Le giornate – definite, poi, radiose (termine quest’ultimo ripetuto di prepotenza e di ignominia per quelle di fine aprile del ’45) – del maggio 1915 diedero l’immagine di una Italia, giovane entusiasta determinata, che chiedeva in piazza la fine di troppe e vili indecisioni e l’entrata in guerra. Guerra quale compimento del Risorgimento per alcuni; per altri scontro tra nazioni democratiche e stati retti da monarchie assolute e, per altri ancora, lo spazio atto a realizzare un lavacro purificatore ove la giustizia in nome del lavoro avrebbe cambiato il volto delle masse europee. Giovani erano i futuristi giovani sarebbero stati gli arditi e giovanissimi i ‘ragazzi del ‘99’ a forgiarsi nelle trincee del Carso lungo le rive dell’Isonzo e del Piave giovani i legionari con D’Annunzio a Fiume giovani gli squadristi sul BL 18, bombe a mano e robusti randelli e capeggiati da giovani come Italo Balbo e Roberto Farinacci, ad esempio. Poi, per vent’anni, Giovinezza cantata e, se non inno ufficiale (la Marcia Reale – purtroppo – rimase quello d’ogni pubblica manifestazione), spirito di ciò che ci si illudeva essere il futuro di un paese ‘proletario e fascista’.Da qualche parte Drieu la Rochelle scrive – e certo in modo più egregio ed esaustivo di quanto possa fare io, citandolo – come per realizzare una rivoluzione ci vogliano la giovinezza e uno stomaco vuoto. E’ una visione romantica, da bastoni e barricate,e così mi getto nel vivo della mischia, senza pudore verginale o asettica accademia, con quelle frasi che mi piacciono tanto. Da 14 luglio 1789, data della presa della Bastiglia (!), senza scomodare complottismi massonici illuminismo e segrete mire del mondo moderno. I poteri oscuri dei ‘nasoni’ e della finanza e dei Soros di turno, se ci sono – ed è difficile non percepirne l’ombra – , li lasciamo questa volta (forse) fuori. Oggi sono privi del biglietto e non si godono lo spettacolo. Non conta come quelle giornate di maggio – l’inizio, come detto – fossero ben cosa piccola rispetto all’ottemperare le clausole del Patto di Londra al Re che minaccia di dimettersi al governo Salandra e al Giolitti, riottoso, a imporre il suo peso politico sul parlamento e sulla decisione finale.
Mondo di vecchi e di vecchie logiche, eternità il suo essere simile all’ombra del dinosauro… Mussolini e lo squadrismo a chiedere la ‘seconda ondata’, nei giorni incerti dopo l’assassinio di Matteotti. E già prima quel compromesso con la Monarchia il Vaticano, i vecchi tromboni del parlamentarismo liberale con i Blocchi nazionali, e perché la Marcia su Roma non trasformasse bagno di sangue quanto in altre sedi ormai appariva la soluzione. Le camicie nere erano la giovinezza l’entusiasmo la purezza, libera e incosciente, con il sudore le notti insonni ‘la zuppa magra’ sotto la pioggia fitta e oppressiva. Costoro sono i nostri referenti, il resto agli storici saccenti e vili. Come lo sono i ‘balilla che andarono a Salò’ – per l’Onore d’Italia con o senza il nero a fare di se stessi partitodi ‘credenti e combattenti’ prima della mattanza oscena e orrida. Non le congiure di palazzo, i pulcinella del 25 luglio, Badoglio traditore dell’8 settembre e tremebondo di fronte al ferrigno feldgrau, mandante dell’assassinio di Ettore Muti, della fuga a Brindisi, ignominiosa e ridicola.
E – l’abbiamo scritto e con animo stretto – lo sono i ‘franchi tiratori’ i ‘ribelli siamo noi’ gli anonimi con o senza la camicia nera le anime ardenti gli occhi limpidi il corpo eretto e non i capi in fuga o protetti da coloro che stavano trasformando il nostro paese in proconsolato a stelle e strisce… (Tra le massime, vere presunte decisamente fasulle, del presidente Mao – andava di moda citarle anno ’68 e dintorni – si raccontava come egli ritenesse i popoli che fan-no uso di peperoncino propensi a darsi alla rivoluzione, con l’esclusione dell’Italia… anche se, poi, la rivoluzione culturale, ‘le biciclette di Shangai’, e tutto il fascino che proveniva dalla Cina si dimostrarono un bluff, una lotta di potere in vista della suc-cessione al vecchio ‘grande timoniere’. Valle Giulia, 1 marzo, in una mano ciò che resta dell’asse di una panchina e nell’altra la bottiglia – questo è ciò che conta, ciò che permane. E contano e permangono i coetanei e camerati che mi furono a fianco primo fra tutti il mitico Tonino Fiore). (Storie miserrime di questo paese, di un’area che si diceva erede e testimone di un tempo eroico per vendersi, in nome della sopravvivenza politica, di un partitello, di una manciata di voti da barattare sotto banco. Congresso di Pescara, 1965, botte in strada con i comunisti, botte all’interno fra i partecipanti. Almirante s’è accordato con Michelini, dopo aver coagulato opposizione e speranze, sputi insulti lancio di monetine lo accolgono. Non ce l’ha mai perdonato… Anni dopo manderà a dire che se Stefano si rimangia la testimonianza in mio favore, gli farà ritirare il mandato di cattura. Con quale autorità? Storie miserrime, appunto, di vecchi tromboni, ormai rassegnati alla democrazia delle urne e alle sue logiche di corruzione, e dei giovani pieni d’ardore e forse un po’ stronzi). ‘Gli eroi sono tutti giovani e belli’, canta Francesco Guccini, narrando il gesto folle e disperato del ferroviere anarchico ne La locomotiva, con cui concludeva ogni suo concerto. Lo so: per gli eredi, saccenti e pigri, del professore Renzo De Felice cosa ci riguarda Addio Lugano bella ed Ernesto Che Guevara sul cavallo di Don Chisciotte e, gesto di disapprovazione, ‘la mia patria è là dove si combatte per le mie idee’. Basta declamare sulle radici disprezzare il mondo attuale (sovente come ottimo alibi per non mettersi in gioco) ed essere presenti ove si può non dimenticare e rinnovare la lezioncina saccente ed inutile mentre, in concreto, si tradisce la propria giovinezza (ammesso che se n’é avuta una da ricordare). Mi sono spinto, e me ne rendo conto, troppo avanti; non intendo apparire polemico e, ancor meno, offensivo verso persone, alcune delle quali mi sono amiche e alcune delle quali hanno la mia stima.Se, però, non ci si può sottrarre alla forza di gravità e al proprio tempo (saggezza mediata dal vecchio Hegel), in che modo in quale spazio quando c’è dato essere non solo biliosi testimoni e rinunciatari, ma illusi partecipi di un cammino a travalicare ed essere contro ogni confine?
Troppo a lungo, forse poco consapevoli, siamo stati artefici di annose battaglie di retroguardia, difesa di quanto è pavido ed esangue, il modo borghese. E, così facendo, tradivamo proprio lo spirito di irrequieta e irriverente giovinezza che era la nostra storia e il dato anagrafico. Mi sono lasciato andare al malumore all’opprimente afa di questi giorni a quanto di me stesso va deteriorandosi e dissolvendosi. Chiedo venia, soprattutto, alla memo-ria viva della mia giovinezza a cui ho giurato di restare fedele. Rimane, nonostante tutto e comunque, la domanda inevasa. Nostalgia del futuro, potrei dire… Se nel Fa-scismo fu la promessa di dare alla gioventù la nota dominante, allora ogni oggi è per noi lotta e il domani ci appartiene (vittoria o disfatta impostori entrambi). Risguardo doveroso a coloro che ci hanno preceduto, mai però mito in sé incapacitante. Vale sempre l’ammonimento di Codreanu: cercare certo gli esempi ma divenire noi stessi esempi. I ragazzi che l’altra sera hanno reso doveroso omaggio alla memoria di Ettore Muti sono i medesimi che vivono la strada e i bisogni del quartiere e il disagio di anziani di carenza di asili nido l’assenza generalizzata di servizi i mezzi pubblici discontinui e la microcriminalità lo spaccio della droga. Cultura e territorio, per citarmi. Il ricordo si rende stile e lo stile quotidiano esperire. I ragazzi dell’altra sera sono i medesimi che si ritrovano, ad esempio, a Capoterra in tante parti d’Italia e d’Europa quale unitaria voce di una comunità d’intenti e di affetti. Cultura e territorio. Non hanno vissuto il tempo eroico della prima metà del Novecento – ne traggono, stupiti, il vero volto -; non hanno vissuto gli anni tragici e brutali della P38 – sono smarriti di fronte a quella stagione -; a volte si sentono orfani vivere in questa stagione retta dall’indifferenza e dall’egoismo dalla corsa cieca verso il superfluo. E sbagliano. Perché sono, anch’essi, in piedi tra le rovine. Essere eroi in trincea ‘pugnal fra i denti, le bombe a mano’ sui cieli di Spagna nel deserto o nella steppa innevata ‘le donne non ci vogliono più bene’ nelle valli e sui monti forse rende più facile non tirarsi indietro essere spalla a spalla versare il proprio sangue in nome del comune Ideale. Oggi si va ad attaccare i manifesti pacchi di viveri per i meno abbienti raccogliere fondi per il restauro della tomba di Claretta Petacci, mentre i coetanei scelgono il pub e la discoteca. Anche qui il sacrificio che differenzia, che nobilita… Anche questo è il Fascismo ‘immenso e rosso’ oltre il limite che gli storici – e i loro accoliti – si ostinano a marcare come cani in calore. ‘Non parole, un gesto’.
Mario Michele Merlino