di Mario M. Merlino
Cesare Ferri, l’autore di questo suo ultimo romanzo, titolo Fuori dal giro, edito dal Settimo Sigillo (siamo, dunque, vittime rassegnate e fortunate del medesimo stampatore… grazie Enzo!), ama che lo si valuti per quello che egli scrive, oggi, e non per un passato giovanile di piazza e bastoni e mani levate (e, qui, egli discreto e serio si distanzia dal Merlino che si ostina a farsi vanto – e rendersi alfine rompicoglioni – d’essere stato immortalato, bastone e bottiglia, a Valle Giulia!). È, insomma, uno che dà fiducia alla mente quando gli impone di superare la distanza con le mani e di imporre ad esse il gusto e l’intelligenza della parola, consapevole che ‘l’uomo abita nella casa del linguaggio’ o di quel tempus loquendi prima che si sia avvolti dal tempus tacendi, cappella dedicata a Ixotta, un po’ sgualdrina e tanto amata da Sigismondo Malatesta signore di Rimini…
Un libro, sia esso un romanzo o antologia di racconti, chiede che non se ne faccia la presentazione per non distogliere, in anticipo, l’eventuale lettore dall’appassionarsi coinvolgersi o, capita e sovente, di chiuderlo delusi alle prime pagine. Così, nella copertina, la riproduzione del quadro di Gustave Caillebotte Jeune homme à la fenètresembra essere scelta funzionale a questo assunto: che sia il lettore a cercare, magari scendendo in strada, di vedere il volto che, nel dipinto, si offre di spalle. Il volto di Adriano Oneto (a me il cognome rimanda al G.M. Gaetano Oneto, una pagina brutta e tragica nelle vicende della XMAS in Piemonte, ma questa è altra storia…), giovane pittore in cerca dell’ispirazione addormentatasi e che va cercando e ritrovando nella Parigi di oggi.
Perché Parigi? Oggi essa si presenta con il tratto forte e anonimo delle grandi metropoli, chiassosa moderna sporca e multietnica, eppure capace di rimandare ai tanti volti appassionati ribelli poveri inquieti di artisti che, con dentro il fuoco vivo dell’intuizione creativa, tutto hanno donato al futuro mentre nel loro presente hanno conosciuto sputi toppe al fondo dei pantaloni rigagnoli di scolo e bicchieri, troppi, di vino da pochi franchi in bettole equivoche e male odoranti e i postriboli a cercare fra le cosce di donne svogliate la sifilide…. E quelle atmosfere in chiaro e scuro (non dirò ‘in nero’!) sono ancora nell’aria greve negli angoli dei vicoli in stanze dalle lenzuola stazzonate oltre che nei musei, tempio del successo, ove si mostrano nel loro splendore nascondendo l’originaria miseria.
Scriveva Mishima Yukio che “l’arte, assai più che di un oggetto oscuro o serio, è espressione di una imperfezione”, in visita a Delfi. Dioniso, il dio dell’ebbrezza, e Apollo, la divinità delle belle forme, non sono acerrimi e inconciliabili, ma appartengono al medesimo senso tragico della esistenza che fu dell’uomo greco. E dall’uomo greco sono giunti fino a noi tramite le voci grandiose e profonde di Nietzsche e di Dostoevskij – l’amor fati e la bellezza sono il loro antidoto alla follia e alla disperazione. Quella follia e quella disperazione che sono al fondo dell’animo turbato del protagonista di Fuori dal giro (con altri accenti e follia e disperazione Drieu la Rochelle aveva narrato in Fuoco Fatuo l’estremo confine prima del suicidio del suo amico Jacques Rigaut, pittore surrealista, nella Parigi degli anni Trenta), una follia e una disperazione che, però, sono protette e superate dalla battaglia intrapresa in nome dell’arte e della sua dignità. Perché, sembra suggerirci l’autore stesso, soltanto se riannodiamo i fili di quell’arte che è stata e volle essere raffigurazione e trasfigurazione nobile ed alta della realtà contro ogni sua forma di estrosa stupida arrogante sperimentazione, soprattutto contro i miasmi e i meandri di anime distorte e storte che ne hanno fatto ‘arte degenerata’ (e ad altro j’accuse su quel tipo d’arte gli era a mente mentre stava costruendo il solido filo della trama?), ritroviamo lo splendore della giovinezza, il senso autentico dell’amicizia e dell’amore, la gioia di vivere.
Be’, Fuori dal giro è ben altro, va da sé. La rapida pennellata descrittiva e il linguaggio sobrio e diretto; il dialogo che sa comprendere il quotidiano e l’attenta riflessione; il silenzio assordante che si cela e si lascia scoprire tra le righe. Un buon libro, un bel libro (certo non all’altezza della genialità e della poesia del Merlino, ahi! ahi! ahi!), un libro che ci può essere di certa compagnia in modo avvolgente le serate di questi giorni uggiosi che annunciano l’inverno.