar rende omaggio ai palombari tragicamente scomparsi con il suo consueto stile, mescolando in un impareggiabile unicum realtà e fantasia. Abbiamo dunque l’Artiglio, con la sua caratteristica “gru-polipo” per i recuperi a basse profondità, che imbarcava la tecnologia più avanzata dell’epoca; tra queste apparecchiature c’è un “barografo”, ma invece che lo strumento per misurare la pressione atmosferica, quello manovrato da Romano sembrerebbe più essere una specie di sonar; ed ecco anche una camera iperbarica portatile modello Galeazzi, nella quale viene fatto accomodare il Legionario a rischio embolia. Imponente il transatlantico giapponese Itaku Maru (dove maru è un generico suffisso nipponico che significa “nave” se usato per i natanti), inserito dall’autore forse con riferimento alla Heian Maru o alla Hikawa Maru, all’epoca realmente esistenti.

                                                Una camera iperbarica Galeazzi

Grandi protagonisti della storia sono gli scafandri da recupero e da immersione profonda. Nella quinta puntata Romano si cala in mare proprio con la torretta di osservazione, o “torretta butoscopica”, concepita dall’Alberto Gianni dell’Artiglio e costruita nell’officina viareggina di Assuero Baroni; l’apparecchiatura fu poi ingegnerizzata e realizzata industrialmente dalla già citata famiglia Galeazzi di La Spezia.

Il Neufeldt & Kuhnke
Lo scafandro di Nino
La torretta d’osservazione e lo scafandro italiano di Romano

Poche vignette dopo il Nostro torna in mare con quello che viene definito un italianissimo scafandro speciale: si tratta di un’altra celebre invenzione delle Officine Galeazzi, lo scafandro rigido articolato del 1938. Nella puntata successiva scende invece nelle profondità marine Nino, amico e collega di Romano, stavolta con uno scafandro articolato tedesco Neufeldt & Kuhnke, proprio il poco agevole modello adottato dalla So.ri.ma. che non piaceva al viareggino Gianni!

Lo scafandro Mark V di Romano

Nelle puntate successive Romano abbandona i pesanti scafandri articolati per tute da palombaro in gomma più agevoli: lo vediamo anche indossare un Mark V, dal caratteristico elmetto bronzeo.

              Il Mark V

E l’aereo dov’è finito?

Il simbolo stesso delle avventure dell’asso dell’aviazione italiana Romano, l’aereo, viene per il momento relegato in un angolo, in questa breve avventura “acquatica” del 1939/40.

Il presunto “Boeing 74”

 

Il Boeing 314 Clipper

Nella seconda puntata vediamo però all’ancora un gigantesco idrovolante, definito da Caesar un idro-transatlantico Boeing 74 – in realtà un Boeing 314 Clipper – mentre nella decima puntata Romano viene tratto in salvo da un altro idrovolante, ignoto, ma quasi sicuramente un Consolidated PBY Catalina. Gli aerei torneranno, in grande stile, nei prossimi episodi!

                            Il Catalina
        L’idrovolante che soccorre Romano

 

 

 

 

 

 

 

Francesco G. Manetti

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