di Mario M. Merlino
Sono stato pochi giorni fa ad assistere alla presentazione del libro di Gabriele Marconi, dal titolo Fino alla tua bellezza, Castelvecchi editore, seguito di Le stelle danzanti, al quale – e meritatamente – è stato decretato un buon successo di critica e di lettori. Dall’impresa di Fiume, così ardita irriverente ribelle, ‘alla festa della rivoluzione’ come l’ha definita Claudia Salaris, i due protagonisti, Giulio e Marco, abbracciano un nuovo fronte ove esprimere il bisogno di essere immersi nella storia collettiva e nel gusto della sfida personale. Qui siamo, circa vent’anni dopo, nella Spagna della guerra civile (1937), schierati con i ‘nazionali’, insomma dalla parte del Generalissimo Franco e della Falange.
(Non è mio intento scrivere sulla guerra civile di Spagna, sulla scia delle tante pagine offerte da Robert Brasillach, ma mi preme fare qualche breve riferimento per chiarire la posizione mia e di molti di coloro, con cui ho condiviso idee battaglie e quelle ‘strade brulle e rosse’, a cui rimangono fedeli la mente ed il cuore. Il 19 aprile del 1937, dal balcone del Palazzo Vescovile di Salamanca, dove ha insediato lo Stato Maggiore, il generale Franco legge il decreto di unificazione che, in sostanza, pone la Falange e i Requetès sotto il suo comando. Certo egli ne fa esaltazione dello ‘stile politico ed eroico corrispondente ai nostri tempi’, privandoli però d’ogni autonomia e snaturandone i principi originari. Sebbene la iconografia successiva lo raffigurerà quale ‘esecutore della volontà di Josè Antonio’, egli ne sancisce la soppressione e come movimento e come bagaglio di idee e dottrina. Nelle carceri di Alicante Josè Antonio ne è ben conscio tanto che, in una lettera in data 12 luglio, appena cinque giorni prima dell’insurrezione, scrive a Gimenez Caballero, giovane scrittore falangista: ‘Una delle cose peggiori sarebbe la dittatura nazional-repubblicana. Un altro falso esperimento che io temo, sarebbe (…) l’affermarsi di un falso fascismo conservatore, senza coraggio rivoluzionario e senza sangue giovane’. Liberatosi di ogni concorrenza pratica e soprattutto progettuale, il regime di Franco se ne va per la sua strada, reazionaria e sfuggente, lasciando il senso amaro di un’avventura irrisolta).
Libro epico, dallo stile picaresco per restare nei luoghi descritti, dalle pennellate rapide e saettanti, e capace di dare voce ora aspra inquieta dura, pronta all’insulto nel furore delle emozioni così come alla tenerezza quando irrompono i sentimenti. E sempre fedele a quelle virtù che, nel solco della tradizione del romanzo epico, pur rivisitato con il linguaggio della modernità, sono in sé qui ora e sempre la lealtà il coraggio l’onore la giovinezza la gioia di vivere, insomma l’amicizia (che noi ci si ostina, forse stolti ed ottusi, a definire ‘cameratismo’ in quanto lo riteniamo luogo in sé e somma dei valori sui quali ci azzardiamo ad alzare barricata). Che è nello spirito dell’autore e ne fa implicito riferimento quando, in ‘nota’, ci ricorda come ‘il legionario François Herbillot ha avuto la grazia di farci compagnia saltando in queste pagine direttamente da un altro romanzo, a me molto caro: sta a voi scoprire quale’. Rispettiamo, va da sé, l’invito alla discrezione di Gabriele, ma non possiamo che rallegrarci nel ritrovarci su quell’eresia a noi tanto cara dell’anarco-fascismo… e di avere a richiamo alto nobile e poetico lo stesso referente.
Ancora: i due protagonisti sfidano il campo avverso per aiutare due amici, già a Fiume con loro, caduti nelle mani dei commissari politici staliniani (e gli italiani alla Togliatti Longo Lampredi impararono il gusto perverso del colpo alla nuca). Due amici di parte repubblicana, certo, ma uno anarchico e l’altro socialista, vittime designate dei comunisti interessati, obbedendo alle indicazioni provenienti da Mosca, più a un regolamento dei conti che a battersi contro le truppe regolari. Anche qui si rinnova, dunque, – e non poteva essere diversamente – quel gusto d’essere contro, quell’essere ‘ai confini del nero’ ( così mi faccio pubblicità!)…
Durante la presentazione Marconi ci ha raccontato come un libro deve avere la capacità di nascere libero da schemi trama indici precostituiti (non sarebbe più un narrare ma un serioso saggio), lasciare che sia la fantasia il momento l‘estro gli stessi personaggi a condurre lo scrittore verso tappe mai prima definite a conclusioni non immaginate a priori. Già, restando in terra di Spagna, Don Chisciotte s’è liberato del suo autore, divenendo il cavaliere del sogno di tutti e per tutti e non soltanto, come voleva il Cervantes, la parodia del poema cavalleresco (questo gusto stupido servile arido lo lasciamo a docenti critici dottrinari d’un marxismo mediocre e banale, mentre noi, folli e disperati, andiamo alla ricerca dei mulini a vento…). Noi, e intendo anche lo scrittore di Fino alla tua bellezza…
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