Una volta di più, ci torna alla mente una strepitosa vignetta di un giornale satirico: un omino si affaccia al cancello di un edificio con la scritta manicomio e chiede a un passante della strada accanto: come si sta là dentro? Male, grazie, è la nostra risposta. Nel tempo maledetto in cui i pazzi guidano i ciechi, chi è ancora padrone della propria mente non dovrebbe stupirsi più di nulla. Invece, c’è sempre qualcosa che riesce a farci chiedere se la contemporaneità non sia tutta un incubo da cui prima o poi ci risveglieremo sudati e con il cuore in gola, felici di essere tornati alla realtà.
L’uomo del manicomio aveva ragione a ribaltare il giudizio e considerare malata psichiatrica la nostra società, l’Occidente politicamente, follemente corretto in cui ci è toccato di vivere, cimitero della verità, della civiltà, della realtà. Vi preghiamo di crederci, giacché la fonte è un serissimo organo dell’impero terminale, il londinese Daily Telegraph: la chiesa anglicana, religione ufficiale della Gran Bretagna, di cui è capo il sovrano regnante che ha tra i suoi predicati quello di “difensore della fede”, sta dibattendo l’abolizione dei riferimenti a Dio come padre, valutando di usare un “linguaggio più inclusivo”, senza il genere maschile, fomite di ogni iniquità sin dall’invenzione della ruota.
Qualche lettore – ospite dell’ospedale psichiatrico in cui sono ricoverati i sani di mente – potrebbe chiedersi se il cristianesimo occidentale, colpito da una spaventosa crisi di fede, non abbia preoccupazioni più concrete, questioni più serie di cui occuparsi. Sbagliato: quando gli ottomani presero Bisanzio, capitale dell’impero romano d’Oriente, non trovarono che pochi difensori in armi, mentre a corte esangui intellettuali da obitorio erano occupati a discettare sul sesso degli angeli. L’analogia fa tremare, o al contrario, consola chi – come il vostro ribelle – si augura con tutta l’anima il crollo finale di una civilizzazione sterile, impazzita, avvitata nelle proprie paturnie a cui attribuisce un’importanza capitale.
Il Telegraph spiega che gli anglicani sono intenzionati a cancellare i riferimenti a Dio “padre”, e ad abolire i pronomi maschili che lo riguardano nelle scritture e nella liturgia. Per i settori ecclesiali definiti “liberali progressisti” (termini estranei all’ universo religioso, che riflette sull’Eterno e l’Immutabile) ritengono che l’uso del termine “padre” e il genere maschile siano “una cattiva interpretazione teologica” che ha portato al “sessismo attuale”.
La reverenda Joanna Stobart, portavoce del religiosamente corretto anglicano, esige di “sviluppare un linguaggio più inclusivo nella liturgia ufficiale “, chiedendo modalità alternative per rivolgersi a Dio senza utilizzare pronomi maschili. L’alta prelata (si dirà così?) è convinta che i fedeli debbano avere l’opportunità di “parlare di Dio in una maniera non legata al genere”.
La modesta proposta dello scrivano – credente cattolico che non si è mai posto, lo confessa con un certo imbarazzo – il quesito sul sesso, o il genere di Dio – è di modificare il tramontato Padre Nostro eteropatriarcale, iniziando così la preghiera: genitor* 1 nostr* che sei nei cieli. In quanto creatore, non c’è dubbio che sia il genitore uno; per espungere dal testo il malsano retrogusto macho, l’asterisco assolve egregiamente allo scopo. Va bene anche la schwa, il segno simile a una e rovesciata (tutto è invertito, nell’intrepido mondo nuovo) usato sino a ieri solo in fonetica, simbolo della parrocchia gender neutral.
Saremmo lieti che la nostra idea fosse discussa presso la Commissione Liturgica anglicana che “avvierà questa primavera un progetto congiunto sul linguaggio di genere”. Tema teologicamente rilevante quanto il sesso degli angeli. Si tranquillizzino i fedeli più conservatori: le chiese anglicane sono deserte. La recita della preghiera rinnovata e la liturgia di genere neutro riguarderà pochissimi sfaccendati.
Tempo fa, leggemmo una notizia secondo cui in seno alla confessione anglicana esisterebbe un’associazione di chierici atei. Nessuna meraviglia se fosse vero: dai fatti occorre trarre significazione, diceva Machiavelli. Noi stessi fonderemo volentieri, per amore di inclusività, un partito di comunisti fascisti e un circolo sportivo di sampdoriani tifosi del Genoa. A dire il vero, a Canterbury non sono tutti impazziti; il reverendo Ian Paul, membro del Sinodo generale e del Consiglio degli Arcivescovi, avverte che l’uso del maschile non significa che Dio sia maschio “il che è un’eresia.” Riconosce che “le immagini maschili e femminili non sono intercambiabili”, talché “il Padre non potrà essere chiamato madre senza una perdita di significato.” Sospiro di sollievo, soprattutto perché si è accorto che l’operazione “allontana la dottrina della Chiesa dal suo fondamento, le Scritture”.
Chissà se a Westminster credono ancora che “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”» (Genesi 1,26-28). Parole indigeribili, politicamente scorrettissime per i devoti del gender, del green, dell’animalismo e di Gaia. Ma si sa: quelli della Bibbia erano tempi cupi, mancavano telecamere e microfoni, Dio potrebbe essere stato male interpretato. Per fortuna, siamo giunti “nella pienezza del tempo” e lo possiamo correggere.
Il Padre Nostro è stato dettato da Gesù, nella forma riportata da due vangeli (Matteo e Luca). Ogni intervento sul testo è dunque una manipolazione delle Scritture, che per i credenti sono “parola del Signore” (o Signor*?). Ma che importano le scritture a una chiesa fondata da un re, Enrico VIII, non per divergenze teologiche ma per divorziare da Caterina d’Aragona e sposare la povera Anna Bolena, che finì decapitata per stregoneria e poi altre quattro mogli? Di passaggio, il vivace Enrico ebbe il tempo di saccheggiare i beni ecclesiastici “papisti” e derubare le famiglie legate alla vecchia fede.
Thomas Stearns Eliot, il grande poeta che si definiva “anglocattolico”, scolpì quasi un secolo fa versi terribili nei Cori della Rocca. “È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?” Forse entrambe le cose, ma Eliot si spinge oltre: “gli uomini hanno abbandonato Dio non per altri dèi, dicono, ma per nessun dio; e questo non era mai accaduto prima. Quando la Chiesa non è più considerata, e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato tutti gli dèi, salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere.” E’ la fotografia del nostro presente e non sarà il linguaggio inclusivo, la ritrattazione generale, la penosa neutralizzazione del nome di Dio a riportare le pecorelle all’ovile.
Esiste ancora un ovile? C’è da dubitarne, se i giovani cattolici tedeschi propongono di scrivere Dio con l’asterisco: Gott*. Anche loro aborrono il maschilismo, l’eteropatriarcato, e ne sanno più delle scritture. Peccato che nessun figliuol prodigo torni alla casa del Genitor*1, e che se ne vadano straziati quelli che credono, pregano, si affidano a Dio chiamandolo come i padri e gli avi.
Se l’invidia non fosse un peccato capitale (qualche stralunato li ricorda tutti e sette) verrebbe voglia di guardare ai musulmani, per il quale il nome di Allah è sacro e vietano l’iconografia per l’incommensurabilità del Creatore. Gli ebrei proibiscono addirittura la pronuncia del suo nome. Basterebbe ricordare i comandamenti, il secondo dei quali prescrive di non nominare il nome di Dio invano, dunque di non stravolgerlo per compiacere la moda del potere nel disgraziato occidente.
E qui viene il punto: il neo-anglicanesimo, come gran parte del cattolicesimo moderno, sta dando ragione alla vecchia accusa di essere al servizio del potere, instrumentum regni. Dalle parti di Londra è un’ovvietà, giacché la religione di Enrico nacque come strumento della corona. Dunque fanno benissimo i preti di Sua Maestà a porsi al servizio del mondo: è il loro ruolo da cinquecento anni e non risulta che si siano scandalizzati per il ruolo della Compagnia delle Indie, il colonialismo di rapina, lo schiavismo e l’imperialismo.
Oggi i padroni dell’Occidente vogliono un’umanità unisex e transex, promuovono l’equivalenza eccetto nel denaro, che tengono tutto per sé. Dividono e imperano, come sempre. Cambiano le modalità: oggi alimentano la guerra tra uomini e donne, etero e omo, bianchi e neri, nativi e immigrati. Con moto accelerato, i superstiti delle chiese si allineano al potere. In Inghilterra, junior partner suo malgrado del dominus a stelle e strisce, le università – legate al potere, fucina culturale delle classi dirigenti – invitano a non augurare il buon Natale, ufficialmente “per non offendere”, in realtà per modificare il senso della vita dei sudditi.
Forse cambieranno non il genere, ma il nome di Dio. Meglio energia cosmica, o qualcosa di simile, più adatto alla pseudo religione scientista, meno impegnativo, più New Age: siamo nell’era dell’Acquario, uno dei dodici periodi, o eoni, in cui alcune credenze esoteriche suddividono la storia umana. Spaventa che le chiese cristiane, agenzie di senso, bussole morali, ultimo baluardo contro il dominio di un totalitarismo materialista, nemico dell’uomo sino alla volontà di fonderlo con la macchina artificiale e superarlo nel transumanesimo, si arrendano al nemico senza lottare.
La domanda è decisiva: è il nemico, per loro, o la speranza di mantenere uno spicchio di influenza, un posticino di rincalzo nel gran ballo globalista? Non si rendono conto che i loro padroni (quelli di sempre cambiati d’abito) non fanno prigionieri. Non hanno bisogno di cappellani o assistenti spirituali: hanno la tecnologia, il metaverso virtuale, il consumo compulsivo, il dominio sull’Io e sull’Es. Il Super Io morale, di cui la spiritualità era una componente, tace, o se ancora parla in interiore homine, è sopraffatto dal baccano dello spettacolo, il trionfo delle pulsioni scatenate dall’alto per renderci animali senza innocenza.
Negli ambulacri del potere si fregano le mani soddisfatti per le sciocchezze che sono riusciti a farci credere, gioiscono per la resa incondizionata di un occidente agonizzante come il suo Dio diventato genitor*1. Le chiese officiano il funerale con la stessa serietà con cui dichiaravano scomuniche. Pur di avere ancora una particina nella commedia umana, sfidano il ridicolo negando ciò che proclamavano fino a ieri. In fondo sono abituate a girare la frittata: dottori ha la chiesa, recita un proverbio spagnolo.
Emil Cioran, l’autore che ha analizzato più di tutti la decadenza (“decadenza è non avere più anima, l’incapacità di creare ancora”) e la fine della civilizzazione estenuata (“in quale parte del mondo potrei trovare un abisso così visibile, così generoso, una tristezza così liberale e un tale sperpero del nulla?”), scrisse che l’agonia sarebbe durata generazioni. Eccoci alla fase terminale, nell’indifferenza generale. Non è nuovo il tradimento dei chierici: discutevano del sesso degli angeli ed arrivò Maometto II il Conquistatore. Dibattono sul genere di Dio, e vince il potere. Il figlio del genitor*1 li aveva avvertiti: non si può servire Dio e Mammona. Hanno scelto, e non è Dio.
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