Un nuovo studio ricorda agli smemorati di oggi quali erano le idealità del MSI
Lo scorso 26 Dicembre, alcuni autorevoli e stimati esponenti della destra liberale al Governo hanno reso omaggio al “compleanno” del MSI, scatenando la reazione della sinistra schiacciata all’opposizione che, resuscitando il solito nostalgico antifascismo stile anni ’60, si è indignata a tal punto da arrivare, supponente quale è, a chiedere le dimissioni degli “incauti festeggiatori”.
Non vogliamo entrare nel merito della triste polemica da mercato – chi accetta il sistema ciellenista, ossia antifascista, anche a destra, dovrebbe sapere che accetta un sistema fondato sulla menzogna, sulla fazione e sull’odio –, ma proprio in questi giorni è uscito il primo volume di uno studio curato da Pietro Cappellari ed Italo Linzalone sulla “nascita e tramonto” del MSI che fa proprio al caso nostro.
Il tomo, stampato dalla prestigiosa casa editrice Passaggio al Bosco, ci parla della “rivolta ideale” che tra il 1993 e il 1995 si oppose alla cosiddetta “svolta” di Fiuggi, durante la quale il Movimento Sociale Italiano si “suicidò”. Questa rivolta affondava le sue radici politiche e culturali proprio nelle idee di base che avevano sempre contraddistinto il MSI fin dalla sua nascita. Quell’idee che, in quell’assise, non solo venivano cancellate, ma addirittura tradite.
Cappellari e Linzalone ci prendono per mano e ci accompagnano alla scoperta delle radici profonde di quel movimento che rappresentò la “casa comune” dei fascisti italiani per 50 anni. Da quando, in quel lontano 1946, i reduci della RSI si unirono nel primo partito a carattere nazionale richiamante gli ideali per cui avevano lottato e intendevano continuare lottare. Un partito che ebbe come Presidenti il Maresciallo Rodolfo Graziani ed anche il Comandante Junio Valerio Borghese. Dal primo Segretario Trevisonno ad Almirante, passando per De Marsanich, Michelini ed ancora Almirante, per giungere poi alla “resa dei conti” generazionale nell’ultimo periodo di vita tra le segreterie Fini e Rauti. Ebbene, in tutti questi 50 anni di lotte, di sacrifici, di repressioni di Stato e di piazza, di ghettizzazione, di sangue versato, mai nessuno intese rinnegare gli ideali di fondo che contraddistinguevano la fiamma tricolore, che non fu mai il simbolo “del cammino verso una destra democratica”, ma il simbolo di una fede non negoziabile.
Quei ragazzi missini assassinati dall’antifascismo militante non vennero ammazzati perché di “destra”, ma perché erano fascisti. Si abbia il coraggio di dirlo. O almeno si taccia.
Il MSI non fu mai una “destra democratica”, anche se è da allucinati pensare che si battesse per il “ritorno alla dittatura”, come vuol far credere la sinistra. Questo però non deve dare adito a speculazioni di sorta, come fa un’interpretazione di comodo elaborata nell’ultimo trentennio da una certa destra, che intende inserire la storia dei missini in quella dei conservatori italiani in genere, affiancandoli ai liberali, ai monarchici e, soprattutto, a Scelba che di quel tipo di destra, democratica e conservatrice, fu il vero alfiere. Un po’ troppo forse. Sebbene molti dirigenti si dimostrarono alla fine solo degli “andreottiani di complemento” (in camicia nera, però), questo non autorizza a bollare il MSI come una “destra generica”, né inserire la sua storia in quella più ampia della “destra italiana” (?). Sembra, in questi casi, più che trovarci davanti ad analisi politiche, di essere sulla scena del film Grande, grosso… e Verdone, quando la famiglia Nuvolone si accinge ad inumare la salma della mamma di Leo. Nella scelta del loculo, all’ipotesi di esumare il parente fascista Gerardo Spampinato “ferito nell’etiopica terra” (in divisa, nella foto, con tanto di profilo in ottone del Duce sul vaso di fiori), la moglie Tecla, sorpresa, esclama ad alta voce: «Ma che mettiamo la mamma con il cugino fascista?», e Leo (Carlo Verdone), con voce silenziata ed imbarazzata davanti al “becchino” che ascolta la interrompe: «Non dì fascista con questo qua, non si sa mai… dì de destra»…
No, Gerardo Spampinato non era di destra.
Il Movimento Sociale Italiano rispettò molto più di tanti partiti ciellenisti la democrazia, pur ispirandosi a ben altri valori, prima fra tutti l’alternativa corporativa al sistema. Questo fu il discrimine. Poi, su come costruire questa alternativa le visioni, i progetti, erano diversi, variegati e contrastanti, ma nessuno intese mai superare le “colonne d’Ercole” della fedeltà all’Idea. Anche quando il miraggio della creazione di una Destra Nazionale naufragò nella scissione effimera di Democrazia Nazionale, ebbene né gli uni né gli altri intesero mai rinnegare nulla. Chi rimase nel MSI ritenne l’idea fascista ancora viva ed operante, chi scelse una destra inserita nel sistema considerò chiuso il ciclo di quell’idea, pur non accettando l’antifascismo come nuovo idolo.
Con Alleanza Nazionale si andò ben oltre anche di Democrazia Nazionale. Si creò una “destra di Governo” che tutt’al più poteva essere l’erede – e qui l’eredità la cerca solo chi ha il vuoto dietro sé e non sa dove andare – del Partito Liberale Italiano che, come si comprenderà, era ben altra cosa rispetto al MSI. Per diventare una “destra democratica”, non a caso, si dovette “suicidare” il MSI. Altro che “percorso”.
Ecco, per evitare quell’insensato “suicido”, centinaia di missini si opposero a quello che era il rinnegamento delle radici politiche che sempre avevano contraddistinto il Movimento Sociale e lo fecero non per estremismo o nostalgismo, ma perché quel progetto era ancora valido e vitale.
Quel giorno a Fiuggi non si tradì solo l’Idea, ma anche la missione che il MSI si era prefisso fin dalla sua nascita. Quella missione che in quegli anni, con i successi elettorali che i missini – e non certo gli “alleatinazionali” – avevano ottenuto, sembrava possibile realizzare: costruire un nuovo sistema, dove l’ideologia ciellenista sarebbe tramontata, dove l’antifascismo non sarebbe stato più l’instrumentum regni di partiti corrotti e privi di futuro.
Forse una missione troppo grande per uomini non all’altezza della situazione. Si decise, quindi, coralmente, accecati dalle vittorie elettorali, di entrare nel sistema ciellenista. A quel punto, il MSI preferì lasciarsi morire.
Scipione di Torrealta
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