Un ragazzotto alto un cacio e mezzo, dimesso, con occhiali dalle lenti spesse, esile e bruttino (eufemismo da boy-scout che aiuta le vecchiette ad attraversare la strada!), suona alla mia porta. Primo pomeriggio, stato il mio sul comatoso, umano troppo mano. Ha una voce fessa, piagnona, da sfigato, non dico che si metta in ginocchio o s’asciughi lacrime copiose, poco ci manca, in pratica mi appioppa la fregatura o quasi, iscrivendomi con subdole promesse, conigli e colombe estratti dal cilindro del solito prestigiatore, al club della Mondadori, tipo Club degli Editori o forse è proprio quello… Pazienza, la libreria della Mondadori è a dieci minuti di strada a piedi e, poi, al decimo libro comprato, posso recidere il contratto (in) soddisfatto e non rimborsato (magari ne compro qualcuno per i doverosi regali da Babbo Natale) …
Chiuso il preambolo, inizio la ricerca di qualche libro che possa essere spendibile per arrivare alla fatidica cifra di dieci libri, appunto. Così trovo di Arturo Pérez-Reverte, autore di cui ho letto, credo, tutto o quasi, Il tango della vecchia guardia, che merita comunque pur non eguagliando Il maestro di scherma e Il pittore di battaglie (va da sé che ogni giudizio è assoluto per chi lo esprime, ma pur sempre soggettivo). Forse perché, dopo le monumentali opere degli scrittori russi, Lev Tolstoi e Fedor Dostoevskij, il grande romanzo fatica a cimentarsi con il lettore moderno. Ho, ad esempio, avanti a me i tre volumi de La mano di Gloria per un totale di 2108 pagine, autore Renato ‘Mercy’ Carpaneto, il cantante del gruppo genovese Ianua, che ebbi occasione di conoscere a Trieste circa un anno fa. Un romanzo gotico, carico di suggestioni, eco (non è del tutto corretto, lo so, il rimando) di Farenheit 451 o de Il mondo nuovo, ma la sua mole tende a distrarmi e procedo con lunghi intervalli ed altre letture…
Ultimo acquisto: Un amore partigiano, sottotitolo ‘Storia di Gianna e Neri, eroi scomodi della Resistenza’, di Mirella Serri, definita da Il Foglio ‘docente alla Sapienza e giornalista, autrice di vari libri rivelatori del tema delle ambiguità degli intellettuali italiani tra fascismo e comunismo’. (Ricordo le figure di Giaime Pintor e di Elio Vittorini, che, pur già dandosi atteggiamenti ‘sovversivi’, se ne andarono a Weimar al Congresso degli scrittori europei voluto dal doktor Goebbels, dove solo Giovanni Papini, concordatosi con Mussolini, tenne un duro discorso di critica al razzismo biologico in nome dello Spirito. E siamo già nel 1942 – o 1943? – e il ‘buon’ Ruggero Zangrandi ricorda lo sconcerto da parte sua e degli altri giovani antifascisti e la risposta di essere andati ‘per curiosare’!).
Libro, hanno scritto essere ‘un montaggio romanzesco’, con pagine sgradevoli su Mussolini ‘l’oro di Dongo’ e, soprattutto, Claretta Petacci, descritta come antisemita (che, non per noi, è più di un insulto!), arrivista, intrigante, partecipe degli intrallazzi della sua famiglia, odiata più dello stesso Duce, che fra l’altro ne era stanco e delle sue scenate di gelosia. (Domanda piccina- piccina, così tanto per riempire una riga, due al massimo: potendo rifugiarsi in Spagna, con valigie piene di abiti pellicce e valuta pregiata, perché è andata a cercarsi la morte accanto a Ben e subire l’oltraggio di Piazzale Loreto?). E non è mettere le mani avanti verso quei lettori, camerati e amici, che, sentendo il termine ‘partigiano’, danno di matto s’infuriano e sono pronti a riempirmi d’insulti… No, perché primo: sono abituato agli insulti (Così ebbi a rispondere, in una libreria di via Nazionale, ad un ragazzetto pallido e brufoloso che mi diceva con piglio accusatorio d’aver letto su di me pagine offensive: ‘la cosa mi lascia totalmente indifferente’…); secondo: il mio raccontare è, al contempo, nella storia e con le caratteristiche della narrativa; terzo: perché ho qualcosa di indiretto da raccontare sulla vicenda dei partigiani Neri e Gianna, che nel libro della Serri non c’è.
Svelo quanto ho da dire o lo rimando al finale? Ultima pagina del romanzo ‘giallo’ d’autore dove si scopre che l’assassino è… il maggiordomo! Gulp… sgnach… dan dan dan…
Ho letto una breve intervista all’autrice. Fra l’altro: ‘Ho cercato di raccontare una storia che, di per sé, ha una trama avvincente. Ci sono tutti gli ingredienti di una grande vicenda umana: l’amore, il tradimento, il dramma’. La storia si snoda negli ultimi giorni della guerra civile quando Mussolini decide di lasciare la Prefettura di Milano raggiungere Como e da qui, praticamente esposto ed indifeso, dirigersi verso chissà dove, lungo le sponde del lago. Neppure del suo assassinio sappiamo le dinamiche con esattezza… E della morte dei due partigiani, amanti e uniti da comune ideale, assassinati dai loro stessi ‘compagni’ sotto la falsa accusa d’essere stati spie dei fascisti. E di cui, come prassi, la storia della resistenza ha steso un velo, una ‘damnatio memoriae’, che permane sostanzialmente tuttora. Incapace di fare i conti con se stessa e le sue pagine più oscure, le pagine bianche che non possono raccontarsi per non ‘sporcare’ l’immagine bella, oleografica, iconografica su cui si fonda – rex Napolitano docet – la nostra repubblica… Due oscure figure diventano una macchia indelebile. Solo questo il motivo? Come scrive Marcel Paolini commentando il libro ‘questa è la nostra eredità di vergogna a conclusione di una guerra civile che non ha saputo essere migliore di tutte le altre’…
Giuseppina Tuissi, nome di copertura Gianna, Luigi Canali, nome di battaglia Neri. La loro vicenda è breve, cadenzata dal ritmo vorticoso di quei mesi ultimi della guerra, quando nobili passioni s’intrecciano con gli interessi l’odio la ferocia. Vi è, come loro, chi vorrebbe dare alla lotta delle regole, mettere un limite, porre la parola fine all’orrore, magari necessario in una guerra fatta di imboscate assassini a freddo rappresaglie, ma circoscrivibile con la vittoria sul fascismo repubblicano, sui tedeschi considerati nemico invasore. Sono la faccia ‘pulita’, idealista, utopia certo, di un comunismo capace di redimere le masse dare giustizia lavoro uguaglianza a tutti (così simili in sogni e ideali ai ‘socializzatori’ dell’altra parte. Fascisti impazienti come li aveva definiti il filosofo Giovanni Gentile). Vi sono, però, gli altri: duri lucidi spietate ed efficienti macchine da combattimento, oleate alla scuola di Mosca e durante la guerra civile in Spagna. E con loro, fra loro, i mestatori gli aguzzini i profittatori che uniscono la convinzione di proseguire, ogni mezzo è lecito, per dare all’Italia la dittatura del proletariato (ingannati essi stessi da Stalin da Yalta dalla spartizione dell’Europa in due aree di influenza, di dominio) con il proprio egoismo, l’arricchimento personale.
L’oro di Dongo, a chi deve essere consegnato? Patrimonio dello Stato, che sta e deve subentrare, o tesoro per chi vi mette le mani sopra, magari per comprarsi dall’INA il palazzo intero di via delle Botteghe Oscure? E qualcosa, come la marmellata, che rimanga nelle dita di nomi e cognomi noti (che, poi, sono i mandanti e gli assassini di Gianna e Neri)?
Ho conosciuto Pasca Piredda a qualche raduno di veterani della X Flottiglia Mas di Roma; l’ho frequentata recandomi spesso nella sua abitazione di Monteverde. Il nome mi era sconosciuto, mentre ignoravo come fosse lei, giovane donna sorridente a braccetto di due Marò, in un manifesto di propaganda disegnato da Boccasile. Una signora piccola di statura, vivacissima, lucida, consapevole d’essere stata graziosa e di aver avuto una storia particolare (in fondo forse ciò vale per tutti coloro che hanno vissuto – e non subendo – gli anni tra il 1943-’45, il tempo eroico e tragico delle scelte senza ritorno). Ancora civettula, un po’ intrigante e con buona dose di malizia ed ironia. Nominata dal Comandante Junio Valerio Borghese a capo dell’Ufficio Stampa e Propaganda della Decima, con il grado di Sottotenente di Vascello. E già questo sarebbe doveroso merito per conservarne stima e memoria. C’è, però, dell’altro ancora.
Pasca era nata a Nuoro da famiglia benestante, rimasta orfana di madre fin da bambina, aveva vinto per la sua provincia un concorso e, come conseguenza, era venuta a Roma presso il convento di San Gregorio al Celio per frequentare la scuola di Partito e divenire assistente sociale, educare e aiutare le giovani operaie e quelle del mondo rurale. E’ a Roma che conosce Fernando Mezzasoma, futuro ministro della R.S.I. e fucilato a Dongo con gli ultimi fedelissimi di Mussolini , con cui collabora a ricerche intorno alla Mistica. 25 luglio 8 settembre. Pasca segue Mezzasoma a Salò, ne diviene segretaria. Si presentano tre ufficiali della XMAS, fra cui la Medaglia d’Oro Mario Arillo, che intendono utilizzare l’Eiar (cioè la radio) per l’arruolamento nei loro reparti. Mezzasoma traccheggia – un corpo volontario non è gradito a chi vorrebbe un esercito nazionale, come è nell’intenzione del Maresciallo Rodolfo Graziani, o a chi vorrebbe un partito in armi e fortemente politicizzato; delega Pasca a distrarli portandoli più volte al ristorante. Poi è la volta di questi giovani (‘sono bellissimi nelle loro divise, ardenti di amor patrio e soprattutto ansiosi di menare le mani contro gli odiati anglo-americani’, come li stessa ricordava) di contraccambiare l’invito. Una sorta di rapimento ed ecco la sua partecipazione alle vicende della Decima fino all’autoscioglimento avvenuto alle ore 14,55 del 26 aprile nella caserma di piazza Fiume. L’arresto da parte di partigiani, il trasferimento nei capannoni della SIPRA e la condanna a morte da un improvvisato cialtrone tribunale del popolo. La mattina viene condotta con dei giovani avieri repubblicani verso la spalletta sul Naviglio per essere fucilata. Ecco che, però… (Così il presunto assassino dell’ultima pagina di un poliziesco che si rispetti e la vicenda di Gianna e Neri si arricchiscono dei ricordi di Pasca Piredda, così come me li ha raccontai più volte.
Camminano in silenzio, pochi passi, verso l’ineluttabile. Sono i giorni della mattanza, di quella tigre, per dirla con Nietzsche, che nascosta dentro di noi si prepara a irrompere travolgere scatenare la sua furia. Un comandante partigiano interviene: ‘Lei, no. Dobbiamo approfondire la sua posizione’. Si richiudono in uno stanzino. ‘Non hai paura d morire?’, le chiede. ‘E tu, non avevi paura quando facevamo i rastrellamenti in montagna? E, poi, tutto questo mi fa orrore che preferisco la si faccia finita’. ‘Anch’io ho orrore di tutto questo. Vedi? La gran parte di costoro non li conosco; sono venuti fuori solo ora che s’è vinto. E’ che la resistenza ci ha preso la mano… Farò intervenire gli alleati. Questi omicidi dovranno cessare. Intanto ti farò portare a San Vittore, lì sarai al sicuro’. E aggiunge di appartenere alla 58° brigata garibaldina, d’essere arrivato proprio ora a Milano dopo aver catturato Mussolini. E’ il capitano Neri e aggiunge come siano in possesso dell’’oro di Dongo’, di cui vuole denunciare l’intenzione di chi vorrebbe farlo sparire… Sarà lui, al contrario, a sparire e, poco dopo, anche la sua compagna ed amante Gianna, altra testimone del mistero che mistero, in effetti, non è… Così il libro di Mirella Serri contribuisce solo – e, lo ripeto, a volte con toni sgradevoli – a dire quanto già era conosciuto, meglio sottaciuto o taciuto del tutto…
Un’ultima annotazione. Su Claretta Petacci. Avrà ragione l’autrice nel tentare di demonizzarne l’immagine dopo la già demonizzazione avvenuta di fatto a Piazzale Loreto, le esili gambe esposte al ludibrio della folla lo spillone a tener ferma la gonna, voluto da un prete, a coprire le cosce il pube privo delle mutande (subì lo stupro, come avvenne per tante ausiliarie madri sorelle spose di fascisti? Magari davanti al suo Uomo per rendere ancora più vile e vergognosa la barbarie in atto?). Noi, però, ci fermiamo davanti alla morte e di questa condizione estrema portiamo rispetto anche quando trattasi del ‘nemico’ (della nostra, ci facciamo irridenti!) e siamo inguaribili ‘romantici’… così ci piace pensare che Claretta, come Eva Braun nel bunker di Berlino’, pur potendo salvare se stesse, preferirono morire accanto all’uomo che amavano. Al di là del bene e de male, in fondo categorie giudaico-cristiane e borghesi, contrapponendo inconsapevoli e tenaci il senso dell’agire nobile contro quanto degrada, è inferiore e plebeo…
Mario Michele Merlino
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