La profonda visione filosofica (di matrice platonica) di Filippo Giordano Bruno (1548-1600), sapiente (‘mago’) e filosofo naturalista rinascimentale, fu in grado di concepire quella realtà prevalente che è figlia di una Mente Superiore, collocata al di sopra di tutto (‘Mens super omnia’) e, al tempo stesso, presente in tutto ciò che esiste (‘Mens insita omnibus’):
“Iddio tutto è in tutte le cose”.
Nel ‘De umbris idearum’ Bruno afferma: “Ombra profonda siamo”. Con queste parole il Nolano riflette sulla questione platonica ‘umbratile’ del ‘Mondo delle idee’ o ‘Iperuranio’ (1), cioè ci rivela che tutto quello che vediamo nell’Universo fisico altro non è che un riflesso proveniente dal ‘Mondo divino degli archetipi’, il regno metafisico.L’Ombra, ci dice Bruno, pur non essendo verità, deriva dalla verità e conduce alla verità stessa. Attraverso la ‘materia’ è dunque possibile rintracciare le ‘orme’ del Divino e risalire al Cielo, cioè tornare all’Uno.
“Solo attraverso Diana conosciamo Apollo (la Mente di Dio), poiché Diana è la Natura (Ombra della verità ultima) comprensibile in cui traspare la speranza dell’unità suprema”.
(Giordano Bruno – De gli eroici furori)
Per il filosofo di Nola tutto il nostro mondo è fatto di proiezioni geometriche che egli chiama “ombre”. Checché se ne dica Giordano Bruno è per la maggiore il filosofo che più di tutti parla di Dio. Il Dio presentato da Bruno è però un Dio ‘impersonale’ ed ‘immanente’ al mondo, non trascendente a questo; per tanto, a differenza della religione cristiana, nella Nolana filosofia il Divino risulta essere inseparabile dalla creazione poiché la Natura e Dio stesso collimerebbero perpetuamente nella materia (hyle).
“Natura est Deus in Rebus”.
Nei suoi scritti più celeberrimi, dalla ‘Cena delle ceneri’ al ‘De la causa principio et uno’, dal ‘De l’infinito universo et mondi’ fino al ‘De magia’, il filosofo di Nola sostiene che l’Universo infinito è dotato di intelligenza e che non è stato creato da Dio pur essendone una manifestazione diretta e immediata. Bruno sembra eliminare la differenza tra creato e creatore come lo intende la teologia cristiana pur riconoscendo in Dio il ‘Principio’ e la ‘Causa’ di tutto ciò che esiste.
Il Nolano percepiva Dio in tutte le cose, materiali e immateriali, e proprio per questa ragione che nella sua ottica non poteva esserci una reale supremazia dell’uomo rispetto alle altre entità del creato, sia che queste fossero appartenenti al regno animale che a quello vegetale. Qui si differenzia il pensiero bruniano rispetto a quello umanista del suo tempo. Giordano Bruno aveva sostanzialmente un’idea di Dio dissimile da quella professata delle varie correnti religiose non tanto per quello che concerne gli insegnamenti dottrinali o le questioni che si occupano della morale, quanto nei concetti inerenti alla metafisica, ovvero a quella disciplina filosofica che si occupa essenzialmente degli aspetti che hanno a che vedere con i ‘principi universali’, cioè con le ‘cause primarie della realtà ultima’ e, di conseguenza, dei continui rapporti tra la manifestazione materiale e Dio, Ente Supremo, ‘causa originaria’ e ‘principio primo ineffabile’. Quindi abbiamo detto che, a differenza di ciò che viene presentato nella Bibbia, Bruno concepisce Dio in modo ‘impersonale’ e la sua essenza risiederebbe principalmente nella Natura stessa, cioè in ogni atomo della creazione. Oltre a ciò, Bruno intravede Dio nella ‘forza motrice’ dell’Amore che lui assimila all’‘Anima dell’universo’ (concetto neoplatonico analogo all’Anima mundi). Fu il filosofo Platone, padre della metafisica occidentale, il primo pensatore a distinguere i sensi dalla ragione, inoltre fu sempre lui ad elaborare l’idea secondo la quale tutto quello che è presente nel nostro mondo non sarebbe altro che un’‘ombra’ della sua forma ‘ideale’: il ‘Mondo delle idee’ o ‘Iperuranio’.
“ Io vorrei che tu ti ricordassi anche di tenere distinta l’ombra dalla proprietà delle tenebre. Infatti l’ombra non è tenebre, ma o traccia delle tenebre nella luce o traccia della luce nelle tenebre o partecipe della luce e delle tenebre o un composto di luce e di tenebre o un miscuglio di luce e di tenebre o nessuna delle due cose, separata dalla luce, dalle tenebre e da entrambe. E questo deriva o dal fatto che la verità non sia piena di luce o perché sia una luce falsa, oppure perché non sia né vera né falsa, ma traccia di ciò che è veramente o falsamente, eccetera. Perciò si tenga presente che l’ombra è traccia di luce, partecipe di luce, ma non piena luce ”.
(Giordano Bruno – De umbris idearum)
E’ da questo luogo o ‘dimensione’, situato ‘oltre l cieli’ (da qui il termine “hyperūránios”), dove risiedono forze più antiche del Tempo, che Bruno attinse e potenziò il suo sapere per mezzo della Mente e dell’Anima. Per i neoplatonici la vera conoscenza si fonda infatti sull’anamnesi delle ‘Idee’ conosciute dall’anima in un’esistenza iperuranica anteriore al suo ingresso nel corpo fisico; è un incontro tra due dimensioni, il ‘Mondo ideale’ e il ‘Mondo reale’, che da sempre si relazionano ed influenzano inconsciamente tutta la struttura esistenziale dell’essere umano. L’anamnesi è quel processo di reminiscenza (2) che sostanzialmente equivale al seguente motto:
‘conoscere è ricordare’.
Questa elevata conoscenza esoterica, figlia di una gnoseologia molto particolare che vede la Mente come uno strumento eccezionale capace di farci attraversare il Tempo e lo Spazio è alla base della Nova filosofia. Giordano Bruno, infatti, nel libro ‘La Cena de le ceneri ’ descrive questa esperienza mistica sostenendo di averla vissuta e dicendo inoltre di: “aver varcato l’aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati i margini del mondo”. La gnosi ermetica di cui parla in questi versi il ‘mago’ di Nola è intesa come un procedimento sensoriale perfetto insito nell’animo umano consono per varcare i ‘confini del conosciuto e dell’ignoto’. In sostanza è solo attraverso un percorso interiore che il ‘mago naturale’ arriva alla conoscenza delle cose superiori.Si tratta di una vera e propria ascesi che ogni persona sensibile può sperimentare su di sé dopo un lungo percorso meditativo e contemplativo sull’Assoluto. Dopo aver provato questa ascensione gnostica-ermetica l’uomo-mago avrebbe poi dovuto acquisire un livello superiore di coscienza perché imbevuto delle Potestà – avrebbe sviluppato ed incrementato in sé maggiore coscienza.Secondo il poeta e filosofo Lucrezio, lo stesso Epicuro avrebbe attraversato i Cieli per scoprire la natura degli dèi e in questo modo liberare gli uomini dal terrore della morte e dal timore delle divinità. La filosofia di Bruno, analogamente ad Epicuro che libera gli uomini dalla paura delle potenze celesti, è chiamata proprio a liberare un certo tipo di uomini da un sistema di pensiero ottuso e non consono alla vera ricerca di Sophia.
“ O sant’asinità, sant’ignoranza, santa stolticia e pia divozione, qual sola puoi far l’anime sí buone, ch’uman ingegno e studio non l’avanza ”.
(Giordano Bruno – Cabala del cavallo pegaseo con l’aggiunta dell’asino cillenico)
“ Le cose ordinarie e facili son per il volgo ed ordinaria gente; gli uomini rari, eroici e divini passano per questo camino de la difficoltà, a fine che sii costretta la necessità a concedergli la palma de la immortalità ”.
(Giordano Bruno – La cena delle ceneri)
NOTE
1 – L’Iperuranio, o mondo delle idee, è un concetto proprio di Platone espresso nel Fedro. La dottrina delle idee ad esso collegata era già stata illustrata dall’autore nel dialogo Repubblica, considerato dai critici precedente al Fedro. Secondo Platone l’Iperuranio è quella zona al di là del cielo (da cui il nome) dove risiedono le idee. Dunque l’iperuranio è quel mondo oltre la volta celeste che è sempre esistito in cui vi sono le idee immutabili e perfette, raggiungibile solo dall’intelletto, non tangibile dagli enti terreni e corruttibili. È importante notare che nella visione classica la volta celeste rappresentasse il limite estremo del luogo fisico: la definizione di “oltre la volta celeste”, dunque, porta l’iperuranio in una dimensione metafisica, aspaziale ed atemporale e, dunque, puramente spirituale. Nella concezione platonica l’anima umana, prima di “cadere” nel corpo, contempla la perfezione delle idee nell’iperuranio. Questa (maggiore o minore) contemplazione delle idee farà dell’individuo un amante della Verità o un bruto. Le persone vengono a conoscenza del sapere per reminiscenza (ricordo) dell’anima di tutte le idee che ha contemplato nell’iperuranio.
2 – L’anamnesi (in greco ἀνάμνησις) nella filosofia platonica è quel processo di reminiscenza che, stimolato dalla percezione degli oggetti sensibili, conduce l’uomo a riscoprire gradualmente nel proprio intelletto (attraverso la conoscenza intellettiva) quelle idee eterne che sono causa e origine del mondo fenomenico. La conoscenza sensibile, distinta dalla conoscenza intellettiva, può dunque offrire a quest’ultima lo spunto per avviare un tale processo. La concezione dell’anamnesi, già presente nella visione orfico-pitagorica, è adottata da Platone per dimostrare nel Fedone la tesi dell’immortalità dell’anima e la formazione della conoscenza matematica e scientifica: noi non potremo mai avere una percezione empirica dei numeri, la cui conoscenza non dipende dai sensi, o delle forme geometriche, che nella loro perfezione non possiamo riscontrare nella realtà, ma potremo averla solo attraverso l’anamnesi che permette all’anima di scoprire in sé quelle verità che sono da sempre presenti in lei. La reminiscenza o anamnesi è dunque un risveglio della memoria, il ridestarsi di un sapere già presente nella nostra anima, ma che era stato dimenticato al momento della nascita ed era perciò inconscio. Per Platone e i neoplatonici, conoscere significa dunque ricordare. La conoscenza non deriva dall’esperienza, sebbene questa svolga un ruolo importante e ineliminabile nel farsi “nunzio” dell’intelligibile: il ricordo avviene in forma immediata e intuitiva, per lampi improvvisi. Platone descrive il concetto di anamnesi soprattutto nel Menone, nel Fedro ed in altri dialoghi. Nel Menone in particolare egli riferisce come Socrate riesca ad aiutare uno schiavo privo di cultura a comprendere il teorema di Pitagora. Platone vede in questo episodio la conferma della teoria dell’anamnesi: nonostante l’ignoranza in cui si trovava, lo schiavo può ritrovare da sé i passaggi logici di quel teorema perché evidentemente erano già presenti in forma latente nella sua mente, avendoli visti nel mondo Iperuranio delle idee prima di incarnarsi. È stato sufficiente quindi attivare il processo del ricordo tramite la maieutica,[1] corrispettivo socratico della reminiscenza.
Michele Perrotta